Opere di

Daniela Gregorini


D’inverno, il mio mare

All’uscita da scuola
attendo mio figlio
e guardo d’inverno, il mio mare.

Glabro
da smanie umane,
da odori non propri,
da tessuti vocali, da colori artificiali
di una stagione che nulla è più.

Rimasta,
è l’estate, impressa nei films
che l’inverno ha riposto
dietro gli occhi invecchiati
che ora lo osservano.

Denudato,
l’animo del mare,
scopre le viscere brulicanti,
nebulizza il suo salmastro,
riconosce il suo verso.

Grigiovivo,
restaura il suo colore.
Indomito cangiante, uguale
e diverso, chimera d’esser tornato
come da Dio forgiato.

Grigi,
coriandoli di carta scritta,
volano i gabbiani, cornice
all’alone del mare
e da lui, padre, nutrirsi.

Cinereo,
di schiena un pettirosso,
sul muretto si posa.
Baleno, si gira l’astante,
e il mio occhio si scalda
del petto scarlatto
che sibilla l’estate.

Ecco, esce correndo il mio bimbo,
d’inverno, dalla scuola sul mare,
gambette da pettirosso, mia
prossima stagione.


Bora e garbino

Da tre giorni tira. Secco.
Feroce, infuocato.
E il mare verde
dei campi di grano
in onde tremule muta.
Al crepuscolo tace, sfiancato.
L’aria è sospesa in aria.
Stand by… attesa
impercepibile.
Occhi che s’incontrano,
interrogandosi muti.
Le ronde nere garriscono
alte e sentinellano
caterve di nembi nemici.
Poi, un alito salmastro,
umido e sghembo.
Presagio.

Repentina,
la bora spettina
la pudibonda spigatura,
stupra gli alberi.
Fresco atteso, ora temuto.
Corse a ritirare i panni stesi.
Usci che sbattono.
Simulazione d’apocalisse.
E il cielo benedice,
irruento, la Terra:
disordinata pagana aspersione
che dilania le vesti smeraldine.
Poco dura. E afrore di ozono
impregna le narici.

Poi tutto continua,
tra me, bora,
e te, garbino.
Consueto continua.


Lasciami scoglio

Lasciami scoglio,
Percosso dall’universo
Immerso
Nella rara immensità
Eroso dall’incessante
A guardare
Il movimento smanioso
Dell’esserci.

Lasciami qui,
Scoglio di mare
Esomorfo nelle tormente,
Lucivago nelle bonacce,
Attracco statario
Dell’albatro gitano,
A godermi la fortuna
Delle promesse.

Lasciami lo stesso,
Battuto, schiaffeggiato
Dall’indomito grecale
Sprezzato dai navigli
Tronfi di alterigia
Affinché non mi colga
Il sonno ove a nulla
Vale il vivere.

Lasciami scoglio,
Per stendermi al di sotto
Delle sirene incontrate
Innumerevoli, a cogliere
Le passioni dei mitili,
A cangiare i flutti
Che ora mi sorreggono,
A inondarmi di vita.



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