Ignis Melancholia

di

Diego Capitano


Diego Capitano - Ignis Melancholia
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
15x21 - pp. 176 - Euro 14,00
ISBN 979-1259510044

Clicca qui per acquistare questo libro

Vai alla pagina degli eventi relativi a questo Autore


«Ignis Melancholia» di Diego Capitano “Pioniere della Cultura Europea” Iscritto all’Albo dei Pionieri italiani dalla Presidenza del C.D.A.P. (sezione poesia)


In copertina e all’interno illustrazioni e opere dell’autore



I libri come gi amici devono essere pochi
e scelti con cura,
(Samuci Johnson)


Poesia e contraddizioni della terra di Sicilia

Se ne parla anche troppo, e quasi sempre male. Oppure bene, in una persistenza di chiave oleografica (sole, mare, aranci, vulcani, tamburelli) da tempo abbandonata nei confronti di altre regioni che si presterebbero anche di più all’oleografia.
Male con la superficialità meccanico-ripetitiva del robot da tavolino dalla programmazione mentale tanto povera quanto ricca è la sua pigrizia. La mafia c’è, altri mali pure.
Ne parlano anche alcune poesie di Capitano, il sole e gli ulivi pure e le tradizioni; di queste se ne parla meno, cosa che invece fa benissimo il poeta racalmutese che vi presento.
In una delle mie escursioni di inviato per conto della mia redazione di Roma, andai in Sicilia alla ricerca di tradizioni popolari e culturali dei paesi del sud. Mi sono trovato di proposito col mio taccuino e il mio registratore tascabile, nella cittadina di Racalmuto, paese di notevole importanza che ha dato i natali allo scrittore di fama internazionale Leonardo Sciascia.
Come racconta l’autore: Sciascia in paese lo si vedeva di rado solo alcuni giorni nelle vacanze estive, dove nella sua casa di campagna in contrada Noce, era solito scrivere parte dei suoi libri in cantiere. La sera della vigilia di Natale del 1983, non per caso m’imbattei nel pieno di una splendida realtà di questo paese, dove si può andare per godersi un’antica manifestazione popolare come “Le Novene di Racalmuto” con musicisti e corali, e avere pure l’opportunità di fare conoscenza con un validissimo artista di nome Diego Capitano, già vincitore di tanti premi e profondo conoscitore delle tradizioni della sua terra di Sicilia, proiettato nel dinamismo della cultura moderna nel mondo.
Tramite i suoi preziosi racconti e la sua preparazione culturale ho potuto arricchirmi di tante piccole grandi cose che la “Regalpetra” di Sciascia, tiene custodite nella memoria e nel cuore d’ogni suo cittadino. La Sicilia che senza dubbio, nel senso che intendiamo noi, è una delle regioni più colte d’Italia, è con tanta genialità artistica, fra questi la splendida presenza del poeta Capitano; le sue opere sono notevoli e di grande efficacia comunicativa.
Liriche che si decorano di un evidente romanticismo in un alternarsi di gioia e tristezza, esaltate da una lodevole capacità d’espressione che soltanto un animo sensibile dai buoni sentimenti e dai sani valori umani, riesce benissimo a risaltare col dono della fede, l’amore per la natura tutta e per il prossimo.
Diego Capitano, un artista che conosco da tanto tempo, talentuosa promessa della letteratura italiana e oltralpe, che personalmente ammiro e mi permette di dire, con un futuro di poeta sicuramente brillante, ricco di tanti prestigiosi successi.

Renato Lombardi


Diego Capitano – Il Poeta Eletto
“Versi come miele nell’anima”

Ogni incontro con la natura invita i poeti a respirare quella fede cristologica che vive da sempre nelle cose, come preghiera o salmo di un’interiorità sentita. È certamente il silenzio, la voce più assurda di questo mondo, che incita l’autore a trasmettere i sussulti di una natura interiore che fermenta nello spirito e nell’anima, che s’inchina dinanzi ai miraggi e misteri, spronandolo a interpretare tutto ciò che di divino giunge nell’altare del suo cuore. L’arte magnifica il silenzio nel rapporto con la natura, rafforza i sentimenti della libertà, perché spinta dalla volontà e da quei sensi enigmatici, nonché dalla forza e dall’azione luminosa che il poeta riesce a catturare attraverso gli impulsi.
Se gli ultimi frutti di ogni albero sono i più saporiti, a dir dello storico Seneca, i temi di Diego Capitano rappresentano il miele dell’anima, ragion per cui desidero aggiungere che il poeta è un eletto, perché riesce a riempire il vuoto con quell’intrepida fede che diviene regina della beatitudine espressiva.
Tutto ciò è bellissimo, perché egli si eleva nei principi del nucleo delle ispirazioni, nella ricchezza dell’etica e dell’estetica, meditando ascolti, suoni e percezioni cosmiche con quell’innata volontà puramente icastica, come nel caso di questa nuova opera poetica «Ignis Melancholia», o semplicemente “Malinconia di Fuoco”.
Nella sua poesia le parole diventano immagini, rappresentano l’arcobaleno dello spirito, i sentimenti che racchiudono il senso della bellezza, l’armonia di uno status ingegnoso che vive l’estasi dell’autenticità con parole dettate nella volta di attimi passionali, nella luminosità del pensiero, che diventano vibranti filtri emotivi che temprano valori e indirizzano il poeta a magnificare le fasi esplorative nella luce della memoria, è il senso escatologico del suo animo quando esplora il silenzio, ma soprattutto quando si affida a Dio.

Marigliano, 30/11/2019

Gianni Ianuale
Premio della Cultura della Presidenza
del Consiglio dei Ministri sezione poetica
Racalmuto, (particolare) Chiostro Chiesa Conventuale
di San Francesco. Edificio risalente intorno al XVI secolo.



Racalmuto (particolare) Chiostro Chiesta Conventuale di San Francesco. Edificio rislaente intorno al XVI secolo.


Vis poetica dell’Autore

Diego Capitano fa esordio nel mondo della letteratura con la prima pubblicazione risalente al 1992 «Voce del mio silenzio»; libro di appena quaranta poesie selezionate su seicento; tutto il resto viene cestinato, ritenuto dall’autore: acerbo, non soddisfacente, tantomeno efficace.
L’obiettivo è rinascere, rilanciare una nuova poesia, che lo porterà anni dopo ad importanti traguardi, con tanti premi vinti, conferimenti prestigiosi, onorificenze e critiche letterarie superlative.
La sua vis poetica rispecchia la visualità del cosmo e della vita terrena, fondersi col suo mondo interiore, spirituale, che egli automaticamente trasferisce su carta, dando così vita alle sue opere ormai pluripremiate e recensite da competenti in materia d’ogni parte d’Italia.
Un’anima antica dallo spirito contemporaneo, che lo si può benissimo collocare sia con gli ultimi dei seguaci parnassiani che con gli autori più moderni dei nostri tempi, dote d’una libertà espressiva senza barriere.
La sofferenza, l’infelicità e il disagio vissuto, portano il poeta ad un parziale distacco con quanto attorno lo circonda, lasciandosi andare in una sorta di pessimismo e di malinconia interiori, non voluti, persistenti, che lo addurranno a più consapevolezza nello scrivere, ad una poetica più evoluta e più intensa nell’ispirazione: filologica-compositiva.
Uno scavare nella mente e nell’anima, un capire e sondare il proprio essere e quello degli altri, mettendo a nudo la coscienza per migliorare il senso stesso della vita, cercando di raccontare esaltando tutto ciò che rende buono il concetto di umanità come parte integrante del mondo.
La sua poesia sembra lasciare pochi spiragli di speranza, eppure nel suo cuore di poeta, Cristo appare, armonia unica e unica voce di salvezza per tutti; porgendo il suo canto già atto di fede che inneggia l’Amore.
Nel corso degli anni Capitano diventa sempre più critico con se stesso, finché non riesce a centrare direzioni ed equilibri più adatti al suo ego di uomo-poeta; quindi, materia cosmica in simbiosi con lo spirito.
Poeta del genere intimista che si prodiga allo stesso tempo come vivo monito, come architettura di pace e d’amore verso l’umanità, vivendo e assorbendo le proprie e altrui sofferenze per volontà celesti.
Le sue opere appaiono a volte astruse, ma comprensibili, plasmate da curate retoriche che s’innestano a memorie d’antiche filosofie immerse nello slancio vigoroso della contemporaneità, e che in modo inevitabile richiedono al lettore un’adeguata prestazione alla lettura dell’opera.
Capitano, nelle sue ispirazioni si alterna per indole a poesie ricche di contrappunti, che esondano dal suo stato di quotidiana sofferenza, per abbracciare poi con naturalezza passioni imprescindibili: come l’amore per la famiglia, per la natura, per il prossimo e per il divino.
Sommariamente prevale il suo carattere umbratile, lo si avverte subito, ci sono liriche in cui l’autore si riconosce come continuità moderna dei poeti maledetti, uno Staus Quo, che lo vede prigioniero di se stesso, una solitudine involontaria che per un certo verso lo inducono quasi alla misantropia: “un rimanere via” afferma: da una civiltà propensa alla corruzione, violenta e indifferente. Risalendo ad un antico aforisma del sommo Leonardo, direbbe: “Se tu sarai solo, tu sarai tutto tuo”.
Poeta dall’animo sensibile, come lo definì Mons. Alfonso Puma nella presentazione dell’opera di Capitano: «Canti di un poeta senza volto».
“La terra meravigliosa che Ghoete chiamava Sicilia Felix, ha dato a questo poeta moderno il talento non indifferente dell’arte e la ricchezza del fuoco d’amore per tutto ciò che è bello e buono”.

Diego Capitano


Davvero vivo in tempi bui!
La parola innocente è stolta.
Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride.
la notizia atroce
non l’ha saputa ancora.

(Bertolt Brecht da “A coloro che verranno”).

Fra i vinti la povera
gente
faceva la fame.
Fra i vincitori
faceva la fame
la povera gente
egualmente.

(Bertolt Brecht da “La guerra che verrà”).


Ignis Melancholia


Omaggio al maestro Andrea Camilleri


Non basta leggere, bisognerebbe anche capire.
Ma capire è un lusso che non tutti possono permettersi.
(Andrea Camilleri)


Anthelios

Non so di voi fratelli!…
Ma da lontano sento avvicinarsi
dall’ultimo confine della realtà…
sotto contrastanti passi…
un livido guaire di giorni futuri.
S’abbatte furente nel cristallo
del mio passato un calcio di rabbia:
lo infrange!…
Si disperdono i mille cocci di una vita…
museo in frantumi… quand’io ancora
rivivo con l’anima insanguinata…
e lascio per terra memorie care:
sbadatamente rovesciate!…
E Leggo nei minuscoli specchi vezzosi…
i pochi istanti d’avuta gioia…
prima dell’apoteosi:
avvento di un’ultima casta aurora.
Piccola luce sarò cilestre: nube ignuda
risanata dal tempo in fronte ad adusti…
almi raggi… d’un sole febeo.


Ignis Melancholia

Dolente la sedia che a sostenere le
mie ossa e i pensieri tutti… scricchiola
e traballa tra un tonfo grave e l’inerzia
aberrante dell’aria: divorami adunco
il tempo,
Sì forte quel giovane me che sfiorito
mi lasciò… con folgori letali nel cuore
che perforano un’anima stanca.
Geniale quanto immemore… invitto
e sconfitto… oppresso e trasecolato…
vascello fatiscente in avaria da alti e
perfidi marosi affondato.
Labile sogno lontano dalla sua prima
aurora… senza alcuna gloria… ormai
rassegnato ad ascendere il cielo,
triste… da stolta vita abbandonato.
L’autunno che viene non andrà via…
porta seco irruvidito i miei tramonti
carichi di sogni e illusioni.
Malinconia di fuoco sentirsi risulta
incenerita di se stesso… un uomo
metà poeta ed il resto materia e
sangue nei viali delle sue già morte
stagioni.
Sotto azzurro vivo nutrii un tempo la
mente di più vive cose… neo melodie
d’antiche filosofie… illuminarmi l’anima
l’essenza del vivere… del conoscere e
del morire… nelle strabilianti teorie
dell’umana conoscenza.
Amai letture sui sofisti e gli eleati… di
capire gli atomisti… Socrate… Aristotele
e Platone… il logos d’Eraclito… Seneca…
la metamorfosi d’Ovidio… gli dèi greci
dell’Olimpo: Zeus e sua prole… Roma
di Eliogabalo severo… il grande Giulio
Cesare tradito e le mille conquiste di
quell’impero che fu Caput Mundi.
Ho sognato l’amore imperituro… la
pace universale… di quell’universo
all’inizio dei tempi senza il tempo.
L’indigenza: sofferenza muta in terra…
le tre Croci con Cristo sul Golgota…
l’amore vero della donna che amo
e le mie creature che madre natura
con orgoglio mi ha donato.
Ignis Melancholia… più a me vicina…
viva e dolente… oh! Mie dolcezze!…
Carezze che mai bastate… tanto nel
cuor vi amo: con gli occhi dell’anima.
Arpa scordata che divinamente più
non suona e palchi non calca nelle
feste in piazza… lamenti esalano dalle
sue corde e nel pianto stanco stride.
Strimpella a malapena l’anima il canto
sull’ultime note fatte di parole che in
malinconia crudele in fonde botre si
lascia cadere!… Pavido naufrago che
flussi di salvezza qui non trovi… forza
cerchi e calma per vincere la morte…
con sottile saggezza di chi scrive… col
suo inafferrabile buonumore.


L’infanzia nel cuore

O madre mia!…
Difficile mi è dimenticare
quella giovane donna bella
d’un tempo… che ogni caldo
meriggio cantavami carezzevole
ninne nanne siciliane.
E quel discoletto piccino sul grembo
che tenero s’assopiva contento
con la guancia sul fresco seno…
semichiusi gli occhi assonnati
puntar la dolce bocca materna…
ad ogni suo fil di voce intento.
Madre mia!…
Quell’angelo buono eri tu!…
Solingo tutt’ora di notte
da quando non ci sei più…
ritorna bella una mamma:
giovane e bruna nel riso…
bianca e invecchiata nel pianto…
che ancora culla nel mio cuore
con tanti grossi baci…
l’ultimo dei suoi pargoletti
e mai non muore!…


Voli bohèmien

Ho varcato mille monti
dalle dure cime d’acciaio…
peregrinato clivi e colli
colmi di spuri allori… nudi
sentieri privi di verde ai
fianchi: in fiore una blumea.
Ho sorvolato bluette aurore
nelle sfere del cielo su
rotte in disuso che a ricci
crini arrecano di biondi
putti… dove un trono esiste
divino: ateo un Dio che
a nessun altro dio crede…
una Madre Regina… figlia
del Figlio… di bianco vestito
alla sua croce abbracciato.
Ardui venti da Eolo sciolti
ho deflorato su code lunghe
a cavallo di zigane comete
fiammeggianti.
Sono la nube che t’estingue
i sogni più brutti… la stella
che in fondo al cuore lo
continua a bruciare… e il mare
che sovente lo spegne.
Sono l’eremo bohèmien
che nei suoi onirici voli oltre
l’azzurro infinito… con occhi
semplici del suo cuore:
cuori d’altre anime frante…
vede!…


Lo sguardo di Cerere

Non vivido… impietosito l’occhio
solo rimasto in buie stanze di
sgomento… si schiude devastato
in vuoti diaframmi d’aurore e si
ricuce catatonico con la sera.
S’abbandona nel silenzio il lume
e lascia labili impronte su un viso
blando… smunto… esanime.
Onirici aghi lo ricoprono d’un verde
astante… di lassi… vegli abeti.
Fuori divampa l’estate… il luglio
arrivato è tutto fuoco… che respiri
brucia smaniosi a bimbi gioiosi…
al gioco assorti in giorni che mai
muore la luce.
Tu dove sei… uomo che ascondi
l’anima e il cuore?…
Poesie trangugi di decomposti
versi… pesanti a digerire… lontani
tanto dalle odi leopardiane… e
rimpiangi ciò che vorresti e più
aver non si può!…
Incerta è l’ora nell’anima inferma:
sudari giunge eterni nel rifugio
del santo conforto… e raminga
un’atroce disperazione trascina
da lupi magri mai sazi… addentata.
Sofferente è l’isola mia: al mondo
unica… tribolata fino all’amore…
colma d’uliveti templari… tra fitte
lische di cerere confusi… e piange:
dai lapilli di “Mungibeddu” all’onde
dei marosi che ritagliano gli scogli.
Tra le paure e l’impavidità… vigile
contempla… con l’arguto sguardo
deiparo dell’alma Cerere.


L’autore cena la moglie Concetta nella casa di L. pirandello (2002)


Diego Capitano al museo del Louvre (Parigi – 2003)


Diego Capitano sul Lungo Senna di Parigi (maggio – 2003)


L’autore in relax: nei giardini di Disneyland (Parigi – 2003)


Metastasi poetica

Retorica la notte nei pensieri vive.
Assonanze!…
Metafore!…
Ossimori!…
Sinestesie!…
In bella estate quando ogn’ora
si fa eterna… come potrò mai
sopravvivere a tanta notte?…
S’avvitano alla mente i pensieri
in disarmonici rumori di silenzi
ed io mutato di carne e ossa
mi rassegno solo in poesia.
L’alba ha sconfitto la tenebra
e rende il sole tenui baci a rossi
e labili papaveri… a timide viole…
tremule lacrime di rugiada
scivolano piangenti dai ligustri
urbani… da lamellate felci
in fila nelle tonde aiuole.
Diventa afoso il giorno e asciuga
lo zefiro il sudore al villanello…
ode il pastore i suoi greggi belare
e un muggire accodato di sparsi
armenti dal rugginoso pelo.
Frotte mai stanche di bambini
spengono in gioco l’astro tenace
con stridere di voci e man gioiose.
Sugli alberi astanti… pesche acerbe:
seni di fanciulle pubescenti… e sotto
i folti fogliami… acciaioso un rio:
gelido e fluttuante tra sassi sepolti
va ratto e alti cespi di verdi rane
gracchianti e maculati ululoni.
Un piatto rotto è la luna stasera…
tu fato amaro come me solitario
il volto nell’ombre mi affoghi
sull’urna d’un tavolo vetusto…
su stanche braccia conserte.
Mi addurrà ancora il giorno:
A più infinite notti!…
A più malinconie!…
A più solitudine
A più furibondi orrori!…
A più metastasi poetiche!…
Nelle iterate anafore…
tra opposte antitesi…
e nei chiasmi incrociati.
Mummia sgualcita io di retoriche
bendata… solo nell’anima unta:
di fatale o d’immortale icore.


Se sei interessato a leggere l'intera Opera e desideri acquistarla clicca qui

Torna alla homepage dell'Autore

Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Avvenimenti
Novità & Dintorni
i Concorsi
Letterari
Le Antologie
dei Concorsi
Tutti i nostri
Autori
La tua
Homepage
su Club.it