Racconto premiato di Bruno Longanesi

Con questo racconto ha vinto il sesto premio all’edizione 2007 del Premio La Montagna Valle Spluga.


LA GUIDA

“Io che amo il vecchio monte, gli parlo ogni alba e molte cose gli dico”.
(G.Pascoli)

Un giorno un alpinista, passando davanti alla “croce Carrel”, sulla via italiana del Cervino, chiese alla sua guida se Carrel fosse fosse caduto proprio in quel punto.
La guida rispose decisamente: “No!...Non è caduto qui…Carrel è morto qui…”
La risposta potrà sembrare strana e banale ma, data da quell’uomo di montagna, puntualizza come avvenne la morte di Carrel e riproduce lo spirito di questi uomini fatti ad immagine e somiglianza dell’ambiente che li circonda.

La famosa guida Jean Antoine Carrel, nell’agosto del 1891, volle scalare ancora una volta la “sua” montagna e, poichè nel 1886 l’aveva conquistata salendo dal versante italiano, si prefisse di raggiungere la vetta con una traversata dal versante svizzero, da Zermatt a Cervinia.
La scalata fu effettuata assieme a due clienti e si svolse nella massima regolarità fino al terzo giorno quando, verso sera, bivaccarono alla capanna “Gran Tour”.
Durante la notte, però, si scatenò una tempesta estremamente violenta che li obbligò a rimanere nel rifugio per il giorno seguente e ancora per la notte successiva, creando difficoltà per la scarsità di viveri, anche se Carrel si privò della sua parte di provviste per offrirle ai clienti.
Nella capanna il freddo era così intenso che i tre uomini bruciarono anche le panche per riscaldarsi e, nonostante la tempesta di neve non si placasse, furono obbligati a tentare di scendere ad ogni costo: era in gioco la loro sopravvivenza.
Carrel incominciò a guidare la discesa alla “cieca”, orientandosi con la sua esperienza e più volte, durante quell’ estenuante marcia, rischiò di essere spazzato via dal vento impetuoso.
I tre uomini, mezzo soffocati dalla tormenta, erano indeboliti, consumati dalla fatica e spossati. Improvvisamente, una forza violenta, con uno schianto terribile, sembrò incenerire le loro gambe: una folgore si era scaricata su una delle loro piccozze!.
I tre uomini urlarono selvaggiamente, sapendo che la tempesta poteva annientarli da un momento all’altro!...
Incominciò a farsi buio, la sera stava avvicinandosi: sarebbe stata la quinta notte!..
I due clienti si accasciavano ad ogni passo, dilaniati dalla fame e dalla sete, stremati dalla fatica, intirizziti dal freddo. Non servivano incitamenti o insulti!...
Pronunciavano frasi sconnesse, gesticolavano in modo inconcludente e pericoloso.
Nei pendii, Carrel, fu costretto a calarli giù di peso, non reagivano più.
Ma, come per miracolo, la tempesta cessò e si rischiarò il panorama.
Erano nella parte terminale della discesa, anzi erano visibili i primi ciuffi d’erba.
Non avevano ancora assaporato la tanto desiderata salvezza che uno dei clienti sentì di colpo la corda tendersi fra lui e Carrel.
Tirò un po’ ma la corda non venne: si rese conto che, Carrel non si muoveva più!
Aveva lottato strenuamente per riportare a valle, al sicuro, i clienti della “sua” cordata; ora i suoi compagni non avevano più bisogno di lui: egli potè “morire”!...
Quelle parole incise sulla croce est mort” “, mi avevano sempre fatto meditare, mi avevano spinto a riflettere a lungo quando, salendo sul ghiaione fra le rocce, raggiungevo la “Gran scala del leone”“.
La curiosità mi spingeva ad indagare su quelle mitiche figure della montagna che sono le “guide”.
Ne avevo conosciuto diverse e mi avevano convinto che il loro è un “lavoro” intriso di abnegazione, pieno di difficoltà e spesso pericolo
Fra le tante, avevo sempre desiderato di conoscerne “una” in particolare.
Non era in attività, per ragioni anagrafiche, ma il suo aspetto e il suo portamento erano eleganti, solenni, austeri e imponevano reverenza.
Lo vedevo seduto davanti alla sua abitazione, una villetta vicino al “lago blu” di Cervinia. Un paio di baffoni bianco-grigi su un viso bruciato dal sole e dal ghiaccio, una testa di capelli folti, bianchi e mai in disordine. Occhiali a “lunetta”, completavano quest’ aspetto dignitoso La corporatura imponente denotava una persona dotata di una forza singolare e straordinaria.
A tracolla aveva spesso un potente cannocchiale che, sovente, rivolgeva verso un punto dell’orizzonte in direzione delle montagne più alte e conosciute.
Al fianco, su un tavolinetto, erano sempre allineati dei libri ricoperti a mano, con carta patinata. Per questa “copertura”, non sono mai riuscito a leggere i “titoli” di questi libri, alcuni molto sgualciti, per frequenti consultazioni.
.Era estremamente gentile, salutava con un sorriso e un cenno del capo.
Come contattarlo?...Mi sarebbe piaciuto ascoltare dalla sua viva voce episodi, avvenimenti e fatti di montagna relativi alla sua epoca.
Ero certo che il “suo” alpinismo, quello delle generazioni precedenti, si discostava da quello attuale e anche la guida doveva risentirne a livello psicologico.
Mi interessava, insomma, quella mentalità genuina, naturale, schietta e lontana dalle sofisticazioni moderne, sorta a contatto con una specializzazione sconosciuta in quella zona, fino a pochi decenni prima.
Una ricostruzione, dal “vivo”, dei fatti antecedenti, della gente del posto, dei suoi usi e costumi, dell’ evoluzione ambientale di questi luoghi meravigliosi.
Un giorno vidi che stava guardando con il cannocchiale verso lo scenario delle vette che fanno da fondale a Cervinia. Mi avvicinai e gli chiesi un particolare sul gruppo “Lex Jumeaux”. Avevo colpito nel segno: desiderava parlare!...
“Strano carattere” – pensai – “una guida loquace”.
Infatti, fu molto prodigo di particolari riguardo la mia richiesta. Quando poi pronunciò la fatidica frase: “Ai miei tempi…” capii che il più era fatto.
Non persi l’occasione e chiesi il permesso di sedermi vicino a lui.
Fu l’inizio, non dico di un’amicizia, ma senz’altro di una conoscenza interessantissima.
Tante cose che avevo letto sui libri, su riviste specializzate, su testi specifici, le risentii dalla sua viva voce con l’impressione di novità, di originalità, di narrazione fiabesca.
Aveva un modo così semplice e chiaro di esporre i suoi concetti, i pensieri, i giudizi che rasentava l’innocenza, l’ingenuità, mai però faciloneria, superficialità, approssimazione. Aveva la prerogativa di chi ha le idee chiare e la mente abituata e esporle con naturalezza, schiettezza e disinvoltura.
Inizialmente lo giudicai poco acculturato, ma cambiai subito opinione.
La sua proprietà di linguaggio mi stupii perchè era adeguata alle necessità, accompagnata da una vena di genuino umorismo e una fantasia che rendeva il suo parlare coinvolgente e trascinante. Mi sentivo come un bambino che ascoltava la favola, narrata da un adulto e che trovava piacere in quelle parole, in quella narrazione allegorica in cui si amalgamavano cose reali e miti del “passato”..
Mi piacque, soprattutto, la sua “filosofia” sul mondo della montagna che amava come solo una guida può amare.
Mentre parlava mi guardava sempre fisso e notavo in lui la soddisfazione intima per i miei assensi al suo dire.
Avevo trovato la persona che cercavo per soddisfare la mia curiosità, avevo trovato una “miniera” di notizie interessanti, strane, insolite e originali.
La storia della montagna, il lento mutamento della mentalità della popolazione, il loro miglioramento economico, la genesi dell’alpinismo, mi venivano filtrate da questo strano personaggio che aveva a sua volta, appreso queste nozioni dai suoi avi, nati e cresciuti in quel luogo, allora, piccolo agglomerato di baite e di case le cui pareti erano di massi impastati con terriccio e per tetto blocchi di ardesia che allora serviva ai poveri per coprire i tetti… Case misere ove oggi sorgono sontuosi alberghi.
Un giorno gli domandai:
“Mi racconti, George, cosa le diceva suo nonno e cosa lo ha impressionato di più nei suoi discorsi di questi luoghi e di queste montagne?...”
Mi guardò con benevolenza, la domanda era di suo gradimento.
“Mio nonno ne aveva dei ricordi!...Mi parlava sempre di questo mondo misterioso che lo circondava e che aveva sentito parlare da sua nonno…Quante cose sono cambiate da allora!. C’ era una mentalità che facciamo fatica a capire oggi.
Per i contadini questo piccolo paese di case sbrecciate, incastonato fra rocce caotiche, confuse, disordinate, che formano le nostre montagne, non era altro che un“borgo”, sormontato da un gigantesco ammasso di pietre inutili perchè infruttifere, che ingombravano la piana e i campi, che sbarravano l’ orizzonte limitando la zona in cui vivevano.
E più in alto, oltre i sassi, quei crepacci, quei seracchi, quei grandi crestoni di ghiaccio, le nevi eterne; questo mondo proibito incuteva soggezione e, più spesso, terrore.
Per secoli questo ambiente che li sovrastava era un territorio sconosciuto, dove relegavano i draghi e i cattivi geni delle leggende.
Le guglie di roccia, simili a immense lance svettanti dal mondo dei viventi, non erano che il grido acuto della terra verso il cielo.
I fulmini erano il segnale di una potenza occulta, quando si scaricavano sulle alte cime. I boati delle valanghe e delle slavine, nell’immenso oceano bianco, assumevano l’aspetto di veri e propri segnali di potenti, misteriose, esoteriche manifestazioni occulte. Quando in estate si vedevano le scie delle “stelle cadenti”, che oltrepassavano le cime, la credenza popolare immaginava che queste sparissero nell’ambito di qualche anfratto fra le vette, alimentando sempre più quel clima agghiacciante di terrore, sbigottimento, spavento e di panico…
Ciascun villaggio viveva di ciò che poteva produrre la terra e il bestiame.
Ma ciascun villaggio aveva un numero di bocche da sfamare e di qui veniva l’impegno meticoloso di sfruttare, nel miglior modo possibile, ogni palmo di terreno.
Ecco perchè questa parte dell’ “universo”, squallido, inospitale, aspro e selvaggio, era vista con acredine e astio. Fino a due secoli fa, nessuno osava andare oltre la zona abitata, pochi quelli che osavano oltrepassare la zona delimitata dall’ erba e dei sassi,
nessuno osava calpestare la neve dei pendii e salire sulla montagna.
Gli uomini si limitavano ad avvicinarsi ad essa con trepidazione, ansia e timore… Lo sa che i camosci e gli stambecchi, mai braccati fino ad allora e perciò non timorosi, venivano loro incontro ingenuamente e arrivavano tranquillamente in paese?...
Le persone dapprima avevano un certo riguardoso rispetto per questi animali che abitavano “quel mondo”, per loro tanto misterioso, poi, incominciarono a cacciarli e, le persone più ardite, li incalzarono fino alle nevi eterne…In questi inseguimenti i cacciatori trovarono alcuni ‘“sassi” speciali, di vario colore e di forme particolari.
Analizzati, risultarono minerali ricercati e allora altre persone si spinsero, con trepidazione, a quote più alte per verificare la consistenza di questi ritrovamenti.
Sorsero, così. le prime “miniere”. Furono trovate, in piccole quantità, pepite d’oro e questo provocò, in formato ridotto, una specie di “febbre dell’ oro”!...”
George continuò:
“Con il passare del tempo, i valligiani si liberarono, pian piano, del timore e guardarono con ammirazione lo scenario che li circondava: vedevano di primo mattino le montagne emergere dalle nubi come isole di un altro mondo, mentre ad oriente si preparava una grande festa della natura: il ritorno del sole che batteva, per primo, sulle vette inondandole di una luce splendente, fiammeggiante, scintillante…
Quello spettacolo, bello, stupendo, magnifico, fantastico e gioioso sembrava, ed era, il rinascere di qualcosa: un nuovo giorno da godere!...
Il fenomeno non potè più influenzare negativamente gli abitanti del paese, perciò tutto quello che era stato mistero oscuro e sconosciuto, provocò una sua particolare attrazione e il timore delle grandi altezze e delle vette immacolate, si trasformò in “amore”...sì...un amore provocato da questa affascinante, seducente bellezza della natura…” – concluse George.
“Ma suo nonno credeva a questi, come dire, ...pregiudizi?” – incalzai subito io.
“Sì e no!...L’ambiente familiare aveva molto contribuito alla sua formazione mentale, ma credo fosse aperto a quello che, oggi, noi chiameremmo “modernismo”.Mi diceva spesso: “Là, dove terminano le ultime case, poi gli alberi e infine l’erba, sorge un regno sterile, selvaggio, esclusivamente minerale. Ma nella sua povertà estrema, nella sua nudità totale, questo regno del silenzio e della luce, deve avere qualcosa che può infondere gioia e attrarre gli uomini, altrimenti la natura non l’avrebbe creato così meraviglioso!... Nel suo genere mio nonno era un filosofo, lo sa?...” – e qui George sorrise.
“Credo lo fosse senz’altro…ed era anche un precursore…” – dissi io.
“Sì...quello sì...un precursore…un pioniere, un anticipatore dei tempi, anche se era lontano dall’immagine che, proprio da questa neve, che bloccava ogni attività degli uomini, sarebbe venuta la ricchezza con gli sport invernali ed estivi che oggi creano la maggior attività della valle e la sua prosperità... Ma lo sport dello sci fu scoperto più tardi…prima ci fu l’attrattiva dell’arrampicata!...E fu un momento particolare e importante per la zona.
Quando nella valle arrivarono giovani e meno giovani, sedotti dalla bellezza della montagna, mio nonno si schierò con loro e seppe capire i “tempi nuovi”...
Queste persone venute da lontano, erano diversi dal nostro aspetto: alti, biondi, magri, eleganti, signorili e parlavano una lingua nettamente diversa dalla nostra perchè erano Inglesi…Portavano con loro grossi carichi di materiale scientifico. Erano, per la maggior parte, uomini di studio: scienziati, professori, persone colte, erudite.
Si interessavano delle nostre montagne, volevano scalarle addirittura, volevano, insomma, carpire i loro segreti… Molta gente del posto li guardò, prima con sospetto, con diffidenza, poichè temeva andassero a provocare, ad aizzare, a sfidare le ire di quelle montagne che ancora vedeva con una specie di incanto vagamente malefico, poi, dato che offrivano molto denaro in oro, le resistenze, le perplessità e le titubanze cominciarono a diminuire. Questi Inglesi cercavano uomini del posto, robusti, risoluti, decisi, sbrigativi e non offuscati da secolari pregiudizi.
Mio nonno fu uno dei primi ad offrirsi per accompagnarli…Dapprima come uomo di fatica, portatore di carichi, poi come conoscitore della meteorologia del luogo, dello stato delle nevi e del ghiaccio, delle attrezzature più idonee per affrontare la montagna in genere… Erano le prime esperienze per arrivare alle “guide” di oggi!...”
Il modo in cui George raccontava queste cose mi affascinava… Non erano solo le notizie che mi interessavano e che davano alla conversazione un tono piacevole, era il modo di comunicare questi pensieri. Quando parlava di questi argomenti, il suo volto si illuminava, gli occhi gli brillavano e il viso assumeva un’ espressione di serenità.
Appena terminava un ragionamento, assumeva un atteggiamento che mi incoraggiava ad una domanda successiva. Io non lo…deludevo!...
Domandavo al mio gentile interlocutore:
“Ricorda, George, qualche nome di quegli Inglesi che suo nonno ha conosciuto?...” “Sì..Erano nomi che poi diventarono illustri…Wimper, ad esempio, giovane disegnatore-cartografo Inglese che conquistò, nel 1865, il Cervino, Hudson, Douglas e tanti altri. Tutti erano appassionati di montagna; intraprendevano tante scalate e ne ritornavano stanchi ma felici, perchè lassù avevano ammirato un panorama fantastico che mai nessun occhio umano aveva potuto vedere…Certo…ci furono le prime tragedie, ma la strada era aperta…Gli uomini, non solo gli Inglesi ma anche i locali, incominciarono ad accorgersi che quel mondo, “regno del silenzio e della luce”, infondeva una gioia che non ha l’uguale: la gioia che scoprono anche coloro che lo frequentano ancora oggi!...”
“Ma lei, George, ricorda quante scalate ha fatto ?...” – chiesi con curiosità.
“Quante scalate ho fatto io?... beh!...Se le dicessi mille, direi una cifra per difetto!...”
“E come cominciò?...” – sollecitai per farlo parlare. Sorrise amabilmente…
“Fu un fatto naturale…spontaneo, innato in ogni individuo…Ha notato i bambini?...Si arrampicano volentieri sulle finestre, sugli alberi, scavalcano con gioia una siepe per il piacere di superare un ostacolo…scoprire qualcosa di nuovo…spingere lo sguardo più lontano e più in alto possibile…Qui queste possibilità non mancano… e i ragazzi incominciano presto ad affrontare queste difficoltà...è l’inizio dell’ “alpinismo”, questo. Ogni bambino che grida felice per aver superato non ostacolo, un muro, una siepe è un potenziale alpinista…Io ero un bambino come tanti altri, forse più vivace, e i miei muri, i cancelli e le siepi erano queste montagne..
Così, fin da ragazzo, realizzai il mio desiderio. Diventai, pian piano, un esperto di montagna e fui una guida per più di mille ascensioni! Molto spesso, nelle mie scalate, mi addormentavo sotto le stelle e ogni volta mi sentivo felice proprio come si sente felice un ragazzo che ha realizzato i suoi sogni…
Quando mi svegliavo alla luce dell’ alba e vedevo attorno a me tutte quelle belle cime, ringraziavo Dio per avermi permesso di essere in quel luogo e poter iniziare una nuova giornata….”
“Penso che lei sia stata una guida molto ricercata dai clienti…” – azzardai.
“Sì...ma non mi sono mai sentito superiore agli altri…Ho fatto molte ascensioni in solitaria e con clienti, ma anche se avessi scalate tutte le cime, percorsi tutti gli itinerari, ancora non conoscerei completamente il mondo che mi circonda..
Per esercitare la professione di guida è necessario possedere due cose: l’esperienza e l’amore, ma soprattutto l’amore. L’ esperienza, col tempo, si acquisisce, l’amore no!...Devi averlo “dentro”, geneticamente…...Io penso che la tecnica debba essere considerata secondaria e che ben più importante sia, appunto, l’amore!
Per questo durante un’ascensione puoi trasmettere, al tuo cliente, attraverso la cordialità e il calore umano, tutta la passione, l’attaccamento, l’ammirazione per queste cime!...Vede, per essere una buona guida, bisogna conservare sempre lo sguardo di un bambino, perchè per vedere bene, non basta aprire gli occhi, bisogna, anzitutto, aprire il cuore con la semplicità, l’ingenuità l’innocenza di un fanciullo!...”
Parole più belle e delicate non le avevo mai sentite dire da una “guida, lo confesso, ma George doveva essere stato veramente una guida particolare, pensai.
A volte mi sorprendevo a fantasticare: ma quell’uomo è veramente George o uno degli antichi esseri fiabeschi sceso da quelle cime per insegnare agli uomini l’amore per la montagna? Un giorno glielo dissi.
Si mise a ridere sinceramente.
“No!...Sono solo un uomo…sono semplicemente una guida…una vecchia guida!...” In un pomeriggio piovigginoso in cui si stava bene davanti al camino acceso, lo incoraggiai a parlare di nuovo:
“George…mi piace sentirla parlare…lei descrive in modo veramente completo questa leggendaria figura della guida…mi parli della sua esperienza”
Mi guardò con benevolenza. Anche questa domanda era di suo…gradimento!...
“La mia esperienza?..Beh!...Come le dicevo, incominciai molto presto…dagli alberi, ai muri, alle siepi, passai direttamente alla “parete.”..Ero giovanissimo, allora!... Ben presto acquistai una certa confidenza con la montagna…ne scoprii i suoi segreti…io “parlavo alla montagna”, come diceva un poeta della sua regione, perchè, veramente, ci si parla con lei e ci si capisce!...”
Non volli fermarlo nel suo racconto, ma mi stupì quella citazione del Pascoli, avrei voluto chiedere come mai conosceva così bene la “letteratura”!...
“...I clienti non mi mancavano…” – continuò George – “...erano clienti italiani e stranieri e, posso confessarlo senza modestia, ero molto richiesto.
Mi feci le ossa in poco tempo…Non avevo un momento di riposo…sempre impegnato in alta montagna!...”
“Questo non l’annoiava un po’?...” – l’ interruppi io.
“No!...Questo è il segreto di una guida!...Il nostro mestiere potrebbe sembrare noioso perchè capita di ripetere le stesse ascensioni infinite volte, ma la guida non è soltanto una “macchina” per scalare una parete di ghiaccio o di roccia, per azzeccare le previsioni meteorologiche e i mutamenti del tempo, oppure conoscere l’itinerario…
No!...Se così fosse sarebbe veramente noioso…La guida non scala la montagna solo per il suo piacere o per convenienza…la guida apre le “porte” ai compagni di cordata!...
E’ come un “padrone di casa” che presenta , agli ospiti, le bellezze della sua abitazione, la sua tappezzeria, i suoi addobbi, i suoi parati e le sue decorazioni…ecco…lui presenta le sue formazioni di ghiaccio, quei pinnacoli, quelle guglie di un azzurro verde che da milioni di anni sono là ad adornare quel mondo fiabesco che è, un po’, la sua casa!...
Quando si avvicina ad un punto particolarmente suggestivo, sente in cuor suo il piacere di poter mostrare, a chi lo segue, una vista così stupenda e ne assapora il momento. Poi, come lo scenario si presenta, non dice nulla, ma la ricompensa alla sua fatica sta nel vedere l’espressione di stupore, di sorpresa, di meraviglia e gode nel vedere il sorriso di compiacimento e la grande gioia del cliente.
Presentare alla persona che è legata a te, una cresta che ha la finezza di un merletto, una “cattedrale” di ghiaccio piena di pinnacoli fosforescenti alla luce del sole, il gioco di ombre delle nuvole sui nevai eterni, un panorama particolarmente suggestivo, beh!...è un appagamento che si rinnova e ti gratifica ogni volta.
Sì...si dirà che ci sono delle “tariffe” per queste fatiche che si affrontano…che la guida viene pagata per mostrare agli altri queste bellezze..Ma se dovesse operare solo per il compenso, mi creda, cambierebbe mestiere subito!... E poi qual’ è il prezzo da richiedere per far ammirare questi meravigliosi panorami?... Se due o più uomini si incontrano e decidono di condividere le sorti di una scalata, non possono più sentirsi estranei. Quando si “legano” con la corda per qualche ora o per qualche giornata, all’ inizio sono degli sconosciuti ma dopo poco non sono più tali: diventano immediatamente amici!...La corda è come un cordone ombelicale!. C’ è un grande spirito di solidarietà nella cordata…L’ unione col cliente, la reciproca partecipazione, la fraternità che ne nasce, rende affascinante questa attività!. Se il cliente esita, la guida lo incoraggia; se la tormenta si solleva, la guida conosce i segreti della montagna e, per istinto e professionalità, indica la direzione giusta, poi, facendo appello al suo senso di responsabilità, aumenta le sue forze e, con l’incitamento, quelle dei compagni… Lotterà per riportare la “sua” cordata in salvo, il “suo” cliente” al sicuro…”
E qui, George, fece una pausa, quasi che il pensare alle numerose cordate da lui guidate l’avesse stancato, poi, girò lo sguardo verso la finestra: il cielo si era “aperto” e la cerchia delle montagne era visibile in tutta la sua maestosità. Continuò:
“La bellezza delle vette, la libertà degli spazi immensi, il rude piacere della scalata, l’affinità con la natura ritrovata, darebbero sì una gioia ma sarebbe fine a se stessa senza l’amicizia che crea la “corda” che ti stringe agli altri…”
Era un piacere ascoltarlo. Le sue parole venivano pronunciate, con una voce così avvincente e persuasiva come se fossero dettate dal cuore. Un uomo eccezionale, strano!.
“Ha mai trovato clienti difficili?...” – domandai ancora.
“Certo…e come!” – rispose subito – “...ma tutti appartenevano ad una certa categoria”.
“Quale?...”
“Dei presuntuosi…” – rispose deciso – “...dei boriosi, dei superbi, delle persone che ignorano i pericoli della montagna: la categoria degli incoscienti, dei…“faciloni”!...
Ma la stragrande maggioranza sa, che con la montagna non si bara, non si scherza, non si “bluffa”...no…la montagna esige deferenza, devozione e pretende rispetto…
tanto rispetto!. La montagna ha molte insidie, trabocchetti, trappole, spesso nascoste e pretende, quindi, remissione. Contrariamente a quanto molti pensano, l’alpinismo non significa rischiare inconsciamente la vita per svago, per diletto, per scommessa, per “snobismo”. Stando sospesi per giorni interi alle pareti sorretti da incerti ganci, col solo proposito della scalata da raccontare agli amici non è il fine di una scalata…
Certo una determinata cima, oggi, si può raggiungere anche con un mezzo meccanico di risalita. Allora perchè non usarlo senza mettere a repentaglio la vita?...
Da questo punto di vista, l’alpinismo può sembrare uno sport illogico e masochistico, ma non è così...No!...Non è così!...Chi ama la montagna non accetta comodi compromessi. Anche se l’eccessivo tecnicismo e il virtuosismo di alcune moderne tecniche di “scalate in artificiale” può confondere e disorientare un po’ tutti, il vero alpinismo è ben altra cosa: soprattutto un motivo di lotta, di conquista interiore, di affinamento e godimento spirituale che ha, quale magnifico e ideale campo d’ azione, la montagna!...
Le fatiche, le sofferenze, le privazioni che quasi sempre comporta l’ascesa alla vetta, diventano valide motivazioni che l’alpinista accetta nella scalata per temprare la sua forza e il suo carattere. Inoltre, nel clima della lotta, a tu per tu con le difficoltà, le incognite e i mille pericoli, l’alpinista appare quello che veramente è, spogliato, con spietata sincerità, sia nei pregi che nei difetti, verso se stesso e verso gli altri…
La montagna è uno specchio che riflette tutte le caratteristiche dell’ “uomo” che si presenta al suo cospetto: evidenzia la sua generosità, grandezza d’ animo, abnegazione, coraggio, tempra combattiva, capacità di soffrire in silenzio ma anche, le sue debolezze e:meschinità...”
Dovevo confessare che quell’ uomo mi stupiva, mi “incantava” sempre di più!..
Mi affascinava, aveva una capacità di attrarre l’attenzione, una proprietà di linguaggio non comune, una semplicità di esposizione, pur affrontando il “tema” montagna sotto tutti gli aspetti. Esponeva concetti sull’attività della guida con uno spirito entusiasta, con calore e ardore giovanile, con un fervore e un’ammirazione da neofita.
Eppure aveva all’attivo più di mille scalate e sulle spalle un’attività di oltre cinquant’anni di fatiche…
Quale il segreto?...Cercai di darmi una risposta: forse conservava in lui lo spirito ingenuo, schietto, semplice e puro di quando era bambino: aleggiava nel suo temperamento il “fanciullino”, descritto dal Pascoli e, anche da adulto, aveva scalato cime impervie con l’entusiasmo di quando saliva sugli alberi, saltava un muro o una siepe…
Un “fanciullino” nell’animo che aveva dimora dentro ad una granitica tempra d’uomo.

C’era un particolare che mi interessava ancora, un aspetto che ben difficilmente una guida normale avrebbe confidato con il candore della mia vecchia guida, un particolare che io ho sempre desiderato conoscere.
Chiesi, quindi:
“George…ha mai avuto paura nella sua attività alpinistica?...”
Fece un sorriso largo e sincero, si mise una mano sui folti capelli bianchi e, con un movimento della testa che doveva intendersi come una conferma, disse: “Guai…guai…se in montagna la guida non provasse il senso della paura…sarebbe un inconveniente serio…significherebbe che è un incosciente, un irresponsabile, uno sconsiderato..No!..La guida “deve” avere paura. E’ un suo dovere!...E poi…sa qual è il vero piacere della paura?...lo sa?...”
Si mise a ridere, con fare sornione, davanti al mio disarmante imbarazzo.
“Il vero piacere della paura è potersi procurare la gioia di saperla vincere!...” – concluse.
Quest’ uomo aveva il potere di rendere interessante ogni sua parola.
Continuò:
“L’alpinismo, lo ammetto, può essere più pericoloso di alcune altre attività sportive, però, se si avvicina alla montagna coscienziosamente preparati e si osservano le giuste regole della prudenza, della riflessione, della cautela, l’avventura alpinistica diventa una cosa totalmente diversa dall’impresa temeraria e imprudente….
Purtroppo, anche in montagna esiste l’imponderabile che può portare alle più gravi tragedie ma, in questi casi, non è l’essere umano a decidere.
La paura è una condizione che accompagna gli esseri viventi fin dalle tenebre della creazione dell’Universo, è uno stato psicologico innato che si presenta nelle più svariate occasioni della vita, ma la vera conquista dell’uomo pensante è la razionalità, la capacità di dominare i sentimenti, i propri istinti, i propri impulsi, le inclinazioni e le tendenze che si manifestano nel corso dell’esistenza. Questa è la vera vittoria dell’uomo: sapere imporre la propria volontà a se stesso!. Mi spiego?...”
Si spiegava anche troppo bene!...Mi chiedevo sempre più spesso: “eppure quest’uomo ha qualcosa di strano…di misterioso…”
Io restavo allibito da tanta profondità di pensiero e da tanta saggezza.
L’ascoltavo con interesse, con attenzione, con immensa ammirazione e ciò che apprendevo era avvincente. George mi aveva descritto, in maniera psicologicamente perfetta, la figura della guida ed era quello che volevo.
Conoscevo abbastanza bene l’“uomo” guida, ma non conoscevo intimamente coloro che mi avevano accompagnato tante volte nelle scalate.

L’anno successivo andai a cercarlo fin dai primi giorni della mia permanenza a Cervinia.
La porta della sua abitazione era chiusa.
Non c’era nessuno fuori.
E così per alcuni giorni.
Mi incuriosii e chiesi notizie di lui.
“No…Il professore quest’anno non c‘è...è partito…è andato dal figlio in città...”
“Il professore?...” – chiesi io meravigliato – “ma non era una vecchia guida alpina locale?.”
“Sì...certo che lo era…Era una delle migliori e più esperte…”
“Ma…allora perchè lei lo chiama professore?...”
“Perchè lo era…era laureato in filosofia, ma amava troppo le sue montagne ed aveva abbandonato tutto per vivere qui…”

Solo in quel momento, capii molte cose di quel “birbante” di George!...


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