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Urla silenziose (Felsinea, l’ultimo baluardo)
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Bruno Mazzoni - Urla silenziose (Felsinea, l’ultimo baluardo)
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 274 - Euro 17,50
ISBN 978-88-6587-2031
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In copertina: «Shell woman» – olio su tela – cm. 60×60 – 2008 di Daniele Gori
Urla silenziose di Bruno Mazzoni, è un romanzo di fantascienza estremamente coinvolgente ed affascinante. L’azione domina in ogni pagina con i canonici effetti speciali del genere fantascientifico ma ciò che coinvolge maggiormente è il ritmo serrato con continue sorprendenti invenzioni narrative, in un gioco d’alternanza tra suspense e tecno fantasy.
Tutto ha inizio sulla base spaziale Pigma, quando il Supremo contatta il comandante Noelis della flotta coloniale per svolgere una missione “impossibile” che implica il ritorno sulla Terra: logicamente la missione è coperta dalla massima segretezza e solo Noelis conosce la meta dell’astronave.
La tragedia in atto vede un esercito di robot distruttivi, chiamati Spartaco e guidati da Socrate, che sta distruggendo gli esseri umani come ad assolvere un’atroce vendetta. Socrate comanda i robot ma è l’unico ad avere un cervello umano: la sua forza è immensa, il pianeta è nelle sue mani dopo che ha controllato ogni sistema operativo ed è pronto per lo sterminio, per la risoluzione totale.
Socrate, di certo, si stava vendicando degli esseri umani dopo aver costruito i robot Spartaco: forse il suo scopo era capire se i robot potevano evolversi senza la presenza degli esseri umani.
L’ultimo baluardo della resistenza rimaneva la Città Stato di Felsinea, che sarebbe stata l’ultima città ad essere annientata: e pensare che proprio Felsinea aveva sempre propugnato la pace ed il confronto tra le opposte fazioni.
Tutta la vicenda si dipana ai confini tra estrema fantasia, visione immaginifica e possibile scenario futuro che l’Umanità, probabilmente, si troverà ad affrontare tra breve tempo.
Bruno Mazzoni è scrittore avvincente che sa affascinare con spettacolari immagini e fantasmagoriche narrazioni che nascono dalla sua fervida fantasia.
In sintesi, le vicende sono raccontate con uno stile personale e ritmo implacabile.
Massimiliano Del Duca
Introduzione dell’autore
Perché scrivere? Oggi me lo sono chiesto. Nel 2000 ero ammalato di leucemia, ho lottato per guarire, non ero spaventato, a volte ero demoralizzato per gli insuccessi terapeutici ma non mi sono arreso. Girando per gli scaffali di una libreria, mia moglie mi ha fatto vedere alcuni libri scritti da persone che hanno voluto lasciare una testimonianza del loro calvario. “Scrivi anche tu quello che hai passato!” mi ha detto, avevo cominciato ma poi, colpa dei troppi termini tecnici, che conoscono il significato solo i dottori, ho deciso di usare la fantasia. Come facevo da bambino, ho ipotizzato che la malattia sia un esercito potentissimo che colpisce, seguendo uno schema distruttivo, ogni punto del globo. La mia intolleranza alle cure nuove sono le armi moderne che non funzionano contro i robot Spartaco. Le missioni di soccorso con pittoreschi velieri sono le medicine che salvano quello che si può del fisico. Il conto alla rovescia è il tempo che ti rimane da vivere, consapevole che se non hai un donatore per il trapianto sei morto. La battaglia finale, più il processo a Socrate e i giorni di schieramento dei robot sono il periodo in cui sono rimasto isolato dal mondo, durante il quale ho subito la chemio e il trapianto di midollo, prima cura efficace contro la leucemia, ma qualcuno la ritiene obsoleta. L’ultimo scontro armato sono i problemi di rigetto che i dottori chiamano GVHD (unico termine medico che conosco), controllabile con vari farmaci. Alla fine ho ricostruito la mia vita partendo da zero, come gli ultimi Felsinei si ritrovano dopo anni per ricostruire la città, finendo la storia.
Ho semplicemente reso più fluido il racconto per mantenere un minimo di coerenza con la storia, seppure fantasiosa, un filo logico ho dovuto seguirlo. Il nome Socrate l’ho scelto perché il filosofo non ha lasciato nulla di scritto, ma il suo insegnamento ha cambiato molto nella cultura classica dell’umanità, la leucemia ha lascito un segno indelebile nel mio fisico, sono in remissione completa, ma la malattia c’è stata. Ora non ce n’è traccia ma prima c’era; Socrate ha lasciato un segno perché sappiamo che è esistito attraverso lo scritto dei suoi allievi. Non sono pazzo ad aver fatto questo strano paragone, ma a modo mio ho illustrato il mio calvario. Non ho un titolo di studio e non sono uno scrittore, ciò che ho fatto andava fatto.
La leucemia so che l’ho avuta, allo stesso modo, so che Socrate è esistito. “Urla silenziose” è un modo di esprimere il mio stato d’animo, ma nonostante tutto nessuno può realmente capire cosa succede all’interno. Anche se urli non sei ascoltato, il dolore che provi è indescrivibile e per quanto lo descrivi in un libro, non renderà mai l’idea di cosa ti passa realmente nel cervello. Ti rendi conto di aver perso qualcosa ma non riesci a descriverlo, il vuoto ti logora più della malattia, il fisico che si smembra velocemente, la salute che ti abbandona, tutto è reso ancora più amaro dal fatto di rendersene conto.
Un tempo sei forte, hai la moto, lo spirito libero della gioventù, tutta la voglia di vivere e ti senti immortale, ma poi improvvisamente comincia l’incubo e la consapevolezza di essere un pesciolino rosso nel bicchiere di cristallo in mezzo a una mandria inferocita, la salute è il cristallo che se si rompe, esce l’acqua di vita lasciandoti a seccare al sole. Cerchi conforto anche in Dio ma sembra non ascoltarti, allora decidi di sfoderare gli artigli perché non vuoi morire senza combattere. È solo a questo punto che acquisisci la consapevolezza di ricominciare a vivere e godere di ciò che ti è rimasto.
Sono stato abbandonato al mio destino, ma la mia famiglia mi ha sostenuto, colmando qualche vuoto, il resto è storia di tutti i giorni. “Combatti fino alla fine, ne vale la pena e non fidarti di nessuno, confida solo su te stesso” ho pensato più volte. “Ogni domanda merita una risposta. Allora cercala!” è ciò che mi aiuta a continuare, pianificando di volta in volta uno scopo di Vita.
Urla silenziose (Felsinea, l’ultimo baluardo)
Base spaziale di Pigma
Noelis era il comandante più fidato della flotta coloniale, era la prima volta che il Supremo lo convocava personalmente, erano stati compagni di scuola ma le carriere si erano separate, per lui quella militare mentre per l’altro quella ecclesiale. La guerra contro Discen aveva obbligato i coloni a difendersi dai continui saccheggi, le astronavi mercantili erano depredate e a nulla era valsa la proposta di un accordo per porre fine alla guerra.
Supremo: “Si è già sparsa la voce che la Terra ha inviato un messaggio di soccorso. Ho dichiarato che Dio ci impone di ignorarlo e la legge proibisce di tornare nel sistema solare. Abbiamo l’obbligo di non tornare sulla Terra, i nostri antenati l’hanno sottoscritto e con l’intercessione di Dio hanno cancellato la rotta da tutte le carte stellari. Ora più che mai ho bisogno di un comandante fidato. Il messaggio alludeva a un pericolo per l’umanità e noi siamo coinvolti come tali. Ho deciso che una spedizione segreta farà ritorno sulla Terra, se Dio vorrà, andrà a buon fine. Non è solo il fatto che sarai tu a comandarla, ma anche che abbiamo bisogno di nuove armi per porre fine alla guerra contro Discen. Dovrai raccogliere informazioni e armi utili, non menzionerai ai terrestri della nostra guerra e soprattutto non li informerai delle razze aliene che abbiamo colonizzato. Mantienili all’oscuro. Sappiamo che hanno abbandonato la fede in Dio, per abbracciare quella della conoscenza illuminata. Abbi fede e concluderai il tuo mandato egregiamente. La mia carica divina mi ha dato il potere di accedere alle sacre scritture e di conferirti il sapere necessario per tornare sulla Terra, la rotta stellare è conosciuta solo da pochi, ora anche tu ne verrai a conoscenza per volere di Dio.”
Noelis stava zitto. Non credeva in Dio ma non lo lasciava trasparire per non essere escluso dalla nobiltà e rispondeva con veemenza al rituale, facendo credere che era un devoto sincero. Attese il chip con le istruzioni sapendo benissimo che non era di provenienza divina ma semplicemente umana. I terrestri erano conosciuti come i più potenti dell’universo, erano leggenda e fiaba per bambini. Tra i coloni delle stelle, la mitologia li aveva resi immortali. Solo il clero conosceva la verità e si guardava dal divulgarla per non perdere il potere sui coloni. L’arte della guerra era il modo di vivere dei terrestri; combattevano con armi potentissime che potevano distruggere il pianeta, ma si fermavano sempre prima di autodistruggersi. Il Supremo voleva accedere al sapere terrestre, rinvigorendo il potere umano nell’universo, poiché il solo credo non bastava per mantenere il popolo spaziale soggiogato. Le razze aliene non capivano il significato di credere in un’entità invisibile così potente da distruggere intere città, ma ciò che non si vede spaventa come una belva celata nel buio. Simboli religiosi erano sempre in prima linea per intimorire i nemici ma la scissione umana in due faide aveva minato il potere ecclesiale su coloni e Pigma. Il Supremo voleva ricompattare la frattura interna con l’uso di nuove armi terrorizzando i nemici, ma solo i terrestri erano in grado di inventarle.
Noelis aveva studiato la storia terrestre fino all’esilio dei dissidenti religiosi, che erano stati obbligati a viaggiare nello spazio per sempre con l’obbligo di non tornare nel sistema solare. La speranza di trovare un pianeta dove vivere li aveva spronati a non arrendersi e gli esiliati erano riusciti a colonizzare e plasmare un posto ideale per vivere. Pigma era un pianeta verde con una flora rigogliosa, due oceani, due lune e vari laghi di acqua dolce.
Nel sottosuolo viveva una razza aliena intelligente, con un casato reale che governava sui ceti minori, ma non costituiva una minaccia e non interagivano assiduamente con loro. Gli scissionisti umani, capitanati da Discen, primo umano geneticamente modificato, avevano convinto alcuni gerarchi Pigma a creare un nuovo casato reale e a scindersi dalla regina madre. Tale alleanza aveva sconvolto l’equilibrio che era stato siglato con l’arrivo dei primi coloni. L’immoralità di Discen aveva deturpato la mente aliena dissacrando il pacifismo che li contraddistingueva dalla razza umana. Era da più di quindici anni che imperversava la guerra e la situazione era di stallo; nessuna delle due fazioni in lotta accennava a cedere. La religione proibiva la manipolazione genetica umana e, con l’appoggio della regina Pigma, il Supremo Sacerdote era riuscito a mantenere il controllo del pianeta. Gli serviva una nuova strategia per sconfiggere Discen, che aveva formato un esercito di pirati geneticamente modificati e terrorizzava le rotte commerciali. Ora, con il messaggio di soccorso, avevano il pretesto di tornare nel sistema solare, carpire nuove armi e dimostrare la superiorità agli scissionisti.
Il viaggio di 24 anni e 8 mesi solari non spaventava Noelis. La stasi avrebbe trasformato la spedizione, facendola sembrare corta e di breve durata. La vecchia nave coloniale era stata ammodernata per rendere il viaggio più comodo, le armi erano state potenziate per difendersi da Discen, in passato era solo per l’esplorazione, ora era anche per la guerra. Il chip di viaggio era segreto, solo Noelis lo conosceva. Nessun membro dell’equipaggio era al corrente della reale missione, era stato preparato un dossier falso solo di facciata; ufficialmente la missione era esplorativa, come tante altre in passato, e non d’interesse commerciale, per ridurre il rischio di aggressione da parte dei pirati. Le spie erano ovunque nella società coloniale; spesso la polizia segreta doveva operare tenendo all’oscuro le alte cariche ecclesiastiche per non minare il successo delle operazioni di spionaggio. Questa missione era stata pianificata con la collaborazione di pochi fidatissimi, la rotta per la Terra era sconosciuta dai più e non compariva in nessuna carta stellare. Il Sistema Solare era protetto da un campo magnetico impenetrabile, ma esisteva una via tortuosa creata dalle comete che la rendevano insidiosa e solo pochi erano in grado di tracciare il percorso evitando i pericoli.
Discen non era abbastanza astuto da riuscire nell’impresa, non avendo l’adeguata conoscenza della zona magnetica. Non bastava conoscere la posizione per raggiungere la Terra, ci voleva la rotta precisa per evitare la collisione con i corpi celesti e attraversare il magnetismo seguendo un percorso esatto. Le prime astronavi coloniali avevano cercato la via per uscire dal sistema solare e molte erano perite nel tentativo, le poche che c’erano riuscite avevano riportato notevoli danni e avevano aggirato la zona magnetica impiegandoci centoventi anni.
L’equipaggio dell’astronave Andrea D’Oria era riuscito a fuggire dalla zona morta e l’aveva descritta come un cimitero di astronavi, non solo coloniali ma anche aliene. La carta stellare più dettagliata era loro, ma fu resa segreta per nascondere l’accesso al sistema solare, poiché aveva tracciato l’unica via breve per il pianeta Terra. Noelis sapeva della sua esistenza, ma solo ora aveva avuto la certezza e la possibilità di percorrerla. Il combustibile creato dai Pigma era ideale per attraversare la zona magnetica mantenendo una spinta costante per non bloccarsi. Con l’ausilio di una fusoliera modificata, poiché era necessario mantenere un angolo di entrata e uscita, si poteva attraversare il magnetismo. Il connubio tra le due culture era indispensabile per il buon esito della missione.
Il chip, con le coordinate e la via da seguire, lo avrebbe installato solo a stasi dell’equipaggio inoltrata, per non correre il rischio di spionaggio. Il viaggio poteva cominciare, e lui fu l’ultimo a entrare nella capsula di stasi come da protocollo e sognare il lauto premio a missione terminata.
Felsinea sulla Terra
950 giorni alla fine
La sala era arredata con un lungo tavolo di cristallo con venti sedie abbinate a esso. Il Reggente Silvia era in piedi vicino alla vetrata panoramica, era in attesa dell’arrivo del consiglio cittadino. Era palesemente perplessa e preoccupata, durante il suo mandato aveva affrontato piccole dispute politiche con gli oppositori, ma non aveva mai dovuto affrontare problemi così importanti come la guerra. Sessanta milioni di soldati non erano bastati a fermare tre milioni di robot Spartaco. Dall’inizio del conflitto erano passati cinque mesi e più di un miliardo di esseri umani era stato trucidato dall’esercito di Socrate.
Silvia continuava a pensare alle parole da usare alla presenza del consiglio cittadino, che a sua volta le avrebbe riferite agli altri. Non poteva deludere chi aveva riposto fiducia in lei, non sapeva come comportarsi, ma sicuramente avrebbe parlato affrontando gli argomenti di volta in volta e avrebbe delegato ad altri le spiegazioni in dettaglio. Se la legge glielo avesse concesso, avrebbe rinunciato al suo mandato, il fardello che doveva sostenere era troppo grande, ma il senso civico del dovere l’aveva convinta a non fuggire per non deludere i Felsinei. Il suo mandato di dieci anni era solo all’inizio, era stata eletta in un clima maschilista, la sua bellezza era appena offuscata da qualche ruga e il partito aveva deciso di dare un volto nuovo alla politica, incutendo fiducia scegliendola. Nonostante il clima sfavorevole alle donne era riuscita a farsi strada, rinunciando ai doveri di madre e moglie. Il marito e il figlio si erano allontananti da lei lasciando il vuoto che non era riuscita a colmare, i doveri politici erano stati messi in primo piano azzerando i sentimenti famigliari.
La città Stato di Felsinea era priva di difesa e non aveva un esercito. Dopo 200 anni di pace apparente, nessuno aveva previsto una guerra di così grandi proporzioni, il genere umano era prossimo all’estinzione e il conto alla rovescia era già cominciato. Felsinea con la sua mega centrale elettrica e con scarse risorse militari, aspettava il giorno della fine, mancavano due anni e sei mesi, poi i robot sarebbero arrivati per distruggere la città e trucidare l’ultimo baluardo di civiltà umana.
Silvia osservava la pianura agricola, i robot stavano seminando il grano, non credeva che dalle macchine scaturisse tanto odio nei confronti degli umani. Aveva già deciso di disattivare ogni computer e bloccare la robotizzazione dell’economia, bisognava solo convincere gli ultimi ottusi del consiglio e impedire all’opposizione di interferire. La guerra culturale e quella planetaria avevano creato un clima di sottovalutazione delle donne, secondo gli antichi filosofi il diritto di una moglie era solo quello di soddisfare il marito e curare la crescita della prole nei primi quattro anni di vita, poi all’educazione ci avrebbe pensato il complesso sistema dell’istruzione. Il dissenso nei suoi confronti non era solo politico, ma anche discriminante per il fatto di essere donna; doveva continuamente dimostrare di essere all’altezza nel fronteggiare il sistema maschilista e non farsi sopraffare dai pregiudizi ipocriti dei membri del partito. Con la guerra robotica si era creata una situazione di stallo per lasciare il rischio del fallimento al Reggente neo eletto. L’opposizione si era chiusa mantenendo il distacco e non intervenendo assiduamente per non ricevere il fardello del comando su di sé, ma per lasciarlo agli altri, mantenendo il diritto di replicare leggermente dai margini del potere politico.
Alle 17,00 la sala si riempì di cittadini; mentre i consiglieri si sedettero al tavolo, i volti seri non lasciavano dubbi: la situazione stava precipitando. Il mormorio e le solite critiche maschiliste avevano insinuato un po’ di malumore, ma Silvia si era limitata a mantenere un silenzioso dissenso e aveva azzittito i più estremisti con uno sguardo autoritario; la stanza si azzittì totalmente all’ingresso di un sopravvissuto.
Il superstite raccontava la battaglia che lui stesso, come inviato giornalistico, aveva visto: “…I robot in tre giorni si sono schierati, credevamo che fosse una parata di robot, i bagliori colorati delle corazze erano stupefacenti, la regalità dei movimenti era affascinante. Da ogni punto cardinale arrivavano dei segmenti che con manovre sincronizzate si disponevano per formare una strana spirale… Era una sorte di disegno sulla superficie, perfetto in ogni suo punto, il rumore era simile a una sinfonia, data la precisione simultanea dei movimenti, pareva che ballassero… Alle 6,00 del mattino del terzo giorno la spirale si è mossa in senso antiorario. Il rumore dei cingoli che calpestavano ogni oggetto era particolare, a volte sembrava uno scricchiolio di asse di legno, ma ci siamo resi conto che erano i corpi dei curiosi intervenuti per osservare da vicino gli Spartaco.
I soldati si erano schierati sul perimetro della città, il cielo s’illuminò con il bagliore dei laser, i robot dovevano soccombere in pochi attimi, mentre migliaia di fanti conversero verso di loro, poiché la battaglia sembrava già vinta. La controffensiva di Socrate è stata immediata, i soldati non hanno avuto scampo, sono stati imprigionati nella spirale e sono stati obbligati a proteggersi da ogni lato, lentamente sono stati inglobati e gli Spartaco li hanno soppressi velocemente… Ogni Spartaco ha assorbito l’energia dalle armi convenzionali; poi, con dei potenti raggi laser, ha sbaragliato ogni nucleo di resistenza. A ogni colpo sono morti centinaia di uomini… Si muovevano lenti sul campo di battaglia, i feriti sono stati trucidati o lasciati morire in una lenta e inesorabile agonia mortale. Le urla dei moribondi era agghiacciante, non c’era distinzione, tutti dovevano morire… I civili in fuga non hanno avuto scampo, la spirale che i robot formano, non solo serve per scovare e uccidere esseri umani, ma anche per distruggere ogni opera dell’uomo e devastare le coltivazioni agricole, così i superstiti muoiono anche di stenti e di fame… I laser sminuzzavano tutto, i palazzi sono stati troncati e tagliati per poi essere polverizzati; dopo il passaggio dei robot è rimasta solo una superficie pianeggiante. Ogni computer si è ribellato all’uomo, solo vecchi modelli di robot chirurghi medici hanno continuato a soccorrere i malati e i feriti, gli Spartaco li hanno disattivati senza polverizzarli, poi sono stati smontati, scomparendo nella spirale. Navi e aerei rispettivamente affondavano e si schiantavano, generando il caos e seminando il panico tra i civili, diventando il terrore dei vivi…”.
Il giornalista fece una lunga pausa e nella sala nessuno commentò ciò che aveva appena sentito.
Continuò: “…Bastarono pochi minuti per spianare la città, i resti di milioni di civili sono stati tritati e mescolati con i calcinacci della devastazione… Al termine della prima fase la spirale si scompose, frammentando i ranghi in gruppi di otto robot e completando la distruzione di ciò che era ancora funzionante, uccidendo altri esseri umani… La foresta che si trovava ai margini della Città Stato era diventata il rifugio di molti civili, ma i robot l’hanno setacciata per ucciderne il maggior numero, cominciando dai portatori di protesi biocibernetiche… Ho avuto molta fortuna e sono sopravvissuto, forse perché sono rimasto solo, ma ho visto l’inferno che è scaturito da quel demonio di Socrate…”.
Il racconto del giornalista era pieno di particolari, il cameraman era morto tagliato in due da una raffica laser, lui era riuscito a fuggire attraverso la fogna e a rientrare in patria con una nave mercantile di vecchia concezione. Lo sguardo impaurito e la fievole voce avevano evidenziato la gravità della situazione. Un esercito che non fa prigionieri spaventa tutti, soprattutto quelli tutelati dalla legge internazionale che salvaguarda i giornalisti e gli operatori sanitari, proteggendoli dalla morte per ritorsione.
Ogni tentativo di mediare la resa incondizionata dell’umanità era stato rifiutato da Socrate, nessuno sapeva perché tanta efferata crudeltà da un robot costruito dall’uomo; le ragioni che lo guidavano nello sterminio erano sconosciute e tutti gli ambasciatori erano stati trucidati. Socrate era l’unico robot dotato di cervello umano, l’espansione di tale tecnologia era stata vietata a livello planetario, era ritenuta pericolosa per la sopravvivenza del genere umano. Nonostante tutte le precauzioni prese per isolare il robot, era riuscito a costruirne un esercito atto a sterminare gli umani. Gli attacchi all’esercito di Socrate erano sempre finiti con lo sterminio di milioni di civili, erano già morti quasi un miliardo e mezzo di umani. I missili nucleari erano stati disinnescati prima di colpire gli Spartaco. I circuiti di puntamento erano computerizzati e controllati da Socrate e qualsiasi arma elettrica era stata inefficiente. Il pianeta era alla mercede dei robot che stavano sterminando sistematicamente il genere umano. Socrate aveva cominciato lo sterminio dalle Città Stato più armate e con l’esercito meglio addestrato, Felsinea sarebbe stata l’ultima città ad essere distrutta, poiché priva di strutture militari, era considerata la meno bellicosa e più vulnerabile. La sua pianura agricola era ideale per lo schieramento dei robot, la distruzione della Città Stato sarebbe avvenuta in poche ore, così avevano sentenziato gli scienziati e studiosi.
Il consiglio si era prefissato di stabilire una linea di difesa per contrapporsi a Socrate, si vidimarono tutte le proposte provenienti dai gruppi di studiosi. I delegati dei cittadini intervennero assiduamente nel dibattito per tutelare le fazioni più deboli, l’obiettivo era di proteggere tutti i felsinei. La riunione per deliberare si protrasse per tutta la notte, valutando tutte le esigenze delle caste, anche le più povere. Con vari compromessi si riuscì a far combaciare le esigenze civili con quelle militari, le liti furibonde erano dominanti, ma si arrivò a un accordo bilaterale soddisfacente. Il Reggente Silvia si era solo limitata a coordinare gli interventi, affinché il dibattito non sfociasse in una baraonda di urlatori, aveva mantenuto una calma apparente, ma era decisamente preoccupata per la sorte di Felsinea.
948 giorni alla fine, Felsinea
Le decisioni prese da Silvia erano notevoli ma necessarie. Fu reintrodotto il servizio militare obbligatorio dall’età di quattordici anni, la legge marziale, la pena di morte per i criminali e la confisca di ogni arma elettrica o laser. I carcerati avevano solo una via d’uscita, la leva militare con i lavori forzati, senza possibilità di appello, era l’unica alternativa alla pena capitale. Le caste minori avevano gli stessi diritti delle agiate, le risorse erano da suddividersi equamente per mantenere l’ordine pubblico; scelse di dare i privilegi ai più deboli senza toglierli ai più illustri, bilanciando la vita sociale.
Nei mesi precedenti gli strateghi militari avevano intuito che Socrate non poteva utilizzare le armi nucleari sugli obiettivi, poiché dannose per la tecnologia dei robot, aver privato gli umani delle batterie di missili, aveva reso l’umanità priva di difese efficienti. Molti scienziati esteri erano in continuo contatto con Felsinea che li teneva informati di dettagli utili per pianificare una strategia di difesa e creare una valida controffensiva. Il comitato di cittadini era sempre presente alle riunioni, partecipando vivamente ai dibattiti per garantire equità nelle decisioni. Molte idee erano pervenute da piccoli gruppi di lavoro, ottenendo molto consenso anche dai politici che spesso non erano in grado di pianificare e organizzare la coordinazione necessaria per attuare i progetti approvati. Molti oppositori politici giudicavano la collaborazione con tutti i ceti, un palliativo per mantenere l’ordine pubblico, ma in realtà non era di nessun beneficio per la guerra, negando l’evidenza dei buoni risultati che si stavano ottenendo. Il Reggente si limitava a illustrare le cose positive che stavano scaturendo dall’unità popolare dei vari ceti, omettendo che chi lavorava veramente erano solo le caste più deboli meno tutelate. Il suo governo era sostenuto dai benestanti e non poteva deluderli. Al contempo doveva salvaguardare tutti i cittadini di Felsinea, nascondendo abilmente i giochi di potere. Fingeva di tutelare anche i ceti minori con piccole riforme legislative solo per mantenere l’ordine pubblico.
La strategia di difesa prevedeva solo l’uso di armi da fuoco prive di strumenti elettronici, lo Spartaco si nutriva di elettricità, se privato di tale risorsa la potenza distruttiva si riduceva del 40%. La centrale elettrica sarebbe restata attiva fino a sette mesi prima della battaglia finale, per far sì che le fonderie potessero forgiare gli obici e le munizioni necessarie. Ogni cittadino doveva preparare derrate alimentari a lunga scadenza. Felsinea era una società di studiosi, il popolo più illuminato del pianeta, la pianura agricola era robotizzata, ma i felsinei erano gli unici in grado di sostituirsi ai robot nell’adempiere alla produzione di derrate alimentari. In molte parti del pianeta i popoli erano più propensi a creare scaramucce con i confinanti e preferivano non occuparsi dell’agricoltura, lasciando l’incombenza ai robot. La natura al di fuori delle Città Stato era rigogliosa e formava immensi parchi naturali, teatro di continue diatribe territoriali di nessun valore commerciale, utili solo per dimostrare la propria superiorità bellica.
Le battaglie erano sempre pittoresche più che sanguinarie, le armi elettriche erano usate per stordire e fare prigionieri, per poi scambiarli con parate dimostrative, nell’intento di umiliare i nemici.
Inspiegabilmente le due fazioni vantavano comunque la vittoria, rivendicando di avere raggiunto l’obiettivo pianificato.
Gli ingegneri felsinei studiarono dei rifugi con labirinti di cunicoli per nascondere le armi, i viveri, le medicine e la popolazione. Il personale medico doveva riscoprire la medicina primordiale, quella di Galeno di Pergamo, medico dei gladiatori nell’antica Roma, senza l’ausilio di strumentazione elettronica.
Gli scienziati avevano scoperto che i robot comunicavano con micro impulsi radio, le radiazioni d’uranio danneggiavano i circuiti visivi e riceventi. Gli strateghi militari ritenevano che senza le comunicazioni la coordinazione veniva meno e gli Spartaco sarebbero diventati vulnerabili. Bisognava, però, far detonare una bomba sporca radioattiva al centro dello schieramento e continuare con un forte bombardamento con gli obici. I robot non dovevano entrare in città, ma restare fuori dalle fortificazioni per rientrare nel perimetro dei bombardamenti, evitando la distruzione della città dal fuoco amico. Le batterie dell’artiglieria sarebbero state collocate sulle colline per dominare la vallata, la pianura agricola ed eventualmente la città.
La città di Felsinea dominava la vallata e la pianura agricola, le sue colline erano coperte da boschi e castagneti. Era a forma di sole, il palazzo del governo al centro e le 12 vie principali costituivano i raggi. I palazzi formavano degli anelli e man mano che ci si allontanava dal centro, gli edifici erano sempre più poveri e meno sfarzosi. Il popolo era suddiviso in gerarchie, chi aveva svolto servizi a favore dei cittadini, aveva il diritto ad un alloggio; più l’impegno sociale era utile e ben compiuto, più diritti si acquisivano. Il lavoro sociale garantiva la stabilità economica, la centrale elettrica e l’agricoltura erano i servizi più premiati, la pulizia e il riciclaggio garantivano un alloggio popolare e la sanità gratuita, mentre gli altri servizi erano premiati con punti per avanzare nelle graduatorie. I cittadini lavoratori avevano a disposizione una squadra di robot, il compito umano era solo di osservazione e coordinazione, in realtà chi effettivamente svolgeva il lavoro erano i robot. Il palazzo del governo aveva 50 piani ed era il più alto, in cima c’era la sala circolare del consiglio con le vetrate di cristallo. I piani erano divisi in uffici e alloggi per i politici eletti dal popolo. La città era stata costruita dopo una guerra, era sorta sulle vecchie rovine, nel sottosuolo c’erano le catacombe, situate su due livelli, sotto ancora c’erano altri due livelli sconosciuti, che solo pochi temerari avevano esplorato. Risalivano alla guerra planetaria per il controllo delle miniere di Marte e Giove, erano stati i rifugi dei felsinei per sfuggire al bombardamento della città, condotto dai Minatori per l’indipendenza economica. I portici erano tecnologicamente evoluti, tappeti di ioni trasportavano i pedoni facendoli arrivare a destinazione senza fatica, i mezzi pubblici erano sincronizzati e permettevano un regolare flusso di persone. I giornali olografici erano gratuiti, i bar servivano la colazione e pasti veloci, ogni operazione era controllata da un computer centrale per mantenere attivi ed efficienti i servizi a favore dei cittadini.
La pianura agricola era divisa in coltivazioni stagionali e permanenti, i lavoratori erano ricompensati con i migliori privilegi, la robotizzazione degli impianti produttivi manteneva costante l’approvvigionamento delle derrate alimentari. Il rifornimento idrico era dato da un fiume sotterraneo che attraverso acquedotti e tubazioni riforniva sia l’agricoltura, sia la città. Ogni cittadino degno riceveva il cibo adeguato al fabbisogno famigliare, attraverso la rete di distribuzione statale. L’eccedenza di cibo era equamente distribuita dalla rete mondiale, per sfamare le popolazioni disagiate. I cittadini in possesso di molti punti potevano scegliere se usarli a loro beneficio o cederli ad altri cittadini in cambio di beni privati: era escluso il cibo e la sanità poiché personali e gestiti dallo stato.
La centrale elettrica costituiva la maggiore risorsa economica, l’energia era prodotta e venduta alle Città Satellite scambiandola con materie prime e protezione militare. Le Città Satellite formavano un cerchio attorno a Felsinea costituendo una barriera militare, le diatribe con i confinanti erano sedate dai militari mercenari assoldati per conto dei felsinei. La pace era mantenuta con la forza, e i dissidenti erano isolati politicamente neutralizzandoli con abili manovre politiche.
938 giorni alla fine, Felsinea
Sergente: “UN-DUE-UN-DUE… Tenete il passo… UN-DUE-UN-DUE… COMPAGNIA… ALT…”
La compagnia percorreva le vie della città eseguendo gli ordini. Le divise erano ancora incomplete, mancavano delle giberne, delle giubbe e parte degli elmetti, ma nelle officine e nei laboratori si stava già badando a costruire il corredo necessario. Le armi erano di legno per esercitarsi. A intervalli irregolari si udivano svariati rimproveri seguiti da urla per rimettere in marcia i soldati, le scarpe erano ancora quelle civili, qualcuno aveva gli scarponi da trekking, altri indossavano scarpe troppo lussuose per la marcia, i più giovani avevano le suole in caucciù, ma la maggior parte non era attrezzata per eseguire correttamente la marcia. Era l’inizio della preparazione allo scontro finale, seppure con notevole difficoltà.
I bambini restavano ore a osservare i sodati, il loro passaggio era sempre uno spettacolo, a volte erano scoordinati a tal punto che i ranghi si frammentavano maldestramente, diventando oggetto di continui rimproveri. Le imprecazioni colorite facevano ridere, ma s’intuiva il disagio di molti.
Sergente: “Sembrate scimmie con la sciatica, gli orangotanghi con i reumatismi saprebbero fare meglio di voi… TU! Corri sul posto alzando bene le ginocchia.” Osservò per breve tempo. “Perché non riesci a eseguire un movimento così semplice?”
“Non ho le scarpe giuste.”
Il sergente estrasse un pungolo elettrico e lo toccò, facendolo sobbalzare: “Punizione per insubordinazione. Devi sempre finire le frasi con SIGNORE. Socrate se ne sbatte se non hai le scarpe giuste, ti ucciderebbe comunque.”
Il sergente notò uno che rideva e gli si avvicinò: “Ridolini, fammi il passo dell’oca accovacciato, ma tenendo il bastone di legno in alto sopra la testa.” Lo bendò per rendere più difficoltosa l’azione e capire quanta abilità aveva il soldato.
Il soldato fece alcuni passi e cadde a terra, il sergente gli fu addosso in un lampo e lo toccò con il pungolo: “Non ridi più? Nessuno può permettersi di ridere della morte. IO SONO LA MORTE, SE NON TI UCCIDE SOCRATE LO FACCIO IO.”
Un altro ragazzo aveva le lacrime agli occhi, il sergente si fece spazio tra gli altri soldati: “Perché piangi? Ti manca la mamma? Morirà sicuramente se deve contare sul tuo aiuto. Tuo padre è tra noi? Si sta vergognando di te e non parla. Da quale sfintere sei uscito? Ti sei guardato allo specchio? Sei un rifiuto di Felsinea, non meriti di fare parte di questo esercito…”.
Il sergente lo insultò per diversi minuti, il soldato si avventò improvvisamente contro di lui tentando di strangolarlo. Dopo una breve lotta il sergente lo immobilizzò: “È questo che voglio. La paura di morire vi rende più forti, quei bastardi li batteremo solo se manteniamo l’imprevedibilità che scaturisce dalla paura. Il coraggio è figlio della paura. Chi ha paura avrà più coraggio in combattimento. Imparate da questo sbandato, è l’unico che ha avuto il coraggio di aggredirmi.” Il sergente gli teneva un ginocchio sulla schiena e con la mano premeva la sua faccia sul terreno. “Domani sarà in punizione per questo gesto, voi invece siete solo dei pecoroni, capaci di usare delle scuse per sottrarvi al vostro dovere. In riga caproni smidollati. In quanto a te, piagnone, tre giorni di consegna in caserma, più due di pulizia latrine e venti giorni di scavo tunnel. CHIUNQUE FRA VOI SMIDOLLATI EMULERà QUESTO GESTO SARà FUCILATO.” Terminò il discorso lasciando libero il malcapitato e imprecando contro gli altri.
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