Edmondo Canepi - L’utopia dell’assoluto appunti per una nuova filosofia dello spirito
Collana "Koiné" - I libri di Religione, Filosofia, Sociologia, Psicologia, Esoterismo 14x20,5 - pp. 222 - Euro 15,30 ISBN 978-88-6037-7883 Clicca qui per acquistare questo libro In copertina: «Aldilà delle cose» fotografia dell’autore INTRODUZIONE 1. NOTA BIOGRAFICA DELL’AUTORE Edmondo Canepi è solo uno pseudonimo, un nome d’arte. Il vero nome dell’autore è Carlo Casu. Venne chiamato alla nascita “Edmondo”, come terzo nome, secondo l’uso del tempo: Carlo (nome di battesimo), Alberto, Edmondo; Canepi, invece, è un cognome inventato (anche se non se ne escludono degli esempi in qualche regione italiana). L’autore ha voluto soltanto seguire l’esempio di molti poeti ed artisti, per essere ligio ad una certa tradizione classica, che fino ai primi dell’ottocento (ma, raramente, avviene anche ai nostri giorni!) solevano assegnarsi un nome d’arte, un epiteto, non per celarsi dietro ad un altro nome, come se disprezzassero in qualche modo il proprio nome naturale, ma per sottolineare, nel caso specifico, che Edmondo Canepi, non corrisponde più, spiritualmente, alla stessa persona di Carlo Casu, ma ad un’altra, completamente nuova e diversa, per darsi un nuovo look, una nuova veste e personalità letteraria. Con ciò, l’autore, forse, s’illude anche, di far parte di uno sparuto e fatiscente cenacolo di artisti, poeti, filosofi: quelli che sono ancora viventi e quelli già morti da un pezzo… Nacque a Sestino, Provincia di Arezzo, il 1 Settembre 1937. Quindi: toscano d’origine e forse di carattere, sebbene non “Doc”. I suoi genitori erano gente molto semplice, di origine sarda contadina. Il padre, Salvatore, era Maresciallo Maggiore dell’Arma dei Carabinieri (allora Reali!), quindi, costretto a girovagare per l’Italia, secondo le esigenze del suo stato militare. A Sestino, nacque insieme al fratello Pietro ed alla sorella Vittoria. Di carattere molto schietto, suo padre, si era tuttavia formato un discreto bagaglio di cultura generale, quasi da solo, essendo un valido autodidatta, seguendo però una certa inclinazione familiare, sulle orme, nonché suggerimenti, dello zio paterno, Canonico Pietro Casu, un prete cattolico molto colto, almeno per quei tempi, parroco di Berchidda, in Provincia di Sassari, paese natale di entrambi i genitori, alle pendici del monte Limbàra, in Sardegna. Il prozio, Pietro Casu, era uno scrittore eccellente ed un intellettuale di spicco in Sardegna ed anche fuori (Germania), poeta dialettale, autore di trattati, novelle, traduzioni da varie lingue straniere, nonché ottimi romanzi, fra i quali spicca Notte sarda, forse il più famoso, opere che si stanno rivalutando un po’ in questi ultimi tempi, in cui ne viene curata la ristampa. Egli fu anche l’autore di un erudito Vocabolario della Lingua Sarda Logudorese, che ha visto le stampe nel 2003, edito dalla Casa Editrice Ilisso di Nuoro. Ora, il padre Salvatore, si dedicava, con un certo impegno e successo, alla poesia lirica e satirico umoristica in vernacolo sardo, allora (si parla degli anni ’40-’50) ancora molto diffusa e popolare in Sardegna, che contava una tradizione secolare, fondando a Cagliari, con Angelo Dettori e Michele Contu (Contijeddu), una rivista: S’Ischiglia, che raccoglieva le migliori firme della letteratura sarda contemporanea, compreso lo stesso Pietro Casu, che, in effetti, si identificava come il vero fondatore, nonché ispiratore della medesima, che, non a caso, s’intitolava appunto S’Ischiglia, dal titolo di una sua poesia, che apparve nel primo numero della rivista, inneggiante all’unità ed alla concordia del popolo sardo, martoriato dalle mille divisioni e contraddizioni ideologiche, prima che da quelle naturali. Però, il padre Salvatore, per ritornare sull’argomento, non poteva esporsi troppo in prima persona, sia come direttore della suddetta rivista, sia come scrittore e poeta, pur essendo di sicuro rilievo e spessore, in quanto, allora, il rigido regolamento dei Carabinieri vietava severamente una qualsiasi attività in proprio o comunque estranea al servizio, compresa quella letteraria, non ritenuta compatibile con le funzioni militari e pubbliche svolte da un Comandante dell’Arma (Comandante di Stazione). Si pensi che il padre, che collaborava alla rivista, era costretto persino a celarsi in veste di direttore ed autore, nascondendosi sempre sotto mille epiteti, acronimi o sigle anche un po’ strane (Bore, Salvadore, Ciesse, C.S. ecc.). Queste le persone e l’ambiente, che hanno avuto, in ogni caso, molta influenza sulla formazione dell’autore e contribuito così, in qualche misura, allo sviluppo della sua personalità e delle sue tendenze culturali, fin dai lontani tempi della fanciullezza. Si trattava di una personalità certo molto attenta e curiosa per natura, soprattutto in relazione alla riflessione, alla sensibilità istintiva dell’immaginazione ed alla creatività poetica, in cui si sentiva molto portato, perché fin dagli anni giovanili (prima dei quindici anni!), l’autore muoveva i primi passi e tentava spontaneamente di trovare una sua forma d’espressione poetica autonoma, non in vernacolo però, bensì in lingua italiana, avendo peraltro seguito gli studi classici, presso l’Istituto Dettori di Cagliari ed in seguito presso il Liceo Classico Berchet di Milano, dove ha conseguito il diploma di Maturità classica. In quegli anni, ebbe la fortuna di seguire le lezioni e gli insegnamenti di due insigni maestri: Mario Manca, dell’Istituto Dettori e Arturo Brambilla, del Liceo Classico Berchet, autore, fra l’altro, di una celebrata Storia della Letteratura Greca. Insegnanti ai quali va la sua riconoscenza più profonda e il suo ricordo perenne. Tali insegnanti, gli hanno forse lasciato un’impronta indelebile, come tutti i grandi insegnanti ai propri allievi, anche ai meno dotati, inculcandogli e facendogli amare molto i grandi autori classici latini e greci ed in genere la cultura classica, dalla quale deriva, in fondo, tutta la nostra civiltà occidentale, attraverso il guado obbligato del Rinascimento. Ebbene: questo amore gli è perdurato tutta la vita… Come scrittore, di quegli anni giovanili, resta purtroppo quasi niente, perché tutto è andato perduto. Solo qualche traccia, qualche frammento dei vari tentativi di composizione poetica, poiché egli amava molto anche la poesia, per lo più di carattere amoroso, tentativi ispirati ad amicizie personali o di qualche compagno di scuola. Notate, per esempio: “Tanto cara mi sei Si tratta di un frammento di versi, facenti parte di una canzonetta scritta su “commissione”, a Cagliari, verso la fine degli anni quaranta, per un compagno di scuola, certo Italo Pinna, innamorato follemente di Antonietta Bianchi, una studentessa bionda, molto carina, di origine laziale ed ispirati agli amori sdolcinati della prima adolescenza. Solo tracce, dunque, che la memoria vorrebbe raccogliere, custodire ed arricchire, nella prospettiva di una continua evoluzione e del gusto e dello stile, cominciato proprio con la ricerca attenta di un ritmo e di rime adeguate. Ma già dagli anni giovanili, si cimentava, oltre che nella poesia, anche nella composizione di Appunti di Filosofia, una raccolta saggistica, che sviluppava continuamente, soprattutto in seguito agli studi universitari intrapresi, alle problematiche interiori sorte nella giovinezza ed alle vicende storiche di quel tempo (il famigerato periodo della contestazione giovanile!). Ciò usciva fuori dalle tradizioni di famiglia, più che altro orientate verso la poesia e la letteratura in genere, Le varie parti di questi appunti, però, dovevano essere continuamente aggiornate, rifatte e corrette, con grande dispendio di lavoro e di tempo. Dopo l’avvento del Personal Computer, invece è stato più facile all’autore impaginarle, svilupparle e organizzarle in un solo volume, dandole una sistemazione più definitiva… E la fantasia, appunto, questa meravigliosa e misteriosa facoltà dell’uomo, egli continuamente sviluppava ed accresceva, attraverso la lettura di libri giovanili, soprattutto di narrativa, di avventure, persino dei fumetti di quel tempo, così come nella ricerca autonoma di quelle forme o attività che più gli si confacevano, comprese le attività del tempo libero e gli amoretti scialbi e svampiti della giovinezza, fatti principalmente di sguardi, di letterine timide e di versi, qua e là, cose del resto familiari a tutti gli adolescenti del suo ambiente, della sua età e del suo tempo. Si dimostrava, però, poco adatto alla disciplina scolastica, sia perché da giovane era molto timido, sia perché, in quel campo, non aveva consolidate tradizioni di famiglia (il prozio Pietro, era un’eccezione!), in seno alla quale non fu certo incoraggiato: il più intelligente della famiglia era sempre il fratello Pietro… Solo lo zio Pietro, poco prima della morte, avvenuta il 1954, si era espresso in una maniera misteriosa, inaspettata, quasi esclusiva, molto positiva e direi quasi profetica sui futuri progressi spirituali del nipote Carlo. Il quale però non era minimamente ambizioso. Infine, negli anni più maturi, fece una scelta personale e coraggiosa: si rifiutò categoricamente di continuare a seguire una cultura ispirata al «nozionismo», difetto tipico della cultura italiana del dopoguerra (ma dominante anche oggigiorno, purtroppo!…). Avrebbe voluto condividere una cultura formativa, fatta più di contenuti e di sostanza, non si accontentava della superficialità dei testi scolastici di parte e delle varie “tesine” universitarie, assai diffuse anche nel suo ambiente. Non gli piacevano i risultati pratici e di vita raggiungibili con tale cultura inquinata, di poco conto ed i cui risultati purtroppo disastrosi erano e sono ancora davanti agli occhi di tutti! Il periodo della contestazione giovanile, verso la fine degli anni ’60, fu seguito immediatamente da una fase di disordine indescrivibile, soprattutto nelle scuole superiori e negli atenei universitari: la rivolta studentesca o movimento studentesco. Il risultato di tutte quelle promozioni e lauree troppo facili, ottenute per lo più con le minacce verbali e con la violenza politica, tanto di moda in quel tempo (ma in parte anche oggi!), portò in seguito alla ribalta una nuova classe politica, una nuova classe di docenti e di dirigenti in tutti i settori della vita pubblica e privata: …i peggiori forse che mai abbia avuto l’Italia, dai tempi della Riforma Gentile, in quanto si trattò, per lo più, di persone che ottenevano la laurea, non studiando o studiando assai poco, impreparate, senza avere le qualità indispensabili e la preparazione necessaria. L’autore, dal canto suo, erede, sia pure indirettamente, di una certa tradizione toscana di individualismo, quasi al limite della ribellione, è sempre stato un individuo isolato, controcorrente, sempre contro tutto e contro tutti (“È tutto da rifare!” diceva sempre Gino Bartali, il famoso corridore ciclistico!), fin da giovane, un anticonformista per eccellenza, sentendosi sempre molto distante da certi ambienti, quasi politicizzati ad arte… Ma, non aveva né le risorse economiche, né quelle fisiche, né le conoscenze (leggasi ambiente adatto) per perseguire qualche fine veramente nobile da solo, o per essere, al limite, il leader di un nuovo movimento controcorrente. E così abbandonò gli studi normali, ma scoprì, forse casualmente, d’avere facoltà e vocazioni non del tutto trascurabili, come la passione genuina per la Filosofia e per l’Arte poetica e si sentì così, in seguito, interiormente più realizzato. Mise su famiglia abbastanza presto (1961), sposando Maria Melilli, di origine siciliana e n’ebbe due figli: Marcello e Luisa. Svolse il servizio militare a Como (Camerlata), dove conobbe Aldo Caravati, l’amico architetto che morì giovanissimo, a causa di un incidente automobilistico, mentre rientrava in caserma, una sera di ottobre dell’anno 1964. Ne soffrì interiormente a lungo. A lui dedicò un canto molto accorato: All’amico. Poi, alla fine degli anni ‘60, nacque un ardente passione per la fotografia ed il cinema amatoriale, che gli offrì un lunghissimo periodo di soddisfazioni interiori e di rinnovata creatività, riaprendogli le porte della vita interiore e persino della poesia. Ciò che era cercato per semplice «hobby», rappresentò col tempo, un modo di identificazione della personalità, una tendenza costante all’analisi del pensiero, fino alla riscoperta integrale del pensiero cristiano ed alla sua più autentica interpretazione in chiave filosofica, alla sintesi del quale pensiero, potrebbe forse dare un contributo importante, un’espressione più attuale e moderna, se non ci fossero serie difficoltà pratiche, soprattutto nella diffusione delle idee filosofiche, essendo oggi peraltro la Filosofia, come tale, caduta alquanto in disuso, a tutto vantaggio della scienza, nella cultura dell’uomo moderno. Altrettanto si potrebbe dire della poesia, oggi (ahimè!) poco letta e ancor più malamente compresa. Nella continua rincorsa dei cicli e ricicli storici (G. Vico), noi oggi viviamo chiaramente nell’età della scienza, non in quella della fantasia (poesia) o della Ragione pura (indagine filosofica), che restano solo marginali nei gusti e nelle tendenze culturali del nostro tempo. In quegli anni (’70-’80), fece anche molte esperienze religiose, prendendo contatti con diversi gruppi o sette, fra le quali i “tristemente” famosi Testimoni di Gèova, una setta molto zelante, aggressiva ed insidiosa, che gli mise a disposizione, a scopo di istruirlo ed approfondire la relazione con la setta, due anziani coniugi: Arnaldo e Carla Squarcia (lui era presbitero della setta, cioè pastore), per uno “studio a domicilio” delle loro Sacre Scritture. Dico delle “loro”, perché si trattava in effetti di una sorta di Bibbia ad uso e consumo esclusivo della setta, non accettata quindi, in linea di massima, dagli altri ambienti cristiani, perché si trattava di una traduzione al di fuori dei canoni e della tradizione cristiana. Ricordo che fu un’esperienza molto scioccante, che diede però la possibilità all’autore, attraverso un’attenta analisi e riflessione, di ricostruire la verità cristiana andando per così dire a ritroso, cioè partendo dalle false dottrine della setta, un po’ come era successo a Sant’Agostino (mi si perdoni il raffronto!), che avendo aderito alla setta dei Manichei (i Testimoni di Gèova dell’epoca!), solo in età matura si convertì al vero cristianesimo, grazie anche all’aiuto ed alle insistenze della madre Monica ed alle prediche di Ambrogio, allora vescovo di Milano. L’opera «L’UTOPIA DELL’ASSOLUTO», è stata concepita parallelamente alle prime poesie, come si è già accennato. Si tratta di appunti, che sono stati prima ordinati in due saggi. Il primo: «Chi è l’uomo tecnologico e dove va? Nuove ed antiche frontiere del pensiero umano», dedicato al problema della conoscenza ed il secondo: «Conformismo nelle scelte etiche, oppure rigetto dei costumi e conseguentemente coraggio di esprimere il proprio diritto alla libertà?», dedicato al problema morale, all’etica. In seguito, questi saggi sono stati fusi e conglobati in un unico volume e sviluppati di conseguenza. Originariamente, l’opera s’intitolava La mia Mente, ovvero dell’Arte di Pensare, titolo forse troppo pretenzioso, in analogia all’opera poetica Le Mie Mani, ovvero dell’Arte Poetica. Però, in seguito, all’autore venne un’idea più originale, quella di fare un’opera che contenesse appunti di Filosofia, insieme ad alcune sue poesie, sparse sapientemente qua e là, quasi come una sorta di miscellanea di pensiero e poesia, a sottolineare che pensiero e poesia, il primo originato dalla mente umana, sede della Ragione, la seconda, come creatività e forma d’arte, dal Cuore, sede dei sentimenti e delle passioni umane, non sono mai completamente scissi, distinti e separati nella vita dell’autore, ma anzi, sono un momento molto rappresentativo ed unico della vita del medesimo e possono quindi generare, in una ideale fusione di elementi, quasi una nuova dimensione di stile letterario o moda fantastica ed astratta, una sorta di “filoesia” oppure di “poesofia”? La mente e il cuore umano dialogano continuamente fra di loro e da questo dialogo concitato, nascono delle situazioni e dei prodotti strani, spesso originali, che solo apparentemente sono diversi. In realtà essi traggono origine nello stesso mondo spirituale e scaturiscono dalle profondità del medesimo. In un contesto analogo, la Sacra Bibbia (Ediz. La Riveduta) recita: Proverbi 18:4 “Le parole della bocca d’un uomo sono acque profonde; la fonte di sapienza è un rivo che scorre perenne.” Perciò, la presente opera è stata intitolata L’UTOPIA DELL’ASSOLUTO. La Filosofia e la Poesia, viaggiano parallelamente e qualche volta s’intersecano, in qualche remoto meandro, essendo molto affini e provenendo dallo stesso ambito, il mondo dello spirito, dando così luogo ad episodi straordinari e pieni di una grande vitalità. Perciò si può parlare anche di una nuova interpretazione del pensiero cristiano in chiave filosofica moderna. L’autore ha voluto, in tale contesto, dire cose nuove ed originali insieme a cose vecchie (in modo particolare A. Rosmini, molto caro all’autore), frutto di un certo indiscutibile eclettismo, sostenendole con i dettami della tradizione cristiana, che il lettore potrà riscoprire facilmente da solo, andando avanti nella lettura. L’autore ha anche citato della Sacra Bibbia, si insiste, le versioni che, in un determinato argomento, gli sembra che abbiano tradotto meglio il testo originale (non interpretato!) Salmi 60:4: “Ma tu hai dato a quelli che ti temono una bandiera, perché si levino in favor della verità”. 2. PREFAZIONE ALL’OPERA Qualcuno ha già detto e ripete in vari luoghi, da qualche tempo, che: «la Filosofia è morta». “La Filosofia formale, analitica, sta morendo… Che cos’è la mente? E il libero arbitrio? Da dove veniamo, che cosa siamo? Per questi e altri grandi interrogativi filosofici la scienza sta trovando delle risposte. I filosofi che vivono sulla montagna, circondati dalle nebbie, in attesa di essere consultati come oracoli, sono destinati a scomparire.” Benedetto XVI, nell’Allocuzione, tanto contestata, scritta per l’incontro con l’Università degli Studi La Sapienza, afferma: “Il pericolo del mondo occidentale – per parlare solo di questo – è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità… esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo…” Similmente, sebbene in un senso opposto, nell’introduzione magistrale all’opera FILOSOFIA – Storia del pensiero occidentale – diretta da Emanuele Severino, un altro grande studioso e filosofo del nostro tempo, leggiamo: “…Ma la grande avventura della Filosofia è ben lontana dall’essersi conclusa. Forse è solo agli inizi (anche se da ogni parte si sente dire che la Filosofia è morta). Quando si afferma che «la Filosofia è morta», si mette in risalto e si tiene conto solo del fatto che noi, in questo momento storico, stiamo vivendo il tempo, la civiltà della scienza: tutto è scienza, tutto è scientifico! Ma, in effetti non è proprio così. La scienza è rivolta al relativismo, arriva dove può arrivare, perché non riesce a scoprire tutto l’Universo del conoscibile. Rimane e rimarrà sempre una parte della realtà sconosciuta, ma non per questo inconoscibile, come l’avvicendarsi eterno del giorno e della notte, della luce e delle tenebre. Anzi, statisticamente, la parte della realtà, che non è ancora conosciuta è infinitamente superiore a quella conosciuta e l’abisso della conoscenza, non accenna a diminuire, e forse non sarà mai colmato del tutto dalla scienza, anzi rappresenta la frontiera stessa della scienza! In ciò, appunto, si pone il problema e l’importanza della Filosofia, che si occupa, in prevalenza, della parte «ancora sconosciuta, ma non inconoscibile» dell’Universo, cioè di quella enormemente più importante e più vasta, in ordine di grandezza e quindi di importanza. Si consideri la formula famosa: Macrocosmo = Microcosmo,oppure, Ø=Max=Infinito, in cui i due estremi si toccano e coincidono, in un modo inspiegabile, quasi assurdo… Non si tratta di fantascienza, sono cose che fanno riflettere. Altro che morta, la Filosofia! Poi, le fanno eco, le solite, pessimistiche affermazioni, dello scetticismo economico e politico del nostro tempo, così ben mascherato di perbenismo, di umanitarismo, di razionalismo e di ipocrisia, di chiara origine massone, del genere: “In fondo, io non capisco niente, non sono niente, non sono nessuno”, che però non hanno niente a che fare con il: «È sapiente solo chi sa di non sapere», del buon Socrate, affermazioni, dicevo, volte quasi a scoraggiare qualsiasi balzo in avanti della conoscenza umana, che sia contrario ai principi della cosiddetta economia di mercato (leggasi: “globalizzazione totale!”), che deve avviluppare, come una piovra, tutto il mondo… un mondo di persone ignoranti e quindi più facilmente controllabile e governabile. Un’asserzione molto sconcertante, quella «che la Filosofia stia morendo o che sia già morta», che, a quanto pare, proviene addirittura da fonti molto autorevoli, solitamente le meglio informate, che vanno per la maggiore, sia nel campo della cultura, in genere, come in importanti settori delle scienze, dell’arte e perfino della religione. Un’asserzione dunque che suonerebbe veramente sinistra e scoraggiante, se fosse avvalorata da fatti e da prove concrete. Voce Voce, Riporto, qui di seguito, l’opinione illustre del sommo poeta, nonché pensatore, Giacomo Leopardi sull’argomento, nelle sue Operette morali – Il Parini ovvero della gloria – Capitolo IX: “Così le due parti più nobili, più faticose ad acquistare, più straordinarie, più stupende; le due sommità per così dire, dell’arte e della scienza umana; dico la Poesia e la Filosofia; sono in chi le professa, specialmente oggi, le facoltà più neglette del mondo; posposte ancora alle arti che si esercitano principalmente colla mano, così per altri rispetti, come perché niuno presume né di possedere alcuna di queste non avendola procacciata, né di poterla procacciare senza studio e fatica. Infine, il poeta e il filosofo non hanno in vita altro frutto del loro ingegno, altro premio dei lori studi, se non forse una gloria nata e contenuta fra un pochissimo numero di persone. Ed anche questa è una delle molte cose nelle quali si conviene colla Poesia la Filosofia, “povera” anch’essa e “nuda”, come canta il Petrarca, non solo di ogni altro bene, ma di riverenza e di onore.” La Filosofia, anzi, questo eterno ed immenso crogiolo, questo Simposio, all’insegna di uno smisurato «Amore per il Sapere», rassicuriamoci tutti, gode di un ottima salute, in “barba” a tutte le previsioni pessimistiche, che se ne fanno. Essa, quindi, dal canto suo, continua ad influenzare beneficamente, quantunque inosservata e sottovalutata, tutti gli uomini e ne stimola e ne nutre le idee e ne sostiene le battaglie spirituali. Perché, non conosce colore di bandiere, né preferisce latitudini o razze particolari. Essa, è fuori, appena attraversi l’uscio di casa. La potrai incontrare perciò anche sulle vie e sulle piazze, dove svolgono, gli uomini, le loro attività quotidiane ed anche i loro passatempi preferiti. Nella Sacra Bibbia (Ediz. La Nuova Riveduta), nel Libro di: Aggiungerei quindi che la sua voce, rimbomba nei cunicoli dei metrò, nei mercati, nei teatri, nelle chiese e persino nei ritrovi, nei campi di calcio e nelle adunanze pubbliche. Perciò, questa mia modestissima opera, fatta più che altro di appunti quotidiani e di tanta fatica, tanta passione, non va considerata nemmeno soltanto frutto del mio umano sforzo: essa è bensì frutto dello spirito eterno che c’è nell’uomo. Ecco perché, dunque, non ne dovrei essere neanche geloso ed, anzi, mi piacerebbe condividerla con tutti: è destinata a tutti, perché tutti la pensano in fondo come me, o almeno dovrebbero, se avessero la pazienza e la costanza di ascoltare ciò che la Filosofia ha da dire a tutti gli uomini, se trovassero così il coraggio di parlarne apertamente, a tutto campo, in modo però onesto ed adeguato alle circostanze, come d’altronde merita pienamente la serietà e l’importanza del problema. “Pregai e mi fu elargita la prudenza; implorai e venne in me lo spirito della sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto; non la paragonai neppure a una gemma inestimabile, perché tutto l’oro al suo confronto è un po’ di sabbia e come fango sarà valutato di fronte a essa l’argento. L’amai più della salute e della bellezza, preferii il suo possesso alla stessa luce, perché non tramonta lo splendore che ne promana. Insieme con essa mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.” Tale fu l’esperienza della Filosofia in un personaggio famosissimo dell’antichità: Salomone, il più luminoso monarca di Israele e dell’antichità, il più splendido personaggio che abbia conosciuto il mondo intero e la civiltà umana. Fedele alla concezione che “è meglio il soliloquio dei pochi, piuttosto che il multiloquio dei molti”, ho voluto anche seguire, nelle mie modeste «riflessioni filosofiche», un metodo classico: fare della Filosofia il vero centro propulsore delle medesime, rifacendomi anche alle origini, senza ascoltare, se non come puro riferimento, le conclusioni di una certa scienza moderna, che si allontana troppo dai presupposti della Filosofia pura, non ammettendo assolutamente lo spirito immortale, che è dentro ogni uomo. Questo metodo, restaurato e reso più moderno, era stato seguito dagli amatori genuini delle scienze filosofiche, fin quasi ai nostri giorni, cioè fino all’avvento del positivismo. Poi è stata trascurato parecchio… Il movimento del positivismo, però, ha il merito di aver riportato la filosofia sul piano di una maggiore chiarezza, liberandola dalle “pastoie” di un certo dogmatismo pragmatico e da una forma di linguaggio troppo romboante ed astruso, derivante dalla cosiddetta corrente “ermeneutica”. Opera dedicata, con immenso affetto, a mia moglie Maria ed ai miei due figli Marcello e Luisa, sperando che ne facciano tesoro… L’AUTORE L’utopia dell’assoluto appunti per una nuova filosofia dello spiritoCAPITOLO PRIMO ORDINE DEL GIORNO:
1. INDIVIDUAZIONE DEL FINE Parte Prima: Chi è “l’uomo tecnologico” e dove va? Nuove ed antiche frontiere del pensiero umano.
Viviamo in un mondo che cambia continuamente. Sicché il divenire e la trasformazione, costituiscono la regola più generale, la legge più importante nella vita dell’Universo. Si perpetua così e continua a sussistere la più sensazionale scoperta della conoscenza, anche in piena Era nucleare, e ciò nonostante i passi miracolosi compiuti dall’umanità, in tutti i campi dello scibile scientifico e della tecnologia. Poiché la scienza, basata principalmente sulla relazione fra causa ed effetto e sulla loro rilevazione e/o ripetività sperimentale ed enunciazione sistemica in termini matematici (Metodo Galileiano), pur progredendo continuamente, non riesce ancora a spiegare molti fenomeni della natura, contenendo un elemento, uno strumento imperfetto ed erroneo: la rilevazione empirica, come affermava anche Platone. Il mondo esteriore si distingue, in primo luogo, come Realtà o fenomeni esistenti e Irrealtà o fenomeni apparentemente non esistenti: l’Ignoto. Questi ultimi, sono la parte, la faccia ancora sconosciuta, ma non inconoscibile della Realtà. Fra l’altro, la scienza, non è nemmeno in grado di spiegare chi sia in sè stesso veramente l’uomo, perché esista e dove stia andando in questo suo fantastico viaggio esistenziale, a bordo di questa astronave speciale che è costituita dal pianeta Terra. Il Diogene, simbolico «cinico» dei nostri tempi, cioè questo bisogno inappagato ed universale di sapere qualcosa di più sul nostro destino, che è insito nella nostra natura, continua a cercare l’uomo, oggi come ieri. In altre parole, ci si può porre la domanda: ha un senso oggi un mondo veramente umano? Per la scienza, infatti, l’uomo è solo un “vertebrato”, un essere vivente, cioè un’animale, appartenente al Gruppo dei Vertebrati, Classe dei Mammiferi, Ordine dei Primati. A tanto si riduce, sostanzialmente, la conoscenza scientifica sull’uomo, nel campo delle scienze naturali e conseguentemente dell’ attuale ed imperante scienza in genere. Eppure, tutti siamo stati sempre pronti a scommettere sulla differenza sostanziale fra l’uomo ed un qualsiasi comune animale, anche quello più evoluto ed “intelligente”, e non siamo disposti a riconoscerci in nessun campione del rimanente mondo animale, con particolare riguardo alle scimmie. L’uomo è forse un animale modificato o un animale di tipo nuovo? Tale differenza, non investe soltanto l’apparenza, ma sono coinvolti tutti gli aspetti del problema, la sostanza dunque, cioè i contenuti di vita. Nell’uomo, c’è qualcosa che sfugge continuamente a qualsiasi tentativo scientifico di classificazione ed ogni canone, per lui soltanto, sembra fallire e fare eccezione. Un essere misterioso, dunque, l’uomo… Sotto un certo aspetto, paragonato alle altre specie viventi sul pianeta, è talmente singolare, da apparire quasi come un «alieno», piovuto da un altro mondo, da un altro pianeta, da un altra galassia. È come se qualcuno sia entrato in una specie vivente preesistente, trasformandola integralmente! È come se qualcuno sia entrato in me stesso, trasformandomi in un diverso me stesso. Sì, quel qualcuno che abita in me, è altro da me. Fatto sta che «quel qualcuno» usa il mio cervello, come dal di fuori, dall’esterno del mio corpo ed in maniera quasi sovrapposta al medesimo (concezione dualistica della mente umana!), non coincidendo espressamente con esso, anche se lo riguarda e facendone per giunta quello che vuole, trasformandolo da un apparente «massa di cellule nervose e di grasso» in qualcosa di terribilmente eccezionale, nell’ambito della natura, di meraviglioso e di misterioso, al tempo stesso. Ma allora chi sono io, mi domando? Me lo dirà mai la Filosofia, visto che la scienza tace o non riesce ad esprimersi su questo aspetto, non trascurabile, della mia vita umana? Inoltre, la vita dell’uomo, a differenza di quanto avviene nel resto del mondo animale, necessita di un significato e di una direzione. L’uomo, innanzitutto ricerca una cosa che è completamente estranea al mondo animale e cioè: l’uomo ricerca la verità! Avete mai veduto un animale che cerchi oltre al cibo, la verità? Se lo conoscete, fatemelo sapere… sarei oltremodo curioso di conoscerlo! Il “dove va?” è, inoltre, di prammatica, una domanda necessaria e vitale. L’uomo per vivere ha bisogno urgente di motivazioni morali! Sul cervello umano, alcuni scienziati sostengono che tutto della nostra attività mentale possa essere attribuito a fattori puramente fisici. Francis Crick, vincitore con due colleghi nel 1962 del Premio Nobel per la medicina, per aver decifrato il codice del DNA, arriva a dire nel suo libro The Astonishing Hypothesis (L’ipotesi strabiliante): “Voi, con le vostre gioie e i vostri dolori, i vostri ricordi e le vostre ambizioni, il vostro senso di identità personale e di libera volontà, in realtà non siete altro che il frutto del comportamento di un immenso complesso di cellule nervose e delle molecole a esse associate”. Tuttavia, la coscienza, che è soltanto degli esseri umani – e che è stata definita in tanti modi: linguaggio, introspezione, consapevolezza di sé, pensiero astratto – sfugge alle misurazioni scientifiche. E chi potrà mai esplorare la regione fatta di mito, moralità, fede, dolore e gioia che costituisce la nostra geografia spirituale? Ogni essere umano risulta, in effetti, come un mondo diverso, un Universo a sé stante. Si pensi di riflesso ai circa 100 miliardi di cellule nervose ed altre cellule che compongono quella massa complessa e strana, che risulta il cervello umano. Si calcola che il numero di connessioni, che queste cellule possono stabilire fra di loro, sia dell’ordine di 10800! Questo equivale ad un valore corrispondente a 10700 volte il numero degli atomi dell’Universo… Tale considerazione, ha fatto esclamare la scienziata sovietica Natalya Bekhtereva, studiosa del cervello umano, che: «il cervello umano è un intero Universo nel cranio. È il solo organo umano e animale che abbia possibilità praticamente illimitate». Si tratta di un organo, che sembra quasi predisposto, orientato e diretto verso la conoscenza dell’Universo intero, non delle misere, limitate conoscenze offerte ora dalla scienza umana, che si limita agli scarsi risultati attuali ed alle contraddizioni, che tutti conosciamo. Il cervello umano, nel corso della vita media di ogni individuo, utilizza una parte trascurabile, del tutto ridicola del suo potenziale… ma allora, l’uomo è destinato a vivere molto più a lungo, forse per sempre? Ciò costituisce anche, fra l’altro, la prova tangibile del suo incredibile scopo e destino, aldilà del limitato arco temporale di esperienza della vita umana. Perché la nostra vita è così limitata, mentre siamo forniti di uno strumento così eccezionale, che prevalica i ristretti confini temporali dell’individuo? Ora, qual è il segreto della mente umana? Si pensi che le dimensioni di questa massa di materia spugnosa che chiamiamo cervello, sono circa quelle di un pompelmo! “Negli ultimi dieci anni”, ha detto Gerald Edelman, premio Nobel 1972, “abbiamo appreso più cose riguardo al cervello che in tutta la storia”. Esteriormente, almeno, il cervello umano e quello degli animali, appaiono molto simili. La forma e le dimensioni non sono però sufficienti a spiegare l’enorme differenza. Gli animali, sono in grado di comunicare tra di loro e molti possiedono vista, tatto ed udito estremamente sviluppati. Ma nessuno di essi fa uso di un linguaggio codificato, né sa eseguire operazioni matematiche, da quelle più semplici a quelle estremamente complesse, né è capace di intuizione interna, la cosiddetta “intelligenza”, non si intende inoltre di creatività artistica e non ha il senso del bello e del cosiddetto mondo sentimentale vero e proprio. In altre parole, gli animali non hanno la capacità di pensiero astratto, o capacità raziocinante, che caratterizza la mente umana e quindi non sono in grado di porsi dei problemi e di risolverli. Vi sono poi altre differenze di importanza critica. Gli animali, agiscono solo in base all’istinto, che è una sorta di «accumulo ereditario di riflessi condizionati», che consente loro di fare determinate opere o attività, realizzandole sempre allo stesso modo, con qualche lieve differenza, in base all’ambiente, al clima ed alla situazione particolare. Si pensi al caso dei castori, degli uccelli, delle api, delle formiche e così via… Gli animali superiori, come le scimmie ed i mammiferi in genere, hanno anche la capacità di un apprendimento relativo, cioè di essere ammaestrate, ma siamo ben aldilà della soglia critica, la cosiddetta capacità raziocinante, presente nell’uomo. Infatti il loro sviluppo psichico non riesce mai ad andare oltre a quello di un bambino di quattro o cinque anni. Dopo il quale c’è come uno stop forzato al proseguo del loro sviluppo psichico, che appare quindi insormontabile. Come mai? In effetti manca, inoltre, completamente, la “libera scelta” nelle loro azioni, cioè la componente morale. Infatti gli animali non sono “persone” come l’uomo. L’uomo si potrebbe invece definire un «animale personale», in quanto si tratta di un animale particolare, cui è stata universalmente riconosciuta ed attribuita la dignità di persona: ecco cos’è realmente l’uomo, da un punto di vista morale… Il comportamento degli esseri umani, è molto diverso e differenziato, anche in situazioni analoghe e condizioni simili di vita, perché è governato più da «libere scelte» che dall’istinto. La gamma delle possibilità umane si estende dall’apprendimento fino alla maturità, dalla sperimentazione alla creazione, giungendo persino ad inventare “macchine pensanti”, gli elaboratori elettronici, il Computer, una sorta di sdoppiamento di certe capacità specifiche attribuite al cervello umano, potenziate però all’inverosimile. L’uomo, in effetti, non ha soltanto un cervello fisico. Affermare ciò sarebbe troppo limitativo ed anche sbrigativo, perché anche gli altri animali sono forniti di un cervello fisico. 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