L’acceso piglio di Erato

di

Diego Capitano


Diego Capitano - L’acceso piglio di Erato
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
15x21 - pp. 214 - Euro 14,50
ISBN 9791259510983

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In copertina e all’interno illustrazioni e opere dell’autore


Lascerò di me uno spirito
combattuto, smarrito nel pathos
della sua coscienza e nella fede
che lo illumina.
L’accenno di un sorriso per difetto
umano, magari fra tutto: un briciolo
della vostra invisibile meraviglia
per un ricordo che scomparirà.
“Di me, forse il canto resta, forse
il canto”.

(L’Autore)


Così vid’io la settima zavorra mutare e trasmutare;
e qui mi scusi la novità, se fior la penna abborra.

(Dante, XXV Inferno)


Presentazione
(Nascere poeta, la più bella poesia)

Diego Capitano Poeta di Racalmuto, un paese dell’agrigentino, da sempre ha potuto godere delle bellezze naturali, artistiche e architettoniche della zona; luoghi e cose che hanno avuto a che fare con diverse dominazioni e in particolare con un mondo classico apparentemente passato, ma che in effetti continua tuttora a vivere non solo nei resti mitologici e archeologici, ma soprattutto nell’essenza stessa delle persone, che da quei “contatti” sono state formate, specie se spinte da quella sensibilità particolare che è propria di tutti i poeti di ogni epoca.
Quello di cui si dice sopra però non è il solo elemento ispirante del poeta, infatti accanto a quello ce n’è un altro ancora più vivo nell’interesse e nel mondo interiore dell’artista, un mondo che vede se stesso all’interno di un semplice, ma nello stesso forte e indelebile contesto familiare, fatto di comprensione reciproca, solidarietà e amore. Altro elemento che ricorre molto spesso, inevitabilmente, nei versi del nostro autore è costituito dalla sua vita privata, incline alla fede divina, fatta in generale, come tutti, da momenti lieti se non di felicità, alternati ad altri più difficili, accentuati dalla sua indole dogmatica, particolare, come particolari sono tutti gli artisti.
Il poeta infatti talora vive come irretito in un destino, come lo si può intuire da alcune sue poesie, accettato a malincuore, sebbene nel suo mondo interiore vive e vivrà sempre quella gioia e quella spensieratezza del bimbo d’un tempo, dentro il tepore mai dimenticato delle braccia materne e della piccola famiglia in un’età povera, ma nel contempo ricchissima di sensazioni e sentimenti immortali.
Vivere la poesia, per il nostro, come per tanti altri poeti d’ogni tempo, è una grande consolazione: “Nascere poeta indubbiamente è la poesia più bella”.
Dio ha voluto innestare nell’anima di questo poeta, uno dei doni più speciali: la poesia, scavando nel suo interiore, in un cuore ormai capace di estrarre “momenti indelebili”, quasi magici, dissepolti da un’anima pur sempre viva e pronta a farsi riscoprire tutte le volte che le va di essere esplorata, e nel frattempo assaporare quelle sensazioni vibranti, atte a scuotere quel senso di solitudine che non desiste, che pesa dentro il suo cuore come un eterno macigno dantesco.
È proprio allora che egli ritrova, come per incanto, dentro atmosfere di luce e di gioia ormai dileguate in un universo, che in fondo, come il tempo, trascorre, insensibile nube montaliana di fronte al dolore terreno, che spesso si spinge faticosamente verso l’alto, ma non trova risposta.
Ecco allora, come si diceva sopra, che momenti vividi d’esaltazione talora cadono su altri ombrosi e amari, pronti a bruciare l’animo, che tuttavia trova sempre la forza di rialzarsi, di reagire, di non soccombere ad un “quid”, che come una cappa impalpabile tenta di bloccare una carica vitale non indifferente, che vorrebbe uscire fuori quasi esplodendo, per poter liberare quella gran voglia di rivivere la “libertà di se stesso”, tanto desiderata.
A livello di versificazione, il poeta fa ricco uso di aggettivi e similitudini, che si alternano a metafore, sfumature e personificazioni, manifestando altresì l’interesse d’un copioso uso sinonimico, disseminato sulle sue tante opere talvolta baroccheggianti. Così tutto ciò potrebbe talora costituire per un certo pubblico una sorta di “schermo linguistico” per un’immediata comprensione, ma al di là d’ogni soggettività poetica e artistica, Capitano ci apre il suo mondo poetico che ha una sua evidente chiarezza di concetti e una propria identità, colma d’ampi ventagli di sentimenti e di forti emozioni.
Racalmuto, 08/05/2021

Prof. Luigi Giuseppe Capitano
(docente, poeta, pittore)


Nota critica dell’Autore
(L’Uomo – il Mito – la Poesia)

Leggendo questo libro troverete sicuramente, quel tipo di poesia apprezzabile per originalità, atta a coinvolgere l’animo umano per affinità elettiva ed esistenziale, che spesso si riscontrano per puro caso, verosimilmente negli altri.
La mia poesia vive e si nutre di quel filo logico filosofico dal tocco marcato, a tratti di eloquio pacato e in altri più che impetuoso per ricevuta minaccia che il mondo e l’umanità subiscono da mentalità stolte, vittime dell’egoismo, del potere e della violenza.
Fiorente di bellezza espressiva nel verso: semasiologia di un intimo dogmatico tessuto di affinata filologia e di toccanti descrizioni sulla natura terrena e trascendentale, preda a volte d’un inevitabile ma strabiliante, efficace ermetismo.
L’opera “L’acceso piglio di Erato”: pura poesia realistica, s’incarna nello spirito di una mente libera, aperta a interpretare immagini e storie dell’umano vivere, che appartengono ad ognuno di noi nel presente e nel passato; la genialità che non per caso può divenire nel tempo, leggenda o mito nell’arte, senza barriere imposte.
Ricca di richiami alla gioventù, all’amore, al ricordo dei grandi della letteratura e dell’arte, che hanno reso grande e interessante il loro operato e la loro vita nel mondo e nel tempo vissuto.
Rimane tuttavia un’opera dal tono intimista che si lascia trascinare in una muta solitudine interiore ombrata da un velo di pessimismo, nato dal diffondersi di una lunga lista di male difficile da estinguere, così drasticamente drammatica che la vita stessa quotidianamente apporta, a chi contrariamente di buoni propositi ed onestà vive.
Quindi respiri di vita, seppure di affanni, hanno donato armonia anche se malinconici, con note particolari di una espressività colorata, d’un vissuto ameno e sconvolgente, già paradigma d’incanti, d’illusioni e di romantici rapimenti d’animo.
“Io sono come il buon fornaio meticoloso, che pretende il suo pane sia fresco, croccante e saporito, mai scusso e privo di fragranza, il migliore sempre da fare invidia agli altri”.
Le mie opere nascono per innato amore alla poesia, perseveranza di un’anima immortale che convive in me dal mio primo respiro, artisticamente dotata e onusta di tanta sensibilità che soltanto gli eletti e i veri artisti da Dio prescelti, possiedono in dono.
Anima senza mistificazioni con i sensi del rispetto, per la giustizia, per la fratellanza e per la libertà, nonché per la fede: Verità Viva che dal cielo s’innesta con amore nei nostri cuori.
Anima umana, trafitta da lampi di perfezione, dolorosamente provata; vicende e sogni che hanno forgiato l’uomo nella carne e il poeta nello spirito. Come ricorda una recensione del critico Paolo Francischetti: “Paradossalmente, proprio per questi motivi di condizione desolante sembrano contribuire ad accrescere la sua non indifferente formazione umana e culturale”.
Concludendo, anche se potrebbe poco interessare quanto finora detto; la cosa più importante per un artista, è in ciò che crede: lasciare nel cuore degli uomini, i sani principi e le buone morali, cercando con le parole di significare superbamente la vita.
“L’artista, non per sé crea le sue opere ma per l’altrui memoria, in eredità tutto lascia al mondo, che potrà in un prossimo futuro, consacrarlo, e consegnare il suo nome all’immortalità“.

Diego Capitano


L’acceso piglio di Erato


L’Italia è ancora
come la lasciai,
ancora polvere sulle
strade,
ancora truffe al forestiero
si presenti come vuole.
Onestà tedesca
ovunque cercherai
invano,
c’è vita e
animazione qui, ma
non ordine e
disciplina;
ognuno pensa per sé,
è vano, dell’altro
diffida,
e i capi dello stato,
pure loro, pensano
solo per sé.
Bello è il paese! Ma
Faustina, ahimè, più
non ritrovo.
Non è più questa
l’Italia che lasciai
con dolore.

Joan Wolfgang von Goethe




Il piglio di Erato

Non fissarmi così… con i
tuoi incantevoli opali
affinché canti le mie odi?…
Musa dalle meliche pose
piaghe vive rimembri
ad un martire corpo.
La morte è vicina sempre…
e scorre Lete dell’oblio
nelle viscere della terra.
Tu… dai sogni mi trascini
in acque dolenti e fonde…
e tendi al buio la tua nera
treccia alla mia mano.
Fiacco ai tuoi piedi areno
intriso di pochezze per bere
alla tua fonte… nudo il tuo
sguardo acceso mi consola:
ala angelica che a me da
quell’infinito si dispiega.
Erato luminosa!…
Di te mai stanco il poeta…
l’eco tua sublime ascolta
in periglioso esilio sepolto
da parole nuove… arcane
non comprese a volte
dall’ingenuità del cuore…
in moltitudine diramate
come esodo nella mente.
Avvezzo… spesso s’inonda
con turbini di pensieri e
per l’intera vita… quando
tra le braccia tue fiorenti
sfinito dal tuo usto piglio…
dà vita ad un’ultima ode.
Per meno d’un attimo poi:
a terra con l’anima giace.


Quando le clessidre

Quando le gravide clessidre
avranno svuotato le coniche
pance di cristallo…
il tempo avrà più tempo
per vivere e sognare…
l’uomo non comprenderà
più il rumore del giorno
né il silenzio della notte.
Lo sconosciuto animale
dal cupo volto riverente…
tornerà a stantie memorie
diverse dagli occhi di oggi.
Parlerà nella veglia eterna
scrivendo ancora poesie…
incompatibile con se stesso…
emulo dell’altro suo ego…
ergo… più affine ai discorsi
dei morti.


Ricadute

È un ruzzolare nel buio
quest’insolito cadere nel
vuoto… da frante notti
cadenzato.
Si slega dal crespo monte
la luna e lenta sale in un
disciogliersi di timidezze
tra scuri valichi di cielo.
Sono qui solo adesso…
a ricordare i miei amati
vecchi: da sempre.
Col cuore sbrindellato
su ignudo muro affisso
da rivetti aguzzi di ferro.
Nato uomo in un tempo
diverso… che non è mio!…
Mal gettato in avversa
epoca di stragi… tempi
dove Dio non si trova.
il vento querulo nel canto
cenere sepolta ricopre
senza nessun rimpianto.
È sceso da lassù un angelo
ad abbracciarmi… gli occhi
e il sorriso tiene dolci…
uguali alla mia mamma.


Tre volte grandissimo

Dimmi perché mi guardi?…
io sono il tramonto
che torna all’imbrunire…
un cammino infinito
tra Cirri striati che rubano
gli ultimi raggi al sole.
Ora è più pallida la terra…
l’animo grave e amaro…
tingo tutto color rosso
sangue… finché la sera
incombe e ogni cosa spegne
quando muore il sole.
Dimmi perché mi cerchi
su questi rilievi anneriti
se tutto già dorme?…
Stanotte voglio adagiarmi
sul tuo cuore… nel silenzio
che illumina le stelle.
Adesso sono un tramonto
dai neri capelli sciolti che
contempla la tesa infinita
con gli occhi del poeta.
Se rivedrò domani il sole
giuro che verrò trismegisto:
variopinto drago cinese…
o fiammante Burlamacco.


L’alieno

Son’io qua… fra tutti
voi diversi: l’alieno…
e diverso anch’io
di me medesimo.
Le declamate bugie
hanno rotto le gambe
alla nuda verità… che
sopravvive meschina
bullizzata dai timori
dell’anima.
La rubata gioia e la quiete
le ritroverò un giorno
nel mio vero pianeta…
oltre la realtà dei sogni.
L’alieno che mi porto
infelice dentro
sotto spurie spoglie…
ha trovato nel cuore
il suo nuovo ostello.
Il super io è stato sconfitto:
ha miseramente perso
contro l’astuto animale.
Non ne verremo così
né io… né me stesso:
mai più a capo!…
Ridammi ciò che tuo non è!…


Omaggio
a Salvatore Quasimodo**

E quel gettarmi alla
terra, quel gridare
alto il nome del
silenzio, era
dolcezza di sentirmi
vivo.

S. Quasimodo
(Mai ti vinse notte così chiara)


Scende la sera:
ancora ci lasciate, o
immagini care della
terra, alberi,
animali, povera
gente chiusa
dentro i mantelli dei
soldati madri dal
ventre inaridito
dalle lacrime.

S. Quasimodo
(Neve)



Al maestro Salvatore Quasimodo
(L’uomo che lascia)

Un bimbo del Sud che parte
dal suo paesino per altri:
piange gli amici perduti…
e le care cose lasciate.
Il tempo con le sue carezze:
gli ottunde i pensieri e lo
guarisce dalla solitudine.
L’uomo di Sicilia che lascia
la sua terra natia in cerca
di fortuna in altre terre
lontane… lascia ciò che ama
con dolore forte al cuore…
e nessuna carezza potrà
mai dargli oblio e serenità
alla mente.
I giorni che gravi passano
marcano ancor più i ricordi…
e diventa male nell’anima:
insopprimibile nostalgia…
vero disagio esistenziale.
Amaro nei suoi silenzi
urla il suo bellissimo nome:
“Paese mio lontano!…”
Vuol fare a lui ritorno
il sofferto emigrante
per rivedere i volti più cari…
per abbracciare la madre…
per calcare le tante viuzze
ove lasciò gioconda gioventù.
Adesso che la nostalgia
lo danna… e la solitudine
l’infiamma: grande la virtù
della sua penna ingegnosa:
premiò il suo cuore.
Tanto di prezioso lasciò
di sé in eredità al mondo:
il sangue della sua radice
che nei figli vive…
e il suo ermetico canto.
Seppur lontano… giammai
t’abbandonò la tua Sicilia:
né sue acque…
né sue terre!…


Non ero un misantropo o un misogino ma mi piaceva star solo.
Si stava seduti tutti soli in uno spazio ristretto a fumare e a bere.
Avevo sempre fatto ottima compagnia a me stesso.

(Charles Bukowski)


Immenso…

In estasi e in malinconia
cauto vago… alla ricerca
iterata di me stesso…
in gravi silenzi battuti…
dove genti frivole e inique…
di falsi biasimi stilettano
il cuore.
Nulla nei giusti è amorale!…
C’è chi dimentica Colui
che d’infinito c’illumina.
Mi è caro il languire
d’eterno brulicare di stelle
sopra statici monti… ora
valicati dagli occhi.
Traslucide affiorano come
amari trascorsi… nulla lassù
gli sfugge… mai una notte
furtiva onusta di segreti…
né l’umane prepotenze.
Al di qua cattura fulgente
l’immenso ogni stralcio
d’anima… così che l’azzurro
ci colga con esigue gioie
al passare d’ogni stagione.
In questa terra amaro vivere
vige: continuo abbandono di
case e famiglie… che lacrime
tristi solcano la terra che amo.
Ostica s’avverte l’oscurità e
nel cuore perpetua giace.
Brilla di poco amore la vita
in questa città consunta…
sgombra nei duri selciati.
Lesto in silenzio tutto passa…
finché cede la vita!…

[continua]


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