In copertina e all’interno illustrazioni dell’autrice
Prefazione
Esistono giorni in cui ci si sente lontani da tutto, da tutti gli esseri umani, facendo giravolte intorno al proprio io, osservando le lacrime scivolare via come sul vetro di una finestra e ci si ritrova a fare il “ritratto della solitudine”. Alcune volte si scrivono poesie e, in quelle poesie, sgorga il sangue stesso della nostra vita come nel caso di Claudia Nicchio con la silloge dal titolo “Cromie”.
Nel continuo disvelamento e nel volontario smascheramento come ad abbattere ogni diffidenza esterna, si illuminano le “cromie” del vivere e si espandono all’inverosimile i gesti d’amore lasciati in disparte o celati agli altri, eppure, emerge il desiderio di lasciare indizi, segni e tracce da decodificare: d’altronde è un sottile piacere preservare l’alone enigmatico sulla propria identità.
La semplice verità non è affascinante e le finzioni, come l’avventura umana, seguono un comando segreto, mentre l’interazione con il mondo circostante comporta un lento proliferare di pensieri e un’inesauribile apertura di nuovi sentieri che convergono nel cerchio vivido di un ammirevole cuore: il nostro “cuore mortale” che deve superare le sofferenze e i nodi gordiani, fino ad un taglio netto con fendente di spada.
E lei non ha paura di lasciarsi andare all’abbandono lirico, alle evanescenze di visioni del mondo naturale e non fugge davanti all’artiglio della verità.
La sua poesia può essere paragonata metaforicamente ad una “nave che parte all’alba” e viene inghiottita dal mare mentre il mondo si interroga sulla sua destinazione: solo lei, che conduce e si trova al comando, conosce le “notti bianche” di dostoewskijana memoria, annienta la patetica esistenza della banalità, ricercando le infinite variazioni dell’esistere e sa molto bene che “ogni incontro è una sorgente”, anzi, la possibilità di aprire una nuova porta sul proprio mondo interiore.
Nella sua visione lirica le parole creano un’autentica “pioggia” di immagini, un cielo costellato di pensieri con imprevedibili immersioni in paesaggi interiori e nel groviglio inestricabile dell’esistenza: come a fluttuare tra le inquietudini e le malinconie, come a dibattersi tra le tempeste sentimentali che feriscono e l’immagine di una donna che, guardandosi allo specchio, si sente “libera da legami”, dopo le rivelazioni che squarciano il cuore, oltre il rumore della vita e le suggestioni della Natura che alimenta il suo essere donna quasi in una fusione totalizzante (e, poi, anche riferimenti alla selvaggia bellezza di un quadro di Vincent Van Gogh), superando gli incantamenti dell’animo che segue il “ritmo infinito” d’una miracolosa e ricercata “sostanza silenziosa” perché nel silenzio ci si avvicina all’autentico.
Lei, enigmatica e stupefacente, lascia credere ad ognuno di poter capire e conoscere il suo universo, illude che sia possibile un avvicinamento al suo rifugio estremo ma non è così perché occorrono grande dedizione, capacità di andare oltre le apparenze e per sapere districarsi nel labirinto esistenziale: non a caso, lei scrive e confessa “A volte mi sento così fuori dal mondo”, ma, se si è capaci di entrare nel suo universo emozionale, ci si rende conto che lei “ama le cose trasparenti”, apre la porta della sua fragilità e lascia naufragare negli occhi verdi di una donna, lei stessa riflessa nello specchio, quegli stessi occhi verdi che incantano, che attorcigliano le vene, simbolo stesso di una libertà dello spirito, profonda ed inattaccabile.
Nella lirica “Gocce di sole”, Claudia Nicchio offre il suo sguardo in una dimensione eterea: “Quando l’ombra traghetta altrove/ il profumo del gelso/apre il mio piccolo giardino/così che il cielo possa entrare in gocce.” E non pensiate che sia un caso aver scelto il gelso, simbolo dell’albero del diavolo, così come ci ricorda una credenza inglese che narra la caduta di Satana da un gelso e che, poi, abbia maledetto le spine dopo averle macchiate del suo sangue.
Se “la vita è un viaggio così vero che urta ogni angolo”, cosa c’è di più vero in uno stato d’animo che nasce dal profondo dell’essenza femminea con il desiderio ardente di deflagrare nel sangue di colui che legge?
(La silloge di poesie è corredata da alcuni disegni a pastello, opere di Claudia Nicchio, che rappresentano la sua visione artistica, direi, la sua stessa “essenza”. La figura della donna diventa simbolo universale della Madre Terra, la donna si protende, si plasma, si avvinghia alla Natura e si fa albero, foglia, fiore e radice, fino a raffigurare la donna come linfa vitale, seme di natura, eterna generatrice.)
Massimo Barile