In grani di luna

di

Carla Tombacco


Carla Tombacco - In grani di luna
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 60 - Euro 7,80
ISBN 978-88-6587-2666

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In copertina: “Plenilunio” immagine dell’autrice


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto la silloge è finalista nel concorso letterario Jacques Prévert 2012


Prefazione

Vi sono momenti della vita in cui le parole fanno fatica ad uscire dal profondo universo celato dentro di noi e sembrano insufficienti per poter esprimere tutto ciò che agita il cuore e l’animo.
I nostri pensieri paiono viaggiare a “senso unico”, proprio come constata Carla Tombacco: ci accorgiamo che il tempo scorre veloce ed inesorabile mentre le emozioni si snodano lentamente; le attese diventano lunghe e vane; i palpiti del cuore fanno i conti con l’incessante “svanire delle cose”; i momenti di ritrovato silenzio portano alla luce i “riflessi di volti amati” e i giorni vissuti intensamente si disperdono nel dedalo dei pensieri che fanno fatica a ritrovare la via d’uscita.
La direzione che conduce alla salvazione di sé, nel fluire di pensieri ed immagini, diventa condotta esistenziale che si inebria del “profumo delle piccole cose”, costantemente ricercate tra “le pieghe della vita”: ecco allora emergere prepotente il desiderio di “raccogliere poesie” anche nelle difficoltà della vita, anche nelle inquietudini dell’umano cammino.
Carla Tombacco ha compreso molto bene ciò che “rimane da salvare” e, soprattutto, ciò che merita di essere salvato: il senso di vuoto deve essere assolutamente “colmato”, cercando di penetrare nelle zone più segrete dell’animo ed esplorando i “sedimenti sul fondale della vita”, a dispetto di un mondo circostante così dispersivo ed indifferente.
Le sue parole sono “vive”, carpite sulla soglia d’un mondo che vede una sorta di sospensione emozionale in attesa di recuperi memoriali, in un continuo richiamo al mondo della Natura con le sue meraviglie, in un costante sguardo alla realtà circostante come l’immagine dell’amata laguna che pare “accucciarsi” sul far della sera; e, poi, le innumerevoli schegge di suggestioni che fanno “vibrare”, che avvolgono fino all’ultima stilla di speranza.
Carla Tombacco è sempre alla ricerca di un approdo sicuro per le sue “parole sincere” e le sue scintille liriche accendono le visioni all’ombra delle stesse parole nel tentativo di andare “all’essenza”, superando il turbinare di sensazioni e percezioni.
La poesia di Carla Tombacco è miscela di sogni da ascoltare, prima che “svaniscano tra le brume” e vertigine celeste che si fa “segno di sicura speranza”.
Le parole custodite nello scrigno dell’animo si illuminano grazie alla sua voce che vuole raccontare ed indagare ogni sfumatura della vita, sapendo bene che “ognuno ha la sua montagna da scalare”, tra angosce e spiragli di speranza: il tempo da vivere è come elisir da sorbire goccia dopo goccia.
Carla Tombacco vuole cercare il senso più autentico delle parole, il canto lirico più profondo e capace di far vibrare le corde dell’animo: il senso più “vero” che è dietro le parole, il soffio lirico che poche volte si sente.
Se l’arte sa ricomporre “cammei d’anima”, la “lieve aurora di una poesia”può proiettare oltre il tempo.

Massimo Barile


In grani di luna


Un rametto di poesia

Vagando una direzione,
a volte senza neanche
vedersi, con la testa presa
da mille salite. Su scale
in bilico nella notte,
prima che anche l’ultima
luce ammutolisca il palazzo.

L’arco teso di un ponte
scocca arcobaleni
in raccordo al domani.
Nel languore assopito
di rugiade primaverili,
dove un ciuffo d’erba
ha il profumo lieve
delle piccole cose.

Per ritrovarci insieme
nella fonda dolcezza
di un prato terso.
A piluccare gemme da rovi
inerpicati di spine, cogliendo
un rametto di poesia anche
in mezzo al filo spinato.


Pietre e destini

Da bambina ti spiavo
nel folto della siepe,
mentre attraversavi
l’oro del pomeriggio.
Due pozze d’aspri
dirupi, addiacci
scordati canticchiando
un ritornello sempre
diverso, a lambire
i piedi col loro vuoto.
In una mano stringevi
un segreto e nell’altra
tre semi di sogni
da piantare ovunque.
Finché un giorno
non sei più tornata
alla mia attesa
che ti chiedeva
il nome dell’albero
che crescevi laggiù.
Dove le unghie
degli anni smagliarono
le vesti al tuo andare.
Con i capelli rossi raccolti
sulla nuca di un altro
tramonto che bisbigliava
labbra di fuoco scuro.
Inghiottendo senza requie
pietre e destini.


La sera è bianca

La sera è bianca
di gabbiani e marinai.
Sullo specchio
un lampo traspare
il corpo di una brezza
che scorre il novilunio.
Nel solco di due estati
divise dal fiume
affilato dell’inverno
e in un guscio tremulo
di spume agre,
che galleggia nonostante.
Senza riflessi di volti
amati da svanire
in gorghi opachi.
E senza un rottame
di cuore che pesa
addosso la ruggine
del suo palpito ferito.
Tra dita di sangue
pulsa ancora l’orchidea
spampanata all’aria
viva che sarà.


Passi felpati

Brilla il ruscello,
con mani trasparenti
sorseggia il buio

Scrivendo il suo corso
su fogli d’acqua
e strappi di ghiaia.
Finché salta giù
da un muretto,
andando a perdersi
con passi felpati
nelle storie senza
argini che racconta.

Con l’ultimo gessetto
di quand’erano ragazzi
tracciano una specie
di rebus sulla lavagna
satura di sempre.
Poi si arrampicano
in cima a un fil di vero.
Funamboli, con gambe
di nebbia, che giocano
sulla chiusa malferma
della soluzione.


Stiva

Quello che rimane
da salvare fra le strade
che ci sorpassano: qualche
indirizzo superstite.
Per le bionde movenze
del grano, l’ovale in più
di un quadrifoglio,
il borbottare del caffè
quando sale il suo aroma,
un bacio mai detto
che non sia il gusto
di un soffio,
una cura che estirpi
il dolore alla radice,
un punto che si fermi
davvero e resti illeso.
O per quella conchiglia
inabissata a cesellare
il pantano in un diadema.


Neolingua

Fuscelli a galla
e crinali a picco,
in significanti.
Sono sempre meno
le parole, condotte
in pigre mandrie
al pascolo onnivoro
che divora anche
se stesso.
Dove ogni frase è
a senso unico,
un vicolo cieco
sordo e muto
all’immaginazione.
E il dire non agisce,
vomitando bolle
che scoppiano,
fatte di nulla.
Ma dove le idee
non accadono
impera il frastuono
di meccanismi
banalmente indicibili.


Stanze di luna

Un battito vermiglio
si ferma sulle ali
di quel vecchio sorriso.
Sbrogliando emozioni
dal viluppo che serra
i nodi quotidiani.
Così se n’è andato,
prendendo un treno
girovago in fuori-luoghi
che non finivano mai.
Sulle spalle ogni attimo
vissuto e sui palmi
teoremi di strade
da decifrare.
La porta di allora
si è chiusa incontro
al suo canto,
e la finestra tacque
a perdifiato nella valle
ai piedi del vento.
Mentre gli angoli
della sua stanza
si sono aperti,
per far posto
alla luna piena.


Via di fuga

Verso il centro, dove
convergono le vie di fuga.
Ad imboccare un bandolo
nel dedalo d’insegne negozi
manifesti facciate antenne
saldi in vetrina e ghirigori
di trilli calpestio sui selciati
vestiti di grigio e strisci
mendicanti bambini e giochi
all’ultima moda: lupi artificiali
con zanne candidamente
limate in spilli.
Mi accenni una figura
per uscire da lì, a ruota
libera, nel tango di un giro.
Mentre il vorticare
del carnevale turbina
coriandoli tutt’intorno.
Divampando una maschera
che ci svela all’improvviso
uno colore dell’altra.


Stille del tempo

In quest’attimo d’indaco,
quando ancora non si vede
il buio e non si sente il silenzio.
La laguna si accuccia nella sua veste
da sera intessuta di piume d’argento.
Ed i pesci iniziano a schivare
per gioco i fuochi fatui delle stelle.
In un guizzo ho consumato
le mie orme anche senza andarmene.
La conchiglia di ogni passo brilla
un istante e ritorna ai fondali.

Una bambina
sorride tra i colori,
ed è già autunno.

In vene di parole e carni
di sentimenti. I riflessi
e le ombre di chi non ho mai
conosciuto veramente, amici
o traditori quel nulla accanto.
Ma è incompiuto il cielo
dei dispersi, se il cuore batte
alle tempie la sua unica dimora.
Mentre in una stilla del tempo
sta ancora nascendo
la mia meta.


Perché

La neve si tinse
di sangue e il campo
si piagò in un crepaccio
di fumo, ad ingoiare
cicatrici di baracche.
Quelle stazioni scese
per sempre, senza
saluti di arrivi
né doni di ritorni.
In fila al bivio
di un’occhiata
che decideva passo
passo il destino:
se carne da lavoro
o pane per la morte.
Mentre si tracciava l’urlo
nero su reticoli di follia.
Continuano a fissarci
dietro il gelo assordante
dei lager. Espressioni
senza fine di perché.


Trascorsi

Seduto nella penombra
cava del porticato,
dondolando brezze
sulla poltroncina stinta
di vimini e pioggia,
vecchia una vita.
Un ricciolo fuori posto
echeggia alla tempia
spire invisibili.
Prude un’angoscia
da scostare
con una carezza.
Sulle spalle
la mano più cara
e nel palmo mendico
un delirio d’anemoni.


Un grano d’infinito

Il vento in fondo all’orlo della sera,
fraseggio che svanisce tra le brume
con voce stemperata d’ineffabile.
Si strema il giorno a forza di tacere
che cosa andrà perso del suo azzurro,
mischiato a lunghe nubi di macerie
e strida dentro un fiume senza rive.
Con labbra sussurrate in lievi note
scintilli il ritmo lento dei canali,
per dire un canto che non vada a fondo
piovendo il buio in lacrime di pietra.

Amarti a largo è come sopravvivere
al grido impervio dell’indifferenza.
Credendo nella luce più ostinata,
che dai più gravi abissi pulsa un faro.
Artigli di menzogne e delusioni
disciolgono ogni senso in mille rivoli,
stillando un grave vuoto da colmare
tra gorghi ciechi e muti ai sentimenti.
Proseguo invece al lume del tuo sguardo
sincero che riflette un approdo.
Di riva in riva sei stelo di luna,
e spunti al cuore un grano d’infinito.

[continua]


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