Claudio Prili - La neve dentro le scarpe
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Narrativa 14x20,5 - pp. 130 - Euro 12,00 ISBN 978-88-6587-0006 Clicca qui per acquistare questo libro Pubblicazione realizzata con il contributo de Il Club degli autori in quanto l’autore è classificato 3° nel concorso letterario Il Giro d’Italia delle Poesie in cornice 2009 In copertina: fotografia di Claudio Prili Prefazione Con “La neve dentro le scarpe”, Claudio Prili propone una raccolta di racconti eterogenei che rappresentano un percorso narrativo tra le manifestazioni dell’esistenza e, grazie ad interessanti illuminazioni ed acute riflessioni, offrono lo spunto per osservare ed analizzare, attraverso una personale lente d’ingrandimento, alcuni comportamenti, travagli esistenziali e contraddizioni insite nell’animo umano. Massimo Barile La neve dentro le scarpeAnna “Stamattina il caffè lo preparo io e te lo porto a letto.” Anna non mi risponde perché a quest’ora dorme ancora. È presto, il sole non ha ancora superato i tetti delle case e dietro i vetri c’è quella luce azzurrina che a me piace tanto. Mi dà un senso di serenità ora che da anni sono in pensione, è l’annuncio di un nuovo giorno che nasce per essere vissuto diversamente da qualunque altro, anche se poi sarà uguale a tanti altri. Siamo noi che non siamo mai uguali, cambiamo tutto ciò che viviamo a seconda del nostro umore, momento, stato d’animo. Oggi però sarà veramente un giorno diverso, sono cinquant’anni che io e Anna siamo sposati e mi viene da sorridere al pensiero che non avrei scommesso un soldo che saremmo riusciti ad arrivare a questo giorno. Non ho in programma niente di particolare, Dario e Sandro ormai vivono con le loro famiglie in città troppo lontane e probabilmente neanche si ricorderanno dell’evento, d’altra parte è stato il lavoro a condurli laggiù ed in certi casi il bisogno di una casa, di una famiglia si fa avanti presto quando si è soli e lontani. I miei nipoti li avrò visti sì e no una decina di volte ed il loro accento suona strano ad uno come me che non riesce proprio ad abituarsi che il sangue del suo sangue possa parlare in quel modo. Ricordo che all’anniversario dell’anno scorso decidemmo di prendere l’autobus per una passeggiata in città e lei mi chiese di poter preparare la tavola del pranzo prima di uscire. “Almeno quando torniamo è già tutto pronto”. “Già, come al ristorante” risposi io e non osai proporle di andare sul serio al ristorante perché i soldi della pensione bastano appena per andare avanti e Anna non ammetterebbe mai una spesa inutile, anche se per una volta soltanto… È stato sempre così tra noi due: io la componente ludica e lei quella razionale del rapporto. Quasi sempre, per fortuna, è stata lei ad averla vinta, anche perché le altre poche volte ho fatto parecchi danni. L’ho tradita tante volte con altre donne nel corso della nostra vita coniugale e lei da donna lo capiva immediatamente ogni volta, però ha sempre taciuto, sicura che poi sarei tornato da lei ed anzi non era neanche gelosa di queste mie divagazioni come le chiamava, perché non si sentiva comunque mai in competizione con loro. Era un altro sentimento il nostro, di diverso spessore e completezza. Sapeva perfettamente che avevo bisogno di lei, addirittura come amica quella volta che credetti di perdere la testa per una ragazza molto più giovane di me. Le confidai tutto, compresi i miei tormenti per la differenza di età che col passare del tempo per me diventava sempre più difficile da accettare. Mi sentivo ridicolo nell’assecondare Giulia nei suoi capricci di bambina viziata, nell’accompagnarla in discoteca, ad un concerto rock, ma sapevo anche che quello era l’unico modo per riuscire a tenerla accanto a me. Solo quella volta ebbe un moto di stizza nel dirmi con voce pacata quanto gelida: “Non credi di esagerare con la mia capacità di comprensione?” “Forse anche a Dario e Sandro sarebbe piaciuto condividere con te una serata, visto che hanno più o meno la stessa età della tua… amica”. Anche quella storia finì come tutte le altre e senza lasciare in me particolari rimpianti, in fondo è solo la conquista che ci conquista. Appena riusciamo a piantare la bandiera della nostra nazione su una terra ancora inesplorata il gioco finisce. E poco dopo tutto il resto. L’anno scorso decidemmo di prendere l’autobus per una passeggiata in centro. Ormai è da un po’ di anni che non posso più guidare per via della vista già allora giudicata insufficiente per mettermi seduto davanti al volante. Quando portai la nostra Panda marrone al cimitero delle auto ebbi come un moto di commozione vedendola andarsene così, tra tante altre carcasse che l’aspettavano. Un’altra pagina che si chiudeva, un altro passo avanti verso quell’età che non avrei mai voluto vivere ed invece eccomi ancora qua a preparare il caffè ad Anna. La conobbi a Via del Corso. Lei ridente con le amiche ed io con la solita banda di nullafacenti che passavano il tempo a far passare il tempo. “Signorina, la prego di non pensare che io sia il solito importuno che cerca di attaccare bottone. È che ho fatto una scommessa con quei miei amici laggiù che stanno ridacchiando. Ho detto loro che sarei riuscito a conoscerla ed a chiederle un appuntamento, lei mi assecondi per qualche istante… così, tanto per non farmi fare una figuraccia.” “Ah, quindi è solo per questo che mi ha fermata? Non ci sto facendo una bella figura, non crede?” Il giorno dopo alle quattro in punto ero lì, dove ci eravamo lasciati. Lei arrivò dopo qualche minuto e mi chiese subito: “Come ti chiami?” “Sergio… e tu?” “Anna. Sergio, se dai una sbirciata dietro le colonne della galleria, vedrai tutti i tuoi amici che ti stanno spiando per vedere se hai vinto la scommessa. Ora che l’hai vinta, ti va di andare a fare una passeggiata da soli?” Iniziò così e non ci lasciammo più. Nel 1960 c’era aria di rinnovamento, di ripresa economica, di voglia di uscire da quel periodo di privazioni e stenti chiamato dopoguerra. Io avevo trovato un lavoro da fattorino al ministero delle Poste già due anni prima ed ora avevo superato il concorso per diventare impiegato. Avevo studiato giorno e notte e Anna rinunciò a vedersi con me per tutto quel periodo. Fu proprio quel momento che cementò tra noi quel senso di complicità, di unione, di unità di intenti che mi portarono a chiederle di sposarmi non appena ebbi la conferma che sarei passato di ruolo. Il giorno del matrimonio pioveva a dirotto nonostante fosse ormai primavera inoltrata e le mie scarpe di vernice fecero presto a diventare color fango. La messa in piega di Anna si lasciò cadere sulle spalle al momento del lancio del riso da parte degli amici. Eravamo felici. Due stanze, cucina e bagno in una zona che stava crescendo in quegli anni: si chiamava Boccea. Con piccole rate mensili eravamo riusciti a comprarci la cucina in formica verde acqua ed anche il frigorifero. Poi la Fiat 600 e… dopo la seconda rata, Anna restò incinta di Dario. Se mi pentivo di aver appena acquistato l’auto, dall’altra parte mi rendevo conto che ormai stavo per diventare un padre di famiglia e quindi l’auto era una necessità. Poteva servire in qualunque momento per tutte le esigenze del piccolo. Così almeno mi ripetevo per convincermi che avevo fatto bene a mettermi sulle spalle quel debito oneroso nel momento sbagliato. Altri due anni e arriva Sandro insieme alla televisione e alla mia prima sbandata per un’altra donna. La cassiera del bar sotto casa che ogni volta che passavo a prendere il latte, aggiungeva due cioccolatini ed un sorriso smagliante. Una sera, più stanco del solito per il solito tran tran quotidiano, le chiesi d’istinto se aveva voglia di uscire con me e lei, pur consapevole che ero un uomo sposato con due bambini, rispose semplicemente di sì. Non lo so spiegare neanche ora cosa era scattato in me. Volevo bene ad Anna, ai miei due figli, eppure avevo dentro di me la voglia irrefrenabile di sentire altri profumi, altre sensazioni. Anna era talmente impegnata con Dario e Sandro che non poteva accorgersi di nulla di ciò che stava accadendo. Tornavo a casa spesso molto tardi con la scusa che per tirare avanti mi fermavo in ufficio per fare straordinari e lei era talmente stanca che non aveva neanche voglia di rispondermi. Spesso mangiavo qualcosa da solo rovistando nel frigorifero ed il colloquio tra noi aveva toccato i minimi storici. A me questo non dispiaceva, anzi. Meno domande faceva, meno chiedeva del mio lavoro e più potevo pensare all’altra, estraniandomi completamente da tutto quello che implicava la mia collaborazione in casa. Oggi Dario e Sandro sanno fare di tutto in casa: lavano, stirano, fanno la spesa ed io resto a bocca aperta tutte le volte che al telefono mi raccontano di come i lavori casalinghi è giusto che siano divisi in due per poter provvedere a quanto necessario per un ambiente a posto. Strano. Mia moglie riusciva da sola a fare tutto e non mi ha mai chiesto niente. D’altra parte allora i ruoli in casa erano ben definiti, sia io che lei eravamo cresciuti in famiglie in cui il padre si sedeva a tavola servito e riverito, faceva il suo riposino prima di tornare al lavoro, la sera dopo cena leggeva il giornale e poi andava a letto dopo aver ascoltato un po’ di radio. Oltre che portare a casa i soldi dello stipendio, cos’altro doveva fare? Niente. L’anno scorso, seduti accanto sull’autobus, siamo passati dopo tanto tempo nei luoghi che ci hanno visto giovani e come erano cambiati… ci guardavamo con aria interrogativa come per dirci: “Ma una volta qui non c’era un bar? All’angolo non c’è più quel negozio dove acquistammo il primo cappotto a Dario…” Quei posti ormai non ci appartenevano più, era come se soltanto la nostra memoria potesse riuscire ad attraversare gli sconvolgimenti urbanistici degli ultimi decenni, far rivivere per un attimo le persone di allora, compresi noi stessi. Ricordo che avevo messo una bottiglia di vino bianco frizzantino in frigo per il pranzo al ritorno della passeggiata e lei. “Quante volte ti devo dire che il vino ghiacciato fa male? Ancora non ti sei reso conto che alla nostra età bisogna stare attenti a tutto?” “Ma dai, per una volta… e poi il vino bianco va bevuto freddo” “Meno male che ci ho pensato io a toglierlo dal frigo prima di uscire… e mettiti il cappello perché sarà anche primavera ma la mattina fa ancora fresco.” Sembrava una madre che sgridava il figlio. Le presi la mano e per mano scendemmo alla stessa fermata dalla quale eravamo partiti. Un po’ frastornati per tutto quello che avevamo visto così cambiato, estraneo. “Anna, ci prendiamo un aperitivo al bar sotto casa?” Lei voleva rispondermi di no come al solito, ma quel mio sguardo a metà tra un bambino indifeso e un diavoletto dispettoso la fece sorridere ed allora annuì con naturalezza. Si aggiustò il cappellino, mise i guanti e le cedetti il passo all’entrata del bar. Chissà quante volte quel mio sguardo mi ha salvato da un rimprovero, una scenata, una frase tagliente che di Anna è una vera e propria specialità. “Anna, il caffè è pronto ed ora il tuo maritino te lo sta portando a letto ma non ti ci abituare!” Canticchiando una vecchia canzone mi accingo a bussare alla porta della camera da letto e come al solito mi distraggo quel che basta per far rovesciare la tazzina sulla mia giacca da camera. E adesso chi la sente?! “Non ti preoccupare Anna, mi è caduta la tazzina di caffè, ma non era quella del servizio buono. Niente paura, ne riempio immediatamente un’altra e stavolta la prendo dalla vetrina del salotto. Una del servizio buono. Dammi solo il tempo di riscaldare il caffè.” Il caffè era già caldo, ma volevo tentare di togliere quella macchia dalla giacca da camera in modo che non se ne accorgesse anche al buio, lei che col suo occhio indagatore parte all’improvviso con lo straccio per andare a togliere un granellino di polvere sul tavolo di cristallo, magari proprio mentre le sto parlando seduti sul divano. Cavolo, proprio ora doveva squillare il telefono? “Pronto?” “Ciao papà, tanti auguri a te e alla mamma per le vostre nozze d’oro, dì la verità, non credevi che me ne sarei ricordato, vero? Mi spiace soltanto non essere lì con voi per festeggiare, ma lo sai, i ragazzi sono a scuola e anch’io questa settimana non potevo proprio lasciare il lavoro. Come stai, tutto bene?” “Sandro! Che bella sorpresa! Sì, qui tutto bene…talmente bene che oggi voglio trattare la tua mamma come una vera e propria regina. Ho deciso che non le farò alzare un dito, pensa che mi hai telefonato proprio mentre le stavo portando il caffè a letto, visto che ancora sta dormendo.” “Ma papà, è mezzogiorno passato! Dai, valla a chiamare così faccio gli auguri anche a lei.” “Scusami Sandro, ti dispiace se la saluto io per te?, è così stanca ultimamente… pensa che sta dormendo da tre giorni.” Ho riattaccato il telefono e mi rendo conto che sto iniziando a piangere, proprio oggi che festeggiamo le nostre nozze d’oro. Contatore visite dal 22-10-2010: 3053. |
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