O voci
Saranno
squarci d’oceano sulla scogliera
il vostro inquieto ansimare
il vuoto profondo del silenzio
soffocato dalla violenza del tempo
(da «Bologna dieci più uno»)
…E DAL SILENZIO
Irene se ne sta accovacciata davanti al camino. Aspira dalla piccola sigaretta il fumo che, indeciso, si sparge, in parte in piccole volute infilandosi nella bocca della cappa, in parte aprendosi in piccole nuvolette nell’aria della stanza. Si sta gustando la sigaretta lunga e sottile quasi fosse l’ultima. Con lei ci sono le ombre che danzano sul soffitto e sulle pareti della stanza, il loro baluginìo, unito alle spirali del fumo crea una fantastica coreografia. Cosicché, fumo e ombre si trasformano in una piccola compagnia danzante intorno alla figura della donna, la quale si sta godendo la tanto attesa e meritata felicità. Irene è diventata nonna. Sembra incredibile a vedersi. Piccola e minuta nei suoi jeans di velluto blu, il maglione a dolce vita azzurro, sembra più una teen-agers che una nonna.
Il suo sguardo segue le azzurre volute di fumo per poi fissarsi a tratti sulla fiamma che sta scoppiettando e a tratti verso il resto della stanza e della sua casa, dove anche gli arredi in perfetto ordine, sembrano prepararsi ad una notte serena dopo aver percepito e vissuto la gioia del momento.
Alice è arrivata. Alice è arrivata e ha portato un mare di felicità e di gioia. Irene si è stretta a sua figlia e a suo genero, non sapendo come contenere tutta l’energia positiva che quel momento tanto atteso le ha portato. Ora la famigliola ha cominciato la sua nuova vita, tutto sembra perfetto. Tutto è perfetto. Questa nuova grande felicità la fa sentire appagata e serena. È come vivere in un’aureola che la protegge dalle avversità del mondo, che sembra al confronto lontano e quasi inutile.
Ma come le volute del fumo seguono le ombre della stanza, così i suoi pensieri corrono lontano, a quella che è stata la sua vita. Una certezza le balza ancora nitida nella mente. Ancora una volta non ha nessuna mano con la quale condividere questa grande e bellissima emozione. Non ha mai avuto una mano alla quale appoggiarsi nei momenti di maggior dolore e non l’ha mai avuta nei momenti di gioia, che nonostante la particolarità della storia della sua vita, ci sono stati…, qualcuno…
Irene ad un tratto si alza, il mozzicone della sigaretta si è annullato tra le fiamme. In un angolo vicino al camino fa bella mostra di sé una scatola antica, un regalo di mamma Susanna.
Sua madre, da sempre aveva amato gli oggetti antichi, li aveva amati perché leggeva in loro le storie delle persone che li avevano posseduti. Chissà quanti sorrisi, quanti sogni racchiusi in quei ricordi…! Irene, a volte sorprendeva sua madre ad osservare quegli oggetti, davanti ai quali la fantasia metteva le ali. Al sopraggiungere della figlia era come se si sentisse scoperta e trasaliva. Irene guardava con amore quella madre un poco bambina che le faceva un tenerezza infinita.
Forse è da lei che ha ereditato l’eterna giovinezza che si sente dentro e che le consente di apprezzare le piccole cose della vita.
Sul coperchio della scatola di colore azzurro che reca sulla sua superficie la patina lasciata dallo scorrere degli anni, appare un bellissimo paesaggio. Mentre Irene alza il coperchio, dai lati più lunghi di quell’oggetto per lei tanto prezioso, arriva lo sguardo di un personaggio raffigurante un fanciullo, che la scruta dai suoi azzurri occhi di latta. La mano della donna prende a rovistare. Appaiono prima una fotografia, poi un’altra. Nella prima incontra la sua figura al mare in costume da bagno seduta sugli scogli, Valerio la stava fotografando ed ella era felice in quel momento.
Nella seconda fotografia, la bellissima immagine della loro piccola Cecilia. La piccola appare sorridente dai sedili della mitica cinquecento blu targata MI: “La cinquecento è sempre lì targata MI targata MI, targata MI, la cinquecento è sempre lì, targata MI targata MII, la cinquecentoo…”, la canzone di Ombretta Colli risuona come d’incanto nella mente della donna. Il volto di Irene si illumina di un sorriso raggiante, mentre con trasporto bacia ripetutamente la foto della sua piccola, della loro piccola. Erano giovanissimi e ottimisti verso il futuro che li attendeva, quell’auto era il simbolo di tutti i loro sogni. Lei era orgogliosissima di quella macchina, sotto il sedile si nascondeva il mangiadischi di colore azzurro, e tanti dischi erano sparsi qua e là sui sedili posteriori dell’auto. Le canzoni di Lucio Battisti erano la loro passione e mentre correvano verso il mare, cantavano a squarciagola. “Ballaa Linda, balla come saii, balla Linda non fermarti mai…, oppure: Non saraaa un’avventuraaa, non può essere soltanto una primaveraaa…” La canzone del sole scatenava dentro di loro un’emozione grande, irripetibile, con: le sue calzette rosse, il suo mare nero, le biciclette abbandonate sul prato, il fiore in bocca, ti prego ferma la tua mano… le onde grandi, le risa gli occhi suoi ed i miei… il sole quando sorge sorge piano, la luce si diffonde… Il ricordo sai non consola, diceva poi Lucio, e aveva ragione.
Il ricordo è ancora vivo nelle ferite dell’anima: “Come può lo scoglio arginare il maree…”, come si può arginare il mare di dolore che dopo è arrivato, un terremoto di dolore che ha portato via quel ragazzo, un dolore atroce, disumano, irreale, da dare le allucinazioni, come una droga cattiva che ti distrugge e ti annienta. Una droga dalla quale non riesci a liberarti mai, come se dovessi portare negli anni, in tutti quegli anni trascorsi dopo, un macigno al collo, dovendo comunque camminare lungo i sentieri della vita, per amore di quella bambina che l’amore di quello sfortunato ragazzo le aveva regalato e lasciato in eredità. Irene aveva seguito il sorriso della sua bambina come si segue una stella cometa che ti accompagna verso le varie tappe di un cammino. E la buona stella cometa, luminosissima, l’aveva accompagnata verso quel traguardo dal quale una nuova vita è incominciata per la nuova famiglia, dalla quale ella di riflesso, vede finalmente rinati anche i suoi sogni un tempo crudelmente spezzati.
La mano di Irene cerca ancora. E lui è lì nelle sue mani. Bello nei suoi ventitrè anni, sorride e il suo sorriso ha qualcosa di magnetico, sembra incredibile. Ella percepisce ancora la luce di quel sorriso che ancora non è spento nel suo cuore.
“Hai visto quel gioiello di bambina che mi hai lasciato? La nostra straordinaria bambina è diventata mamma. Da dove ci pensi e ci segui spero tu possa vedere tutta la felicità che questa nuova vita ha portato fra di noi, spero che anche tu possa in qualche modo godere di tutto ciò. Sul viso di Alice vedo tracce del tuo volto. Avrò così la gioia di vedere il tuo sorriso in quegli occhi ogni giorno e quando lo vorrò. Vedo ora i tuoi capelli neri in quel ciuffetto impertinente e giocoso che spunta su quella piccola testa implume e tenera.”…