Alice Dileri - Nei miei pensieri

di

Debora Pietrarelli


Debora Pietrarelli - Alice Dileri - Nei miei pensieri
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
12x17 - pp. 56 - Euro 7,80
ISBN 978-88-6587-1898

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In copertina: illustrazione dell’autrice


Alice è un personaggio immaginario che si trova a vivere un’esperienza reale e concreta, come per molti dei suoi coetanei: dalla paura di deludere i suoi genitori, con aspettative di un futuro diverso da quello che loro possano sognare per lei, a quella solitudine in cui sembra impossibile trovare qualcuno che possa capire. Attraverso le sue fasi di crescita interiore giunge alla conquista di se stessa. Il tutto sinteticamente descritto in quanto penso che bastino poche parole per rendere l’idea di un concetto intorno al quale il lettore crea di suo il proprio pensiero, le proprie riflessioni.
Provare a capire Alice significa provare a vedere come la vita, in ogni suo riscontro, dalle basi educative alla crescita, sia anche scoprire se stessi a quel traguardo che spesso raggiungiamo con tanta semplicità senza rendercene conto. E allora apriamo gli occhi, sì, per leggere tanti libri, fra cui anche la Bibbia, per riscoprire che altro non si parla che di vissuto, ma soprattutto per capire di poterlo fare con Amore, dietro una nuova luce che si fa testamento di vite, tutte da vivere.


Alice Dileri - Nei miei pensieri


E come una grande esplosione, dal bianco di una immensa luce, nacque l’universo, all’interno del quale ogni stilla di quella grande ed immensa luce si fece stella, che ad immagine e somiglianza della prima esplosione continuò ad esplodere in sé dando al buio dell’universo di che illuminarsi.
Nella raccolta dei detriti di tali piccole esplosioni derivanti da queste stelle si formarono i pianeti.
Ebbe così inizio la vita.
Quel giorno non avrei mai immaginato di imbattermi in qualcosa di veramente speciale, lo speravo.
I miei genitori erano un’ironia della sorte. Si amavano e si odiavano al contempo, fortemente attratti l’uno dall’altra in un turbine di fisiologica passione erano l’emblema della discontinuità. Tanto che mi hanno saputo insegnare ad amare ed a contrastare ogni opposizione ma non certo a portare a termine qualsiasi cosa iniziassi. Era difficile concentrarsi nella continuazione dello studio quando puntualmente arrivava l’ora quotidiana del dissenso, e giù a darsi addosso entrambi con quello che l’uno faceva ed all’altra non andava bene, o viceversa. Vi lascio solo immaginare l’anno scolastico di preparazione agli esami di maturità: una tragedia, tanto che se non fosse stato per gli scritti, nei quali riuscivo a concentrarmi meglio, la media non sarebbe stata abbastanza da farcela. Era il mio terribile incubo quello di non farcela, visto che non vedevo l’ora di uscire da quella scuola per cominciare a vivere la mia vita. Pensavo solo che avrei iniziato a lavorare e sarei riuscita ad andarmene da casa senza più dover sopportare gli scompensi ormonali dei miei. Non avrei mai pensato che le cose potessero cambiare, ma in fondo lo speravo. Loro erano convinti che avrei intrapreso la carriera universitaria, ma forse era solo una loro speranza. Io non credevo nemmeno che sarebbero mai riusciti a regolarizzarsi ma a tutt’oggi devo ricredermi, anche se i loro caratteri non sono poi migliorati di tanto le loro soddisfazioni erano e sono sempre state le mie realizzazioni.
Mio padre si era diplomato in ragioneria e trovò lavoro presso un commercialista all’età di vent’anni, quando io ero ancora molto piccola. Mia madre dovette perdere un paio di anni che recuperò non appena compii i miei primi due e concluse il suo ciclo di studi superiori diplomandosi come operatrice turistica.
Quando nacqui mio padre si stava diplomando e mia madre era al quarto anno. Si fecero aiutare dai miei nonni, che seppure non troppo convinti fecero di tutto per sostenere la loro incoscienza affinché io, la loro tenera nipotina, potessi avere una crescita sana nell’educazione e nel rispetto di certe regole, rigidissime perché ai miei veniva continuamente imposto di trovare lavoro il prima il possibile, ma prima dovevano diplomarsi, che senza il diploma di quei tempi non si andava da nessuna parte, mentre ora necessitava la laurea. Mia madre rimase in casa con i suoi e si aggiunse alla famiglia mio padre dopo aver preso il diploma. I nonni ci hanno aiutato molto, sia economicamente sia moralmente. Siamo persone che non si perdono facilmente d’animo. Ed ora io sono testarda peggio di un mulo come mio padre, ma anche incline a sognare come mia madre. Bella lotta interiore!
Comunque ero io ora la neodiplomata e siccome il mio è un diploma di liceo non ci vuole poi molta immaginazione per capire che l’unico sbocco plausibile sia l’università. Io che non vedevo l’ora di iniziare a lavorare ed andarmene di casa per non sentire più quelle stupide discussioni tra i miei, che finivano puntualmente con uno sdolcinato “va bene, la pensi così? Io no. Ma ti amo lo stesso”. Se lo dicevano come se avessero paura che ogni discussione potesse degenerare lasciando un indesiderato finale a rompere il sogno di una vita, costruito sulla forza reciproca con la quale riuscivano a sostenersi. E seppure non sopportassi più di tanto la solita filastrocca li ammiravo comunque: si amavano davvero.
Mentre loro alla mia età avevano già di come programmarsi il futuro e costruire una famiglia con una figlia in arrivo, io sono alla svolta decisiva: non so bene a quale facoltà iscrivermi, ma loro questo problema non l’avevano nemmeno mai preso in considerazione, per quanto avessero voluto vedermi medico, ingegnere o avvocato o vattelappesca di chissà quale pensiero gli balenasse nella mente, affinché io potessi essere come loro sognavano che fossi; anche se in fondo per molte cose mi lasciavano scegliere, non era così per gli studi. Vollero che frequentassi lo scientifico perché comprende una gamma di materie basilari che permettono una preparazione di base culturale molto più ampia di quanto non sia per tanti altri programmi di studio. Insomma, già sapevano che sarei andata all’università mentre io meditavo la fuga, ovvero di trovare lavoro per potermi mantenere ed andarmene di casa, e perché no, di viaggiare ed incontrare l’uomo della mia vita in chissà quale parte del mondo.

Mi chiedevo a quale facoltà potessi iscrivermi mentre i miei genitori speravano che diventassi almeno avvocato, ma io non ci tenevo affatto, non mi interessava difendere nessuno né potenziare la memoria con quella vastità di articoli che riempiono con note e commenti migliaia di pagine su ogni codice.
No, non sarei diventata avvocato, nemmeno medico visto che con chimica e fisica non andavo molto d’accordo né ero così forte di stomaco: avevo la nausea al solo pensiero che qualcuno si sentisse male e non indagavo mai sui mali di nessuno, al massimo mi preoccupavo dei dolori mestruali, quelli sì che mi facevano star male. E poi ogni volta che vedevo il sangue avevo come una strana sensazione, una specie di formicolio per tutto il corpo.
No, non sarei diventata medico e men che meno ingegnere, per il semplice fatto che non sono mai stata un genio né dell’informatica, come speravano i miei, né tanto meno nella progettistica.
No, ci voleva qualcosa di più prossimo alla ricerca del come vivere la vita. Mi domandavo spesso quali fossero i presupposti fondamentali per gli esseri umani a non abbattersi, a continuare ad andare avanti con entusiasmo e ciò stuzzicava il mio interesse sui fenomeni religiosi ogni volta che, entrando nel discorso, si finiva a parlare di fede.
Ero tanto razionale quanto fantasiosa, ma i libri che avevo letto sulla percezione olistica sembravano incentrare tutto solo sulle percezioni del corpo nella sua interazione con la natura, attraverso un adeguato nutrimento.
Eppure molte delle mie amiche, come me, venivano da famiglie cattoliche e seppure non spesso andavano in chiesa per la liturgia, in fondo pregavano, pregavano ogni volta che speravano andasse bene qualcosa.
Nei loro pensieri c’era sempre un “Signore, fa che vada bene”. Nei loro ed anche nei miei pensieri c’era questo, ma cominciavo a pensare che se tutto fosse legato veramente da una qualche particolarità, come faceva Dio ad esserne estraneo? E poi perché una volta andava bene e l’altra no? Dio era forse distratto? Non so, ma per quanto la mia fantasia fosse perspicace non riusciva di certo ad arrivare a capire quali fossero le vere intenzioni di Dio tra una guerra e la fame nel mondo, tra l’anoressia e la pena di morte, tra la realizzazione dei sogni e la realtà.
Cominciai così a pensare che avrei potuto approfondire, studiando, la mia cultura sulle religioni del mondo ed imparare quanto realmente fossero diverse tra loro.
Dovevo però dire ai miei genitori che avrei scelto di studiare alla facoltà di Lettere e Filosofia, dove potevo approfondire la materia di “Antropologia delle Religioni” e sapevo che sarebbe stato un massacro.

[continua]


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