Racconto premiato di Bruno Longanesi

Il telegramma

Maria aveva faticato molto ad addormentarsi la sera prima ed ora, appena sveglia, ricordò il motivo della sua agitazione e dell’ansia che la pervadeva: era il giorno del suo compleanno.
Non era una ricorrenza gradita perché troppi ne aveva celebrato di quegli anniversari, per desiderarne un altro.
Il motivo del suo nervosismo era ben diverso, aspettava con ansia un rito che si ripeteva, ormai, da oltre cinquant’anni: l’arrivo del telegramma!
Era un’emozione, un’eccitazione per lei. Ad ogni anniversario del suo compleanno, il portalettere le consegnava sempre un telegramma! Lei l’apriva con trepidazione da tanti decenni sperando di trovare la firma del mittente: ma c’era scritta sempre e solo quell’unica parola: «Auguri!».
Chi era l’ignoto che con tanta costanza si ricordava di lei in quel giorno particolare?... Non era mai riuscita a svelare il mistero perché quel piacevole foglietto augurale proveniva sempre da località diverse.

Si vestì in fretta e incominciò ad aspettare.
Era ancora presto, di solito l’augurio le perveniva verso mezzogiorno.
La mattinata passò abbastanza velocemente: aveva sempre tante cose da fare in casa, come conseguenza della sua innata pignoleria! Verso le undici incominciò a trepidare: in ogni momento poteva sentire la scampanellata del portalettere.
Maria viveva da sola in quella casa da quando il marito l’aveva abbandonata, e la figlia si era sposata andando ad abitare in un’altra città. Unica sua compagnia un piccolo bastardino che aveva trovato, semi assiderato, da qualche anno.

Guardando spesso l’orologio, velocemente, rammentò il cerimoniale che stava per rivivere, iniziato mezzo secolo prima, quando lei era ancora una giovane studentessa.
La mattina del 9 novembre, di tanti anni prima, oltre agli auguri dei genitori, parenti e amici, ricevette un telegramma in cui lesse quella parola di augurio che poi doveva ripetersi per quasi tutta la vita.
Per oltre mezzo secolo si era chiesta chi fosse il devoto sconosciuto autori di quella gentilezza.
Era rimasto un mistero che, per lei, era una dolce attrazione, un allettante e seducente omaggio alla sua femminilità, un augurio gradito come una affettuosa carezza.

Mezzogiorno!
Stava con l’orecchio attento ad ogni minimo rumore.
Il portalettere era in ritardo?... Oppure era già passato oltre senza doverle consegnare qualcosa?
Ebbe un tonfo al cuore: possibile che dovesse proprio interrompersi quello che lei desiderava sopra ogni altra cosa nel suo giorno di festa?
All’improvviso provò una strana sensazione: psicologicamente prese coscienza di qualcosa che si modificava in lei in seguito ad uno stimolo emotivo esterno.
Ma in quell’attimo percepì, come per un fenomeno telepatico, che il campanello della porta stava per squillare.
Fu questione di secondi e sentì nitidamente il suono acuto e chiaro che ella, coi sensi, aveva anticipato.
Andò ad aprire: era, come previsto, il portalettere che le porse una busta.
Una lettera!
La sua sorpresa fu tanto evidente che il ragazzo, notando questo suo turbamento, le disse:
«Signora… prenda… questa lettera è per lei…».
«Non c‘è altro?...» chiese Maria con stupore.
«No… signora… questa è la posta per lei, oggi…».

E il telegramma?
Prese la busta, guardò l’indirizzo: era veramente il suo, cercò nel retro il mittente: nulla!
Una viva emozione si impossessò di lei prima di riuscire ad aprirla: turbamento e inquietudine l’avevano invasa perché pensò che, forse, sigillata nella busta, c’era la spiegazione di quel mistero!
Poi riprovò quella inspiegabile, enigmatica sensazione di pochi minuti prima e qualcuno, nel profondo del suo intimo, le sussurrava dolcemente, con tenerezza: «Aprila Maria!».

Dentro c’era un foglio scritto fittamente, con bella calligrafia lineare, chiara e semplice.
Allora Maria si sedette intuendo che la situazione era estremamente delicata e che, quel foglio, era per lei, la chiave di una vita!

«Cara Maria,
penso che andrai subito a cercare, in fondo alla lettera, il nome del mittente.
Io non l’ho messo, non credo sia necessario perché quando l’avrai terminata saprai bene chi sono!...
Non ho neppure datata la lettera: non è necessario: io ora sono ormai fuori dal tempo terreno; quando leggerai questo mio scritto io non ci sarò più.
Spero solo che l’ignoto della morte, quell’oscuro e sconcertante mistero, mi conceda di essere spiritualmente al tuo fianco, nel momento in cui stai leggendo.
Io ti ho conosciuta sui banchi di scuola, al liceo, mezzo secolo fa.
Eri una stupenda ragazza, la più bella della classe e tu lo sapevi!
Tutti ti corteggiavano apertamente nel tentativo di ottenere la tua simpatia…
Io no!... Io non ti ho mai corteggiata!... Io incominciavo ad amarti già allora, ma senza manifestarlo.
Era timidezza la mia?... Anche! Ma c’era un motivo ben più terribile per me: avevo la coscienza della mia bruttezza, della mia goffaggine, ero, insomma, il più brutto del corso!
A questo punto avrai già capito chi ti scrive!
Io ricordo un particolare (forse per te cancellato dal tempo): un giorno noi due parlavamo insieme di Leopardi, il mio autore preferito (e tu puoi immaginare il perché).
Ti dissi: “Io lo capisco quel poeta… parlava più col cuore che col cervello… la sua deformità aveva permeato la sua vita di tristezza, di elevatezza spirituale, di perfezione immateriale che lo rendeva gigante del pensiero e dello spirito e io lo sento tanto vicino a me … &endash; ti dissi &endash; lo sento tanto vicino per nobiltà di sentimento e per la nostra comune sfortuna…”.
Tu, Maria, capisti subito il concetto e mi rispondesti, prendendomi dolcemente una mano: “Tu sei il migliore di tutti i nostri compagni… loro sono tutta vanità, poca intelligenza e poco cuore; ... io ti ammiro, Emilio!”.
Credo fosse la prima volta che mi chiamavi per nome!
Si… forse mi ammiravi, può darsi… ma io capivo che il tuo sentimento non avrebbe potuto andare oltre ad una vaga ammirazione!...
Quando seppi la tua data di nascita decisi di ricordare ogni anno il tuo compleanno con qualcosa che scaturiva dal mi cuore… Una parola sola: Auguri!
Senza firma!... Perché avrei dovuto firmarmi?
Un tuo grazie, di circostanza, avrebbe troncato in me tutti i sogni fantastici dei quali ti circondavo, ogni slancio, ogni impulso, ogni entusiasmo.
Così, invece, con quella parola quasi infantile, ho continuato ad alimentare la mia dedizione per te e ad illuminare la mia vita. Avrei potuto parlarti, manifestarti i miei sentimenti, ma ho sempre temuto che ciò avrebbe frantumato ogni mia illusione.
Io, per te, ero un ragazzo da ammirare non da amare, carissima Maria.
E col passare degli anni il mio sentimento non si è mai affievolito o indebolito. No!...
L’amore ideale e spirituale che provavo per te era un sentimento troppo nobile, elevato, puro, perché potesse essere scalfito dagli eventi della vita.
Io ti ho sempre seguito, con molta discrezione, con molto riserbo, in tutti i fatti della tua esistenza: dalla giovinezza, ad oggi che sei una meravigliosa signora dai capelli bianchi!
Il tuo fidanzamento con Piero: il più bello del corso, il tuo successivo matrimonio e la tua maternità. Ho vissuto questi eventi dal mio isolato piedistallo anche se sconvolgevano, comunque, i miei sentimenti.
Ho invidiato Piero, lo confesso, come ho provato un patetico compianto in cuor mio, per te e per la tua decisione di sposarlo. Lo conoscevo bene: vacuo, futile, frivolo, superficiale, incapace di sentimenti seri e, infatti, poi si è dimostrato quello che era in realtà.
Non credo di offenderti dicendoti queste cose, tu le hai potute sperimentare.
Avrei voluto metterti in guardia a suo tempo, non solo per gelosia, ma per aiutarti in nome dell’affetto, del bene, dell’amore che ti portavo.
Ma come potevo intervenire, io, praticamente uno sconosciuto per te, dopo la parentesi scolastica.
Ricordi, Maria, che qualche volta ci siamo incontrati quasi per… caso? A distanza di anni, sono entrato talvolta in qualche negozio dopo essermi accertato che c’eri anche tu.
Quegli incontri erano improntati alla massima… sorpresa.
Tu ti mostravi cordiale nei miei confronti, io, per l’emozione, ero più contenuto.
Una volta parlammo dei fatti della nostra vita e, ricordo bene, che tu mi chiedesti: “Sei ancora così pessimista?... Sei ancora un Leopardi?...”.
Io, per timidezza e per mostrarmi cinico, risposi: “A vivere senza amore, si diventa cattivi!...”.
Una frase senza senso, in quel contesto, ma non riuscii a trovare nulla di meglio.
“Su… Emilio… non scherzare…” rispondesti tu.
No, Maria, non scherzavo affatto: se tu avessi letto nel mio cuore avresti capito il sentimento di dolore che mi ha accompagnato per tutta la vita, ma avresti anche capito che la mia sofferenza, la disperazione, la tristezza erano nobilitate dall’amore delicato, tenero, che provavo per te, in netto contrasto fra un’anima sensibile e un corpo meschino che la imprigionava e la nascondeva.
Sì... anch’io ero il passero solitario, il malinconico uccelletto così ben descritto dal Leopardi, pieno di solitudine e di infelicità per una esistenza sterile, priva di amore e di ogni conforto!
Solo con il tuo pensiero, provavo la gioia per alimentare il mio eterno ed effimero sogno che si riassumeva in quella parola che ti inviavo ogni anno: Auguri!
Sai… quante volte ho pensato a quella leggenda scandinava che racconta del buon Dio che divise in due le mele: una metà era la donna, l’altra l’uomo e le distribuì, a caso, sulla terra?...
Diverse volte le due parti tagliate, si incontrano e l’amore è perfetto, ma volte volte non riescono a trovarsi, nell’esistenza terrena, allora Iddio provvede a ricongiungerle lassù...
Ecco, cara, io ho sempre capito che tu eri la mia mezza mela… ma non ho mai osato dirtelo!

Ora è troppo tardi e son qua che ti aspetto!...

Sì... Maria, è giunto il momento di concludere questa mia lettera.
Avrei voluto mandarti, anche quest’anno, il telegramma ma non mi è stato possibile; il destino non mi ha concesso di aspettare quella data: la mia esistenza terrena si è conclusa in anticipo.
Ho incaricato un mio caro amico di farti pervenire questa lettera nel giorno del nostro… appuntamento annuale.
Egoisticamente ho voluto che tu sapessi quanto ti sono stato vicino e quanta gioia hai dato alla mia vita.
Solo ora ho potuto dichiararti il mio bene senza il timore di un tuo rifiuto ed offrirti in dono: cinquant’anni ininterrotti di amore!
Maria!
Vorrei che il mistero della morte, nella sua inesplicabilità, portasse in sé anche questo privilegio: poterti vedere sempre, esserti vicino con un soffio vitale che sopravvive al corpo, per proteggerti ogni giorno.
Io ho creduto nei valori spirituali e ho creduto anche che l’uomo si trasformi, dopo la morte materiale, in una forza invisibile, eterea, evanescente, alimentata dall’amore che il corpo ha sprigionato in vita, per poterti essere ancora e, per sempre vicino…».

Per alcuni anni, sulla tomba di Emilio, venne posata una rosa rossa, poi anche questo segno sparì: la mezza mela si era congiunta con l’altra metà... lassù!


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