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In copertina elaborazione grafica di Damiano Fina
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Pubblicazione realizzata con il contributo de Il Club degli autori per il conseguimento del 1° posto nel concorso letterario Il Club dei poeti 2009
Raffinata alba, note spiegate al futuro transgenico, la sinossi recita; in attesa mi ci stendo fra la compagnia, di caos e silenzio, delle mie creature.
Qui l’antipasto, la merenda arriverà.
Brilla.
“Spande lirico l’oceano d’arcobaleno ciondolante nuove eco abbracciando. Ali policrome gridano di risate farfalle latebrose e tagliano, mannare, le nuvole. Si spiegano arabesche come freschi germogli su d’avorio cornucopie. Il fiato, cobalto, della conchiglia oro soffia d’alba.”
Prefazione
Alba sinottica è una finestra che si spalanca verso sconfinate dimensioni. Il breve libro contiene sei composizioni che dipingono un nuovo orizzonte artistico.
L’atmosfera con la quale il libro si apre, attraverso i primi tre brani “Tramonto di neve”, “Fredda terra e musica del cuore” e “Congedo”, segna la fine del precedente libro Meditazioni Riflesse e apre una nuova stagione; per questa funzione di passaggio anche lo stile rimane fortemente legato al passato.
Da un’ambientazione notturna progressivamente si spalanca sullo sfondo una radiosa alba, metafora che costituisce, dal titolo, il cardine scenico-contenutistico sul quale Alba sinottica si sviluppa.
“Fredda terra e musica del cuore”, il testo che è stato premiato, introduce metaforicamente la visione esistenziale di partenza in cui l’uomo è dipinto nel suo presente; una dimensione che verrà esorcizzata dai testi successivi per la “liberazione” finale. Riporto il giudizio della giuria: “Nel racconto “Fredda terra e musica del cuore”, Damiano Fina esplora tutto ciò che gli occhi “cercano” nelle zone d’ombra, nel silenzio lacerante, alla ricerca d’una risposta che fa sempre fatica ad arrivare e, infine, nella sofferenza del corpo d’un uomo “rinchiuso fra le pareti, condannato a vivere in un incubo infinito”. Il sentimento che si risveglia diventa un “urlo”, un “gemito di liberazione” e la mente ricerca una impercettibile, quasi invisibile, fessura nell’odiata parete che divide. Ecco allora che le labili memorie ritornano in una esplosione che deflagra al momento dovuto, in un tempo in cui le parole sembrano ancora “miraggi”. Si può essere catturati dalle emozioni e, allo stesso modo, dai sogni: la tristezza e la felicità vanno di pari passo e colano dagli occhi e “si fondono nell’immaginazione”. Si può viaggiare verso luoghi lontani e non allontanarsi dal proprio giardino: annientando le limitazioni e le costrizioni. Damiano Fina oltrepassa la soglia d’una visione legata puramente al materiale e la innalza ad una dimensione spirituale.”
È in “Volontà suprema”, e poi ancora in “Spirito libero”, che le parole e le immagini iniziano a premere per uscire dal supporto cartaceo e dalla definizione stessa di scrittura al fine di produrre, con l’ausilio della loro musicalità e “recitatività”, Arte.
Questo progetto vuole condurre colui che si avvicina al testo oltre il limite di pura esperienza “di lettura” tanto che “Il silenzio” non è un brano scritto ma interamente da recitare. Il lettore è invitato a riprodurre il silenzio attraverso un’attiva performance, percependolo ed assaporandolo fisicamente. Con questa sperimentazione l’autore vuole rendere il concetto del silenzio un’esperienza concreta, epidermica.
Il libro si chiude in raffinatezza con l’omonimo brano; quest’ultimo cerca di riprodurre, attraverso i suoni combinati delle sue parole, la mescolanza simultanea di più note musicali coadiuvate dalle immagini che portano in significato. Il risultato ha l’ambizione di creare armonizzazioni fonetiche che potenzino l’effetto del dipinto a cui sono legate per amplificare l’esperienza del lettore nel mondo attraverso il quale è condotto.
Scopo precipuo del libro è quello di aprire domande e atmosfere e far provare direttamente un’esperienza artistica a colui che vi si accosta, instaurando un rapporto di alchimia fra lettore, autore e opera stessa.
Alba sinottica piano piano si manifesta con un proprio carattere anzi, per la precisione, con i quattro caratteri che, in “Spirito libero”, si identificano con altrettanti personaggi: una farfalla mannara, una storia zen, una bertuccia assassina, una balena volante.
Questi personaggi, qui, si presentano e saranno il filo conduttore di un futuro progetto artistico.
L’aspetto stilistico-formale, allora, si lega strettamente a quello tematico.
Miriadi di spunti di riflessione sono intessuti in queste poche pagine con l’aspirazione di aprire alle menti, ma anche ai sentimenti, stimolanti mete da scorgere e inseguire, emozionanti onde da domare per non perdere mai il filo della consapevolezza di Vivere.
Alba sinottica
TRAMONTO DI NEVE
Lontano si rincorrono le eco di gelidi venti.
Neve.
Un cielo bianco, una lieve carezza sul cuore, un luminoso posarsi che culla i sensi.
Il sommesso sospirare condensa i pensieri, il vapore tremola per svanire in una scintilla.
Sul palmo della mano si posa un fiocco di ghiaccio che, rapido, si scioglie in una goccia. Ma dalle dita cola acqua cremisi, una pioggia di sangue macchia il candore che circonda. Ferite di risentimento, di ipocrisia, di stanchezza.
Profonde rughe corrodono il viso in uno spento movimento, l’infinito appassisce in una secca foglia che, stanca di volare, si sfalda in polvere toccando il suolo.
Dagli occhi sudore freddo fluisce verso l’orizzonte aranciato.
FREDDA TERRA E MUSICA DEL CUORE
Troppo spesso, in questa società, non siamo in grado di vedere la verità lontano da ciò che scorre sotto ai nostri occhi.
Gridiamo, urliamo alla nostra rinascita macchiando le conchiglie di vecchio sospiro e soffocandone il pianto.
Questa musica è sanguinolenta in una disperazione affogata di ricordi, le speranze sono stroncate da stridii di corde.
Arde un campo di grano bruciando un cielo corrotto di smog e il fumo toglie l’aria alle farfalle.
Si accasciano montagne rattrappite, tutto si raccoglie nelle nostre mani, otteniamo la nostra nuova pelle, sovrani di storpi fiumi.
Rapidi ridiamo sguaiati sulla nostra vittoria, con gli occhi dilatati ammiriamo la follia che ci circonda.
Impossibilità di sentimenti, solitudine, cecità; ricordami quanto era dolce il profumo dei prati in fiore, quando chiassosamente i girasoli si stagliavano sull’azzurro del cielo.
Nel profondo della terra, oscure e gelide stanze incatenate soffocavano innocenti prigionieri delle loro stesse effimere esistenze. Anche se la luce sembrava aver dimenticato quelle desolate vite, in una cella sembravano miracolosamente sbocciare teneri boccioli.
Labili memorie o forse solamente desolate nostalgie si stavano risvegliando dopo essere state stroncate, percosse, straziate, dilaniate da dense consuetudini…
Tutto cominciò quando i tempi sembravano ancora fantasie, quando le parole altrui sembravano ancora miraggi, quando tutto esisteva soltanto fra quelle tetre pareti…
Mentre viveva dimenticato improvvisamente udì un lieve, dolce canto… sembrava un sogno, ma presto destò la sua curiosità; dopo quella che sembrava un’eternità gli occhi trovarono il coraggio di riaprirsi e cercare…
“Dove… chi sei?” Ma proprio quando una breve ombra di speranza cominciava a tingere quei pensieri subito si infranse contro l’aspra realtà: nessuno rispose, l’oscurità rimaneva immobile eppure, era certo di averlo udito…
Da quell’istante il silenzio non era mai stato così lacerante, i pensieri e il corpo non erano mai stati così sofferenti… finché sembrò che quella melodia avesse ripreso a respirare…
Questa volta non voleva perderla ancora, non poteva permetterselo, si alzò malfermo, riusciva malapena a trascinarsi ma raccolse tutte le sue forze, avvicinandosi alla parete dalla quale il suono sembrava giungere più forte e chiaro… era certo dell’esistenza di ciò che sentiva ma ora la sua anima cozzava contro la più dura consapevolezza: non avrebbe mai potuto constatarne la fonte, rinchiuso fra quelle pareti, era incarcerato e condannato a vivere in quell’incubo infinito.
Da allora le ore di silenzio percuotevano come pesanti martellate il corpo e, quando erano spezzate da quel canto, si tramutavano in carezze di sollievo. Sembravano tornate a fluire le stagioni e si era risvegliato in lui un sentimento sempre più ingente, quasi come urlo, come gemito di liberazione…
Così le due voci iniziarono malinconiche e flebilmente dolci ad unirsi solcando i silenzi oscuri della terra; sfiorandosi, rispondendosi, sembravano abbracciarsi e, ogni qual volta che i cantanti erano costretti ad ammutolirsi per la fatica; i loro corpi cercavano disperatamente di abbattere quel muro che opprimente separava; non per fuggire lontano ma per il desiderio di sentire sulla pelle quelle carezze tanto anelate… ma la terra dura e fredda non cedeva mai, nemmeno sporca di lacrime e sangue si incrinava…
“Sogniamo e veniamo inghiottiti, non possiamo salvarci, non prima di essere inghiottiti noi stessi nell’intento: ciechi e abbagliati… almeno… sprofonderemo assieme?”… fra le menti unanimi ricorreva lo stesso pensiero.
Troppe note, troppe lacrime, troppo silenzio… ormai quei corpi stremati guardavano lo stesso muro sempre più consapevoli della loro ineliminabile lontananza.
Attimo dopo attimo toccavano con la mano lo stesso punto ma sembrava fossero sempre più separati, come da un freddo inverno… anche all’ultimo sospiro cercarono all’unisono di creare almeno una minuscola fessura sull’odiata parete, ma nulla…
Sprofondati in una bianca luce ormai si guardano, finalmente assieme, volano leggeri come candide farfalle; felici, anche se le dita delle mani, quando provano ad intrecciarsi, si sfuggono come aria.
CONGEDO
“E ora chi sfiorerà il mio cuore?
Chi sorriderà ai miei occhi?
Ora, nel silenzio che hai lasciato, chi saprà asciugare le mie ciglia?
Abbraccio i tuoi vestiti, il tuo profumo, non ci sei.
Riascolto nei pensieri la tua voce, mi chiami, mi volto, non ci sei.
Nuoto fra i ricordi e i tuoi oggetti, la sciarpa bianca che consolava il tuo dolce viso, morbida sotto le mie labbra, non ti abbraccia più.
Chi terrà la mia mano quando mi sentirò solo?
Chi mi addormenterà quando le paure incateneranno i miei sogni?
Dove sei?
Una scintilla strazia il mio corpo, scardina le mie emozioni, esplodo in un abbandonato sussulto.
Chi mi scalderà dai gelidi venti invernali?
Mi lasci qui, solo.
Un albero, appoggio del mio stanco corpo; il cullare del vento, lieve carezza per l’umido delle mie guance; il tuo volto, silenzio.
Mi guardo ancora attorno, vuoto.
Rapisci la mia volontà prosciugando questa vita con la tristezza.
I tuoi movimenti fra le mie dita, non afferro altro che aria.
Chiamo te, attendo una risposta.
Cerco te, mi accontenterei di una carezza fra i capelli, soltanto una.
Anche se non ti troverò più accanto a me, qui non ci sei che tu.
Anche se sei dietro ad una montagna, al di là di un oceano, ti prego, grida il mio nome.
Senza di te invecchia ciò che tocco, scolora ciò che vedo, stona ciò che ascolto.
Sono ancora qui, scoglio in un desolato oceano.
Sono ancora qui, cicatrice di luce nel cielo.
Sono ancora qui, unica nota dello spartito.
Sono ancora qui, ancora qui ad attenderti, senza speranza.
Solo, con l’orgoglio di chi ha troppo voluto bene.
Solo, fra i singhiozzi spezzati di chi non sa proseguire senza di te.
Solo, con un corpo che si abbraccia in cerca di un’ombra di affetto.
Solo, con le impietose briciole dei ricordi.
Si stacca l’ultimo fiore dall’orchidea.
Mi chiudo nell’oblio che rimane di te.
No, non ti dimenticherò mai… mai.”
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