In copertina: fotografia dell’autore
Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’opera è finalista nel concorso letterario «J. Prévert» 2014
Prefazione
“And what if all of animated nature
Be but organic Harps diversely framed,
That tremble into thought, as o’er them sweeps
Plastic and vast, one intellectual breeze,
At once the Soul of each, and God of all?”
(Samuel Taylor Coleridge, “The aeolian harp”)
(“E se tutta la natura animata
Non fosse altro che un’arpa organica
Diversamente incorniciata,
che vibra nel pensiero, mentre soffia
sopra la materia e l’infinito,
unica brezza della mente
allo stesso tempo anima di ciascuno
e Dio di tutti?”)
Il vento accarezza l’arpa eolia, mentre le stagioni si susseguono. Sono stagioni della vita, dello scriverne, del ricordarla, del piangerne.
“Nei giorni d’inverno / lunghi e scuri / – ciascuno vive per non morire – il filosofo medita / presso la stufa / l’intreccio delle ore, / gli amori finiti (…)”. Il poeta si presenta così, alla prima pagina, e inizia il viaggio. C’è la consapevolezza, costruita dal tempo, dell’incomprensibilità della parola, della sua incapacità di aderire realmente al significato che esprime. “Parole scomposte di pietra / che tu non devi capire, / come il cantico / di un’arpa eolia.” Non c’è dolore, tensione, sentimento di incapacità, ma rassegnata constatazione. Una necessità che accompagna sempre, quella della ricerca di parole, perfino mentre balugina l’estate, con le sue nuvole nere tagliate da arcobaleni. La delicata saggezza dell’età diventa la lente attraverso cui osservare tutto. Non si cerca più, come in gioventù, spasmodicamente di trovare un’espressione, una via d’uscita, per il dolore che porta la vita. “…Sole e foglie / rivelano con esattezza / ciò che intendo / dire.” Si osserva in modo distaccato, consapevoli dell’infinito scorrere e mutare delle cose, e che mentre questo scorrere si dipana, il lavoro da compiere è sempre lo stesso. “Ma percorrendo / la stessa strada / cerchi parole / che non ci sono”. È inutile, ma si continua a farlo. Una volta era una dolorosa urgenza, ora un’abitudine imprescindibile.
Ci si culla nelle sere estive, si cercano ricordi, (anche il tema del ricordo è senza dubbio legato alla saggezza dell’età). Poi lentamente torna l’autunno con le sue atmosfere più cupe. Le “Ombrose abbazie” nelle mattine di settembre, ci regalano quella che forse è una delle considerazioni chiave dell’intera raccolta. “Il dolore / è un cristallo / di neve”. Così come la gioia, così come le parole, così come il ricordo, anche il dolore è transitorio, impalpabile, destinato a mutare. A scomparire per poi ritornare. Non resta che osservare, lasciar passare, tentare in qualche modo di descriverla, questa vita che ci scorre addosso. Ne raccogliamo le tracce e cerchiamo un filo, un senso, ma forse abbiamo solamente partecipato, anche noi, miseri frammenti, al canto meraviglioso e crudele del mondo, del Tutto che muta lento senza intervento della nostra volontà. Come arpe eolie ci siamo fatti suonare dal vento, noi solamente strumenti, mentre qualcun altro udiva la musica.
Per tutti c’è un autunno, la fine del canto, la fine delle parole. “Ho tenuto / per me questo segreto / lungo tutti questi anni: / vorrei parlarti/ con parole nuove, / ma le rose / nella coppa / non fioriscono.”
Non resta che tentare di ascoltare il suono, di lasciarne traccia, in attesa di una nuova primavera.
Sonia Guardo