Con questo racconto ha vinto il nono premio del concorso Angela Starace 2002, sezione narrativa
GUERRA CIVILE
«Ho guardato negli occhi il mio nemico
e ho visto rilessi i miei…»
(T.H. Green)
Erano seduti su una panchina del lungo viale che porta al cimitero di un piccolo paese dell’appennino romagnolo.
Si incontravano quasi tutti i giorno in quel luogo, nelle prime ore del pomeriggio: erano tornati amici inseparabili ormai, come ai bei tempi della loro giovinezza.
Per Antonio era una consuetudine giornaliera la visita alla tomba del figlio Giulio, morto alcuni anni prima; per Mario invece, era una specie di consapevole solidarietà verso il compagno ritrovato, dopo un periodo di rancore, di animosità e di odio sordo, che li aveva resi nemici per tanto tempo.
Quel figlio morto, quell’unico figlio di Antonio, era stato, in passato il motivo che aveva fatto ritrovare lo spirito di umanità, di fratellanza, di nobile solidarietà che era nel patrimonio genetico dei due anziani.
Erano stati amici indivisibili, Antonio e Mario.
Nati nello stesso rione, vissuti nello stesso cortile, partecipi assieme ai giochi con i coetanei.
Avevano frequentato le elementari e le medie, sempre compagni di banco e avevano affrontato con esuberante entusiasmo giovanile le prime esperienze della vita senza mai trovare pretesti di incomprensione.
Poi, due motivazioni legate allo sviluppo intellettivo e sentimentale, avevano incrinato gradualmente la loro amicizia: la “politica” e Marta, una loro compagna di classe e di giochi.
Marta, benché ancora giovane, era già impegnata in una ideologia politica messa al bando dal regime imperante all’epoca.
Anche Mario, nella sua formazione personale e intellettuale, aveva abbracciato le teorie di Marta ed era diventato un assertore di principi generali, di modi di pensare che lo avevano portato, presto, ad essere un ideologo dottrinale nel modo di concepire la vita di ogni giorno in chiave estremistica.
Questa affinità di idee politiche attrasse i due giovani in una tenera e solidale amicizia che, col tempo, si trasformò in tenero affetto e sfociò in amore.
Antonio, timido di natura, introverso e insicuro, l’esatto contrario di Mario, non aveva mai avuto il coraggio di confessare a Marta quello che maturava in lui: una attrazione sentimentale verso quella ragazzina dai capelli biondi e dai grandi occhi azzurri.
L’idillio nascente fra Marta e Mario, fece piombare Antonio in una profonda prostrazione, una accasciante depressione nervosa molto comune ai giovani di quell’età, incominciò ad allontanarsi dall’amico: le iniziali leggere divergenze politiche, sopite tacitamente dapprima divennero, successivamente, una barriera ideologica inconciliabile e un motivo di litigi.
La rivalità sentimentale alimentò questa frattura politica tanto che, apertamente, incominciarono a considerarsi ‘nemici”.
Marta sparì presto dalla vita dei due: se ne andò in città, ma quel motivo iniziale del dissidio ormai si era trasformato in un incompatibile rancore, in una insanabile acredine politica.
Gli avvenimenti storici dell’epoca erano dominati da un forte coinvolgimento al conflitto che, da alcuni anni, dominava la scena, non solo italiana, ma mondiale.
Questi avvenimenti avevano determinato, nella parte terminale della guerra, una diversa scelta di campo politico-militare dei due giovani che, dopo alcuni anni di traversie su diversi fronti, si trovarono a dover scegliere fra le due opposte concezioni che contrapponevano gli italiani.
La guerra poi, aveva collocato i campi di battaglia sullo stesso territorio nazionale e gli italiani combattevano le loro ideologie negli stessi paesi dove erano nati e cresciuti nei loro affetti.
La guerra!...
Sempre efferrata e spietata nel suo concetto tradizionale, ma terribile e atroce quando si trasforma in “guerra civile”!
Le vicissitudini degli eventi bellici avevano separato Antonio e Mario.
Militavano ormai su posizioni ideologiche opposte, avverse.
Purtroppo, le due ideologie si combattevano apertamente anche con le armi, senza esclusione di colpi, in una lotta fratricida drammatica che seminava odio e vendette a ripetizione, sotto forma di rappresaglie inesorabili e implacabili. Ogni forma di sentimento, di pietà, di rispetto della natura umana era stato bandito sostituito dall’orrore e della brutalità.
La ferocia, la crudeltà e la spietatezza venivano alimentate dalle atrocità commesse dalle due parti in lotta, in una spirale inesorabile che allontanava sempre di più la speranza di una possibile riappacificazione degli animi.
Da anni Mario e Antonio non si erano più incontrati: uno non sapeva dell’altro o meglio, da comuni amici, avevano avuto alcune notizie, molto vaghe, ma confermanti che i due ex amici erano elementi di spicco nelle opposte formazioni militari che stavano combattendo quella orrenda guerra civile: italiani contro italiani!...
Nell’anno 1944, sull’appennino tosco-romagnolo, questa lotta fra compatrioti esplose in tutta la sua dolorosa tragicità.
Uomini che avevano convissuto per anni tranquillamente, pacificamente, che avevano gioito insieme per comuni eventi felici e avevano sofferto con solidarietà avvenimenti tristi; uomini che avevano trascorso la loro gioventù nella spensieratezza dell’età e la loro maturità in una convivenza collaborativa, ora si trovavano, armi alla mano, su due trincee diverse, con nell’animo l’intenzione di colpirsi a morte, con un istinto di profonda e bestiale malvagità.
Piccoli paesi pacifici, tradizionalmente tranquilli e sereni, villaggi laboriosi e generosi, si erano trasformati in agglomerati di famiglie divise da profonde avversioni, livore, astio e la loro ostilità veniva alimentata da fatti che ogni giorno acquistavano tragicità catarsiche.
Le delazioni, le ritorsioni, le vendette avevano sostituito i nobili sentimenti di convivenza che aveva contraddistinto, in passato, la coesistenza di quella gente semplice e pacifica.
La notte del 9 novembre di quel tragico 1944, Antonio, al comando del suo plotone cadde in una imboscata.
Aveva l’ordine di “ripulire” (che tragico senso aveva quell’espressione verbale!) una zona della montagna dove il “nemico”, che il giorno prima aveva assaltato la sua caserma, aveva una base di resistenza.
Fu un attacco improvviso, fulmineo, proveniente da più parti.
Non ci fu il tempo di difendersi; essendo accerchiato, la resa apparve subito inevitabile per Antonio, anche per salvare la vita ai suoi uomini.
Fu disarmato, brutalmente perquisito, bendato, legato e costretto a seguire alcuni uomini che parlavano la sua lingua, anzi, notò che parlavano, addirittura, il suo dialetto!
Bendato com’era, e con le mani legate dietro a schiena, aveva difficoltà a camminare spedito; quando incespicava, la canna di un mitra lo spronava ad avanzare più sollecito e una imprecazione lo stimolava ad ubbidire.
Ogni tanto sentiva una invettiva nei suoi confronti, un insulto, una terribile e oltraggiosa ingiuria che lo irritava e lo faceva sentire in colpa.
Forse, prima non avrebbe dovuto arrendersi così facilmente; avrebbe dovuto difendere con le armi quel senso di orgoglio, di fierezza, di onore, innato in lui, e che contraddistingueva il suo temperamento.
Ma aveva la responsabilità dei “suoi” uomini e non poteva sacrificarli per una sua puntigliosa superbia.
Comunque, quelle umiliazioni, quelle insistenti provocazioni, lo ferivano nel suo profondo intimo: doveva essere reputato un prigioniero di guerra e come tale, una volta arreso, doveva essere considerato e rispettato nella sua personalità di combattente.
Lo avevano fatto prigioniero in “divisa”, con le armi in mano: questo fatto gli concedeva il diritto morale del rispetto che si deve al “nemico” sconfitto.
Ma doveva considerarsi un nemico normale?
Era stata rispettata, dalle due parti in lotta, la “Convenzione”, quell’insieme di “regole cavalleresche” che, sovente, sono messe in atto per rendere meno drammatica e dolorosa la guerra?...
Ma poteva considerarsi normale anche quella guerra fratricida che combattevano fra loro?
Sì!... Era una guerra feroce, una guerra particolare: una “guerra civile”, una guerra fra fratelli: Caino e Abele in versione moderna!...
Ancora più terrificante e ricca di odio di quella combattuta fra esseri umani che non si conoscono e che sono costretti ad ammazzarsi, ubbidendo ad un ordine, senza nessun rancore!...
Ma quale motivo c’era di odiarsi così con i suoi conterranei, con quelli che parlavano la stessa lingua, che avevano in comune, fino a poco tempo, prima gli stessi ideali, le stesse origini, le stesse amicizie, le stesse parentele?...
Un motivo ideologico!...
Bastava quella ragione, quel movente, a giustificare tanto odio, tanta efferatezza, tanta atrocità?...
Bastava quello per annullare generazioni di vita vissuta in pace, in tranquillità, in serenità di spirito nelle loro comunità montane, in quei piccoli borghi dove la sofferenza di una famiglia era la sofferenza dell’intero paese e dove tutti si aiutavano con sincero spirito di amicizia?...
Era un motivo convincente per sostituire l’impagabile parola “pace” con la terrificante parola “guerra” e per di più fratricida?...
Quando gli tolsero la benda e lo slegarono, Antonio, si trovò in una baracca disadorna, quasi completamente buia; a tentoni riuscì a rendersi conto che gli unici arredamenti del locale erano alcune sedie e un tavolo.
Era stanco, demoralizzato, depresso.
Come di presentava il futuro immediato?...
Sentiva la gola secca, la fronte cosparsa di un sudore freddo, un tremito pervadeva tutto il corpo: forse era febbricitante.
Nonostante questo stato di malessere sentì il bisogno di una sigaretta.
Fece un gesto istintivo per cercare il “pacchetto” nella solita tasca ma si rammentò che, prima di bendarlo e legarlo, lo avevano perquisito e ripulito di tutto quanto aveva addosso: sigarette, documenti, perfino l’orologio e gli occhiali.
Si sedette e incominciò a riflettere.
Istintivamente pensò ai suoi “uomini”, ai militari al suo comando.
Dopo la resa non li aveva più visti, erano con lui: forse erano stati dirottati da altra parte con altre intenzioni.
Quali intenzioni?...
Non era difficile fare previsioni.
Era già accaduto diverse volte; durante pattugliamenti o rappresaglie, i corpi, fatti prigionieri dagli avversari, venivano trovati crivellati da colpi di arma da fuoco e riversi ai bordi della strada.
La procedura era lineare: un semplice e formalistico processo, una sentenza già predisposta e l’esecuzione della pena, immediata!.
Una procedura purtroppo, adottata da entrambi i “contendenti” in un contesto di barbara inciviltà!...
E lui?... Quale sorte sarebbe toccata a lui?...
Come Ufficiale forse avrebbe subito un processo più spettacolare, più raffinato nella sua cruda realtà, più angoscioso e più malevolo per la differenza di “grado”, ma dall’esito prevedibile scontato.
In quel “codice” di guerra civile non era contemplata e prevista la parola “assoluzione”!
Passarono alcune ore in una attesa spasmodica.
Antonio sentì provenire da un locale attiguo, voci di uomini che si esprimevano con molta concitazione, con frenetica foga, ma non riuscì a comprendere il senso dei discorsi.
Immaginò, però, il significato degli stessi: stavano discutendo la sua sorte, stavano trattando la sua vita, sicuramente!...
Cercò di distogliere i pensieri convogliando la sua attenzione all’angusto locale dove era stato relegato in veste di prigioniero.
Oltre a poche sedie e un tavolino sgombro, vide una finestra chiusa.
Non tentò di controllare se la finestra era chiusa ermeticamente, tanto era prevedibile che non poteva essere una possibile via di scampo.
Si sedette su una sedia appoggiando il capo alle mani.
Era molto stanco, sentiva il bisogno di un sonno ristoratore, ma troppa era l’inquietudine, troppi i pensieri drammatici che ronzavano per il suo cervello perché potesse sperare di assopirsi.
La sua situazione era tragica: da entrambe le parti non si andava per il sottile in quei frangenti!.
I “processi” erano approssimativi, sommari; la divisa che indossava, le “mostrine” sulle asole della giacca, con quei simboli raffiguranti l’emblema di un “regime”, erano una “prova” sufficiente per una condanna il cui verdetto era uno solo: la morte per fucilazione sul posto!
Antonio fece un esame di coscienza: personalmente non aveva commesso reati specifici per cui meritasse un così severo giudizio ma la “giustizia”, nella guerra civile, non si sofferma a valutare il comportamento del singolo individuo ma giudica l’insieme, il comportamento della massa.
Una responsabilità collettiva che si riversa sul singolo.
“Domina la legge del Taglione, l’occhio per occhio» pensò – «tu colpisci me, io colpisco te, senza misericordia, senza pietà, senza clemenza!»...
Se si fosse addormentato sapeva che sarebbe stato l’ultimo sonno ma, nel suo intimo, desiderava questo oblio, questo abbandono, per dimenticare la drammatica situazione in cui si trovava.
Si aprì la porta della baracca.
Nella scarsa luce scorse la figura atletica di un uomo fasciato da una divisa para-militare e con una folta barba.
«Tu sei Antonio, vero?...» chiese quasi timorosa la persona apparsa sulla porta.
«Mi chiamo Antonio…si…sono il tenente Antonio S…matricola…»
Il nuovo venuto non lasciò terminare la frase:
«Lascia perdere i convenevoli “Tonino”...»replicò deciso il militare appena entrato «io sono Mario…»
Antonio si alzò in piedi di scatto.
Ci fu un attimo di silenzio; i due uomini erano uno di fronte all’altro.
Antonio sembrò perplesso: chi lo chiamava «Tonino?...»; la sua mente, frastornata dagli avvenimenti, ebbe un attimo di abbandono, quasi vuoto.
«Mario?...Mario?» ma si riprese subito «Mario! sei proprio tu, Mario!...» esclamò stupito Antonio.
Per un attimo pensò ad un sogno e stava per esternare un gesto di amicizia ma si trattenne: le circostanze erano tali che era necessario chiarire prima la situazione.
«Antonio…» proseguì il nuovo venuto con voce accattivante «sei mio prigioniero…sei un prigioniero catturato in una azione di guerra contro i miei uomini…io sono il comandante di questo distaccamento…ti rendi conto di tutto ciò?... sei in un bel guaio…un guaio serio…»
Antonio fece un cenno affermativo col capo e rispose pacato:
«Sì...Mario…capisco perfettamente la mia situazione e anche la tua…me ne rendo conto…»
«Quando i miei uomini ti hanno portato qui, mi hanno consegnato i tuoi documenti…li ho esaminati…ti immagini la mia sorpresa nel riconoscerti?...come sono rimasto sconvolto?...»
«Lo credo…lo credo Mario…anch’io sono sconcertato!...»
Ci fu un attimo di silenzio imbarazzante.
«Antonio…è inutile che ti faccia tanti discorsi…lo sai, vero?... lo sai qual è il mio dovere?...io e te siamo in guerra…una guerra spietata… sappiamo, purtroppo, quali sono le regole …»
«Sì...lo so!...Ti capisco…Hai un dovere!...È lo stesso dovere che avrei dovuto imporre io nei tuoi confronti a parti invertite…»
Mario posò il suo mitra in un angolo, trasse dalla tasca un pacchetto di sigarette e ne accese una, nervosamente.
Stava per riporre il pacchetto in tasca quando lo porse ad Antonio.
«Vuoi fumare?...» chiese.
Antonio fece cenno di sì col capo.
Mario guardò l’orologio. Il nervosismo e l’imbarazzo erano evidenti nel suo comportamento. Voleva guadagnare un po’ di tempo per meglio delineare la situazione, perciò disse:
«Siediti…siediti ugualmente!...»
Ci fu un altro imbarazzante silenzio poi, Mario riprese a parlare:
«Noi siamo braccati…braccati dai tuoi uomini e dobbiamo trovare rifugio da un’altra parte…subito, il più presto possibile…non possiamo portarti con noi…non possiamo portare prigionieri…intuisci quello che voglio dire?...»
Antonio fece un cenno affermativo col capo.
Mario sbottò in una irriverente imprecazione.
«Come fai a capirmi?...come posso credere che mi capisca, perdio!...
Ti rendi conto di quale aberrante tragedia siamo protagonisti?...ti rendi conto di cosa sto per fare?...proprio tu e io dovevamo trovarci di fronte in questa situazione!... Quando ho letto il tuo nome sui documenti mi sembrava di poter agire con freddezza per eseguire l’ordine…mi sembrava che il tuo nome dovesse rappresentare solo uno dei tanti nomi dei nemici che ci minacciano…ho pensato che era semplicemente un pezzo di carta per dare corso ad una “pratica burocratica”, ormai abituale nel nostro dovere di soldati…ma, perdio!... Un conto è leggere le tue generalità su un pezzo di carta, un documento e un conto averti davanti a me e…doverti…»
Antonio fece un passo verso il suo interlocutore e con un tono di voce deciso replicò:
«Mario…non sentirti in colpa…a posizioni invertite io avrei agito nel senso che mi consigliava il dovere…tu non hai alternative come non ne avrei avute io nei tuoi riguardi…siamo pedine di un gioco più grande di noi…»
Mario eruppe in una seconda, più irriguardosa invettiva. «Il dovere!...Il dovere!...Ma quale dovere?...Quello di impormi di…» e si fermò.
«Di giustiziarmi, Mario…di giustiziarmi, non di uccidermi…noi abbiamo giurato fedeltà ad un onore che ci impone grandi decisioni…delle scelte crudeli…delle sentenze terribili nel nome di una fede che abbiamo ritenuta giusta, che abbiamo seguito come un ideale e noi…noi dovevamo difenderla nei confronti dei nostri uomini…la loro vita dipende da te, ricordalo…»
Mario ascoltò con gli occhi socchiusi in una concentrata riflessione.
Qualcuno bussò alla porta con violenza.
«Perdio!...e quelli hanno anche fretta!...» urlò.
«Debbono salvare la loro vita…» disse calmo Antonio.
«La vita…la vita…» inveì Mario «...e io debbo togliere la vita a te…debbo farlo secondo una riflessione logica… io adesso dovrei uscire da questa stanza, dove sono entrato per comunicarti la decisione del nostro “gruppo”, e consegnarti ai miei uomini, ordinando loro di eseguire il verdetto…una sentenza che non è altro che una condanna… la condanna a morte…una decisione così a freddo…quella di farti ammazzare come un cane…ma nel nome di quale ideale posso fare questo?...nel nome di quale causa? di quale fede?... vorrei capirlo!...»
Nel pronunciare quelle parole, quasi urlando, Mario si era alzato in piedi, di scatto. Continuò:
«Ma io mi chiedo “per che cosa” tutto questo?... per un mondo migliore per te e per me, Antonio! ... Noi le abbiamo accettate queste idiozie…le abbiamo assorbite come verità... le abbiamo fatte diventare una ragione di vita…che assurdo paradosso…ragioni di vita…sì... usando con disinvoltura la morte! ...Un mondo migliore, ci dicevano, e noi abbiamo creduto a queste assurde verità...le abbiamo fatte nostre ci siamo incamminati sulla via della realizzazione sulle macerie di migliaia di morti…di amici, di conoscenti o anche di sconosciuti ma sempre esseri umani e per di più della nostra razza…è così che si costruisce il mondo migliore?...È possibile tutto questo?...È possibile “Tonino”...?...È possibile?...»
«Non lo so Mario…non è ragionevole, questo sì...ma purtroppo… Vedi Mario…come ti dicevo prima, siamo pedine di un gioco più grande di noi…
Tu ora sei il giocatore che deve, obbligatoriamente, fare una “mossa”, una mossa difficile, lo so,... il dovere che hai è quello di darmi “scacco matto” e non puoi esimerti dal farlo perché tu non lotti contro di me, ma contro l’ideale che io rappresento e che ostacola quella visione del mondo migliore che abbiamo entrambi perseguito pur su ideologie diverse…»
«Perdio!...» esclamò ancora una volta infuriato Mario «anche tu fai questi ragionamenti di un mondo migliore!...»
Buttò a terra la sigaretta con rabbia.
«Questi ragionamenti li sento fare da parecchio tempo e intanto ho visto i miei uomini morire e io ho continuato ad ammazzare gente…gente che non avevo motivo di odiare…ho emesso sentenze e le ho eseguite come automa… se queste sono le fondamenta di una nuova società... di una società migliore…beh… sai che ti dico…comincio a dubitare delle mie azioni…»
«Anch’io Mario… e da tempo… però oggi, marciavo verso di te per ucciderti…non sapevo che avrei ucciso te, ma comunque che avrei ucciso un uomo, un essere vivente, nel nome di che cosa? ...Dell’assurdo… certamente…ma il mio compito era quello di ucciderti e se mi riusciva, probabilmente, ricevevo un encomio… Nel nome del “dovere” un verbo aberrante, se lo consideriamo sotto l’aspetto morale, un verbo che esclude ogni esame di coscienza… ma che diventa un obbligo morale se consideriamo, entrambi, che abbiamo fatto un “giuramento” di fedeltà!...»
Mario era furente.
La calma, la serenità e la pacatezza di Antonio lo irritavano, lo indispettivano ma, soprattutto, indebolivano la sua determinazione.
Come avrebbe preferito una reazione violenta, aggressiva del suo prigioniero: gli avrebbe facilitato quel “compito”; lo avrebbe reso più risoluto, energico, determinato su come doveva procedere senza tentennamenti, senza esitazioni, senza incertezze!...
Invece Antonio, con la sua rassegnazione, con la sua arrendevole sottomissione alla sorte, senza un atto di ribellione, era disarmante e gli rendeva più difficile compiere quel tremendo “dovere”!
Mario si mise a camminare lungo la stanza, in silenzio, teso, e intanto i suoi pensieri si sovrapponevano con inquietudine.
Le riflessioni, suggerite dalla generosità d’animo, si accavallavano a considerazioni ispirate alla freddezza della logica: «Siamo in guerra»... si diceva «...e in guerra i sentimenti debbono lasciare il posto al distaccato, inflessibile e inesorabile senso del dovere»
Sentì i suoi uomini che si preparavano a partire.
Qualcuno bussò, con insistenza, alla porta.
Guardò l’orologio.
«Ora debbo essere risoluto!...» concluse mentalmente Mario «non posso aspettare oltre!»
Si rivolse ad Antonio con espressione piena di tristezza:
«Cosa posso fare per te…in questo momento?...»
Antonio si avvicinò a lui, con un sorriso intriso di malinconica rassegnazione, di sottomissione al destino:
«Beh!...Sì...qualcosa puoi fare… qualcosa di importante… e sono certo, sono sicuro, lo farai… io…io ho un figlio…»
«Un figlio?...» domandò sorpreso Mario.
«Sì...un figlio…»
«Ma quanti anni ha?...» replicò Mario stupito.
«Anni? ha pochi mesi… pensa l’ho visto un paio di volte da quando è nato…»
Mario, imbarazzato, guardò nuovamente l’orologio;
«E io… cosa dovrei fare?...» la voce di Mario era debolissima e turbata.
«Mio figlio deve crescere nell’amore, non nell’odio come noi…» scandì lentamente Antonio «Io sono convinto, come lo sei tu, che il mondo va costruito sull’amore e non sull’odio… tu devi cercarlo mio figlio…devi trovarlo e qualche volta devi parlargli…tu saprai trovare le parole giuste, ne sono certo…»
Mario uscì in un’altra delle sue imprecazioni.
«Io…io dovrei parlare a tuo figlio?...proprio io…?»
Si sedette nuovamente.
«Perdio!...ci mancava anche tuo figlio adesso!...» gridò forte con rabbia.
Poi più dolcemente:
«Tonino…scusami…lo farò...farò il possibile…te lo prometto…non so se troverò le parole adatte ma, ma lo farò...te lo giuro!...Ma come è accettabile una situazione simile?...io…io, ma credi che mi risulterà facile?...credi che io possa riuscirci?...»
Antonio annuì.
I due uomini si alzarono in piedi, rimasero in silenzio, poi Mario, scuotendo la testa, disse con voce angosciosa:
«Antonio…quanto deve durare quest’odio?...Quanto potremo continuare noi, esseri pensanti, ad ammazzarci a vicenda?...Ancora un mese, un anno, di più...una vita intera?...E poi, ci sarà pure una fine, no? ...ci sarà un momento finale e chi risulterà vincitore sarà veramente il vincitore?...Nella guerra non ci sono mai vincitori!... Perché non incominciare a ragionare, tanto avremo torto tutti, alla fine!...Ci vorrà pure qualcuno che abbia il coraggio di fare il “primo passo” verso la riconciliazione… forse è proprio il primo passo quello che occorre per trovare un modo di vivere pacifico, come una volta, anche nel futuro…
Se tutti gli uomini facessero un “primo passo” ...chissà!... Antonio…sai cosa penso in questo momento?...che curiosa rievocazione…che strano richiamo alla memoria…ricordi quando sui banchi delle medie studiavamo la poesia “Guerra civile” del Pascoli?... ci incantava quel finale ad effetto!... A me e anche a te piaceva recitarla per poter declamare quegli ultimi versi con enfasi, con passionalità, con esaltazione…lo ricordi “Tonino”? ...Non avrei mai potuto immaginare, con la fantasia, che un giorno mi sarei trovato nelle stesse condizioni di quei popolani francesi, protagonisti e giudici di una così grande tragedia come la “rivoluzione”... Mi ha sempre affascinato quel “finale” con quella decisione così patetica ma piena di tanta umanità e di fratellanza… ora la capisco ancora di più... la sto vivendo…Tu…tu mi dici di trovare per tuo figlio le parole per educarlo all’amore del prossimo, all’amore fraterno, ad amare i suoi simili?...Come potrei farlo io?... Proprio io dovrei trovare le parole adatte?...no!...No!... Antonio non è possibile… tu solo puoi trovarle!... Devi farlo tu…fallo tu con tuo figlio!...»
Mario si fermò perplesso, ebbe un attimo di incertezza, guardò la finestra poi… Poi mise un braccio sulle spalle di Antonio e gli sussurrò: «Scappa “Tonino” scappa!... Proteggerò io la tu fuga… corri…corri via… va da tuo figlio!...»