Entità inverse

di

Elisa Fabbri


Elisa Fabbri - Entità inverse
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 370 - Euro 17,00
ISBN 978-88-6587-6763

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In copertina: illustrazione dell’autrice


“Guardate l’impresa che Milkilu e Shuwardata hanno compiuto nella terre del re, mio signore! Hanno truppe di Gezer, truppe di Gath e truppe di Qeila. Hanno sequestrato la terra di Rubute. La terra del re è caduta [in mano] agli Habiri. E ora, anche una città del distretto di Gerusalemme, chiamata Bit-nin’ib, una città del re, è caduta [in mano del] popolo di Qeila. Il re ascolti Er-Heba, tuo servo e invii un esercito di arceri che possa restituire la terra del re al re. Se non c’è un esercito di arcieri la terra del re cadrà [in mano] degli Habiri”.

(Giosuè capitoli 10/12)


Entità inverse


Parte Prima

Elisabeth ed Alexander

La guardava, e non ci credeva. Eppure, tra quelle macchie dalle gradazioni del grigio, li poteva distinguere distintamente. Rimirava quella fotografia come se fosse stata una reliquia, qualcosa di magico e sacro. Era felice, davvero felice per la prima volta in tutta la sua vita. Con Robert erano ormai tre anni che provavano insistentemente ad avere un figlio ed ora quella notizia li aveva colti alla sprovvista. Due gemelli! Era un dono che dovevano accettare a cuore aperto. Due gemelli… finalmente la sua vita aveva un senso.


Capitolo uno

Elisabeth ed Alexander.
Sembrava ieri la loro nascita, invece erano già passati vent’anni. Le venne da sorridere al ricordo del terribile viaggio verso l’ospedale con Robert: per poco non aveva partorito in macchina! Sua madre glielo aveva detto che in quelle circostanze gli uomini erano un disastro, un vero impiccio! E dire che Robert era tutto tranne che uno sprovveduto. Era un uomo fermo e deciso, impeccabile e calcolatore, membro di una famiglia alto borghese era stato educato rigidamente e lei ne aveva fatte le spese parecchie volte. Ma lo aveva amato fin dal primo istante che lo aveva visto, e lo aveva sposato dopo poco tempo. Nonostante questo, aveva deciso di educare i suoi figli in maniera diversa, più libera dalle regole, più “normale”. E ora che li vedeva cresciuti, le si riempiva il cuore di orgoglio. Descriverne uno equivaleva a descrivere l’altro: fin da quando erano nati, li avevano visti assomigliarsi sempre di più, acquisendo giorno dopo giorno le caratteristiche somatiche delle origini egiziane di Sarah, che era per metà inglese e metà egiziana da parte di madre. Avevano un aspetto così seducente da farli rassomigliare ad antichi re: erano alti e dalla carnagione leggermente dorata, gli occhi turchini dono di Robert a creare un punto di fascino. Elisabeth portava lunghi capelli neri come il cobalto che incorniciavano un viso dagli occhi da gatta, ed il suo sogno era di specializzarsi in chirurgia infantile; Alexander studiava per diventare avvocato e le ragazze facevano a gara per uscire con lui.
Purtroppo ultimamente c’era qualcosa che la turbava, che la rendeva nervosa e sospettosa, un peso che le toglieva il sonno. Qualcosa che giorno dopo giorno sembrava ingigantirsi sempre di più. I suoi ragazzi stavano cambiando: da un po’ di tempo li osservava con maggiore attenzione e si era resa conto che qualcosa non andava. Era come se ambedue nascondessero un segreto. A tavola Alexander era sempre particolarmente silenzioso, cosa che non era mai stato, ed ogni tanto lanciava degli strani sguardi verso sua sorella. Sguardi enigmatici che lei non era ancora riuscita a decifrare. Ed Elisabeth… pareva non avere alcun interesse al di fuori dello studio, lei aveva cercato di farle capire che alla sua età era giusto che si divertisse, e che uscisse con qualcuno, ma la ragazza se l’era presa a male. La sua risposta le echeggiava ancora nelle orecchie: “Quando troverò un ragazzo come Alexander allora ci uscirò”. Ancora ci rifletteva su quell’affermazione, senza trovare una risposta adatta. Quell’amore fraterno così esclusivo e viscerale l’aveva messa in guardia: era come se fossero vissuti in un mondo tutto loro. Loro e di nessun altro. Prima erano più socievoli, allegri, spensierati, ora non più. Ora era calato un velo pesante tra di loro. Così non si poteva andare avanti. Dopo essersi rigirata nelle coperte numerose volte, rosa dal dubbio legittimo che lui avesse compreso, decise di aprirsi con suo marito. “Oggi sei andato dai Richardson con Alexander, come si è comportato?” gli domandò con una certa apprensione.
“Perché mi fai questa domanda, Sarah?” Robert si voltò a guardarla abbastanza sorpreso.
“Ho bisogno che mi rispondi” replicò lei a tono basso.
Lui alzò le spalle e corrucciò un po’ lo sguardo.
“A dire il vero è stato abbastanza sulle sue… durante il viaggio verso la tenuta ha parlato poco, ero io che tiravo fuori degli argomenti, ma quando mi sono reso conto che Alexander non aveva tanta voglia di chiacchierare ho chiuso lì. E così ha fatto dai Richardson… scena muta” la fissò in volto per qualche secondo in silenzio. “Non mi hai posto questo interrogativo a caso, non è vero?”
“No purtroppo… dopo quello che mi hai detto la mia preoccupazione aumenta…” prese la sua mano e gliela strinse con forza “…tu non sai quanto”.
“Ah Sarah, tu sei troppo apprensiva! Anch’io all’età di Alexander a volte volevo essere lasciato in pace!” cercò di rassicurarla lui sorridendole dolcemente.
“Oh no!” Sarah si divincolò nervosamente alzandosi dal letto e infilandosi la vestaglia di seta. Robert la osservò un po’ impensierito per quell’atteggiamento strano ed esagerato.
“Non ti sei accorto di come sono cambiati i nostri figli?!” allargò le braccia quasi disperata, per poi sedersi su una sedia di fronte al grande letto, “Non mi dire di no perché non ci credo! Non ci sei quasi mai, ma nei week end la cosa dovrebbe esserti saltata all’occhio tanto è lampante!”
Robert si mise seduto ed incrociò le braccia al petto assumendo un’aria pensierosa, “Non credo, mi dispiace deluderti Sarah, ma visto che tu passi più tempo con loro forse potresti darmi qualche chiarimento”.
Sarah si passò una mano fra i capelli scuri scuotendo la testa: doveva aspettarselo da suo marito. Per lui era sufficiente che i figli fossero sani, che studiassero sodo per costruirsi un futuro solido e tutto il resto non contava. Ma era legittimo comunque tentare di farglielo capire: Alexander ed Elisabeth non avevano solo una madre, ma anche un padre. Che diamine!
“Non credo che la mia inquietudine sia dettata solo dall’apprensione. Certo, sono la loro madre, perché non dovrei preoccuparmi?! Sarei snaturata se non lo facessi, ma in questo caso penso che ci sia qualcos’altro. Sì… ne sono quasi certa… Ti ricordi di Alexander? Un tempo dovevamo tappargli la bocca per farlo stare zitto, ed ora? Passa le sue giornate silenzioso, pensieroso… e lancia strani sguardi ad Elisabeth. Non te ne sei mai accorto Robert?” socchiuse gli occhi assumendo un’aria indagatrice.
Lui scosse il capo più volte “No, non ci ho mai fatto caso”.
“Beh, io sì!”gli rispose di rimando, alterata. “Probabilmente starò diventando nevrotica, ma non è la prima volta che mi capita una cosa del genere! Non so se Elisabeth faccia finta di niente o non se ne renda proprio conto, comunque Alexander si sofferma a fissarla e la guarda con due occhi che… che neanche io so decifrare… è come se tra di loro scorressero frasi mai dette… a nostra insaputa! L’altro giorno ho avuto una discussione con lei, aveva ricevuto un invito da un ragazzo e quando mi ha detto che non ci sarebbe andata mi sono stupita… anzi, mi sono davvero arrabbiata! L’ho rimproverata spiegandole che se avesse continuato a fare così alla fine nessuno l’avrebbe più invitata ad una festa e sarebbe rimasta sempre sola. E sai lei cosa mi ha risposto? Non puoi nemmeno immaginarlo!” alzò lo sguardo al cielo, “Mi ha detto che quando incontrerà un ragazzo come Alexander allora ci uscirà insieme!”
“Io glielo auguro!” rise divertito lui, “Ah, andiamo Sarah! Probabilmente vede suo fratello come un modello da seguire, dopotutto sono gemelli e lo sai che i gemelli tendono ad essere legati più del normale. Forse ti stai preoccupando per niente”. L’uomo si accese una sigaretta quasi con noncuranza e Sarah andò in bestia: la sua leggerezza nel discutere dei loro figli era infinitamente irritante.
“Se l’avessi guardata negli occhi non affermeresti questo” gli rispose gelidamente, “Era seria, non lo stava dicendo tanto per dire. Ascoltami Robert…” si alzò e gli si sedette accanto, sul bordo del letto, “Ti sto chiedendo aiuto, io ho bisogno che tu mi aiuti a capire cosa sta succedendo. Siamo genitori ed è nostro dovere preoccuparci per loro; anche se non si confidano con noi credo che sia più che legittimo che ci assicuriamo del loro benessere”.
Suo marito spense la sigaretta nel portacenere con un’aria che non le piacque affatto: le rughe sotto gli occhi le parevano più marcate e agli angoli della bocca gli si formarono due solchi che raramente vedeva.
“Sai cosa ti consiglio tesoro? Una bella dormita e domani mattina tutto ti sembrerà diverso, vedrai. Fai come ti dico, ne guadagnerai in salute”. Scomparve sotto le coperte e lei lo maledì nella sua lingua, quello era un lato del suo carattere che odiava. Per sbollire la rabbia decise di scendere di sotto a bersi qualcosa di forte. Non lo faceva quasi mai, ma in quel momento ci voleva davvero, era troppo arrabbiata. In salotto accese una delle abat-jour, e si sedette sul divano.
Ma cosa stava succedendo? Che cosa aveva sbagliato? L’unica certezza che aveva era che le sue angosce avevano un fondamento, anche se al momento sconosciuto. Cosa di tanto terribile avevano i suoi figli da portarli a nasconderlo a lei? Prenderli in disparte e chiederglielo esplicitamente non sarebbe servito a nulla, e lei lo sapeva bene, soprattutto da parte di Alexander. Lui era troppo orgoglioso per ammettere di avere un problema. Si alzò dal divano e si avvicinò alla bacheca, dove troneggiava una grande cornice con foto di famiglia: quei tempi erano così vicini eppure sembravano lontani anni luce. Tempi in cui guardava i suoi gemelli giocare spensierati, ridere gioiosamente, tempi in cui nessuna preoccupazione la sfiorava. Neanche le parole di sua suocera erano riuscite a metterle ansia. Già… the Big Mother, come la soprannominava lei, la donna che dall’alto del suo aplomb inglese credeva di sapere sempre tutto e che con il suo tono da regina le aveva consigliato di stare molto attenta. “I gemelli non sono uguali agli altri, loro sono speciali, particolari… non so se mi capisci cara. Ho sentito dire che ancora oggi ci sono un sacco di medici che studiano i loro comportamenti. Sai Sarah, non posso che consigliarti di stare sempre in guardia, soprattutto perché quelle due pesti sono due gocce d’acqua. Se fossi in te li porterei da un ottimo psicologo che li segua costantemente nella loro crescita”. Fottiti, pensò lei, accecata da una vampata d’ira. Avrebbe voluto volentieri disintegrarla e farla sparire per sempre dalla faccia della terra. Che ne sapeva lei dei suoi figli, che li umiliava da quando erano nati? E del resto, ad essere sincera con sé stessa, neanche Robert era stato mai tanto dietro a loro. Purtroppo era fatto così, era il suo modo di concepire l’amore e l’affetto. Per lui volergli bene equivaleva a coprirli di regali e di soldi, erano state poche le volte che gli aveva visto dare loro una carezza o un bacio. Lei era la sola, davvero la sola che li adorava. E da sola doveva risolvere quella situazione. Avrebbe mosso mari e monti per far ritrovare loro la serenità.
Capitolo 2

Alcuni giorni dopo Sarah s’incontrò con Caterine.
Era la sua migliore amica e confidente, nonché moglie del fratello di Robert; andavano molto d’accordo ed erano complici in tutto. Con lei aveva condiviso ogni cosa: gioie e dolori, felicità e dispiaceri, lutti e nascite. Era una donna davvero speciale, soprattutto perché al contrario di lei riusciva a fregarsene altamente dei doveri che spettavano ad una signora dell’alta borghesia, e poi perché, non meno importante, odiava la suocera. Caterine aveva una figlia di nome Tess, della stessa età dei gemelli, che nutriva un amore sviscerato per Alexander. Sua madre la prendeva spesso in giro per questo, ma non c’era da fargliene una colpa, dopotutto lui era così bello che era naturale per una ragazza sentirsene attratta. Caterine le versò una tazza di tè fumante e la guardò in maniera interrogativa ed insieme indagatrice: aveva ascoltato lo sfogo di Sarah e seppure all’inizio ci aveva riso sopra, adesso non se la sentiva più. Sarah era troppo preoccupata perché si trattasse solo di apprensione materna, c’era dell’altro, qualcosa che davvero la rendeva così agitata.
“Ne hai parlato con Robert?” le chiese porgendole la tazza riccamente dipinta, in porcellana finissima.
“Credi che non l’abbia fatto?” alzò le spalle lei, rassegnata, “Quando si tratta di veri problemi lui ne vuole stare fuori, è un codardo! E come se non bastasse, fa in modo che io sembri esagerata!” si batté una mano più volte sul petto, “Io! Io, capisci!! Alexander ed Elisabeth hanno un problema e lui se la risolve sentenziando che passerà! Giuro che lo ammazzerei quando fa così!”
Caterine avvertì una strana ed inattesa nota di disperazione nella voce di Sarah. Anche lei conosceva quel tipo di atteggiamento menefreghista, del resto aveva sposato suo fratello, che in parte era identico. Provenivano da una famiglia troppo ricca perché si fosse preoccupata di insegnare ai figli a voler bene agli altri. Non che fossero cattivi, anzi, non lo erano per niente, solo che pensavano di poter comprare e dimostrare tutto con i soldi, inclusi i sentimenti. Robert amava i suoi figli ma non sapeva come dimostrarglielo; allo stesso modo di Andrew, era strano se non inopportuno dare un bacio od una carezza. Poteva capire perfettamente lo sconforto di Sarah, perché lo aveva provato anche lei.
“Adesso non preoccuparti per Robert, pensa ai tuoi ragazzi. Se lui non ti vuole aiutare lascialo perdere, vorrà dire che ce la caveremo da sole” le colpì amichevolmente una mano sul ginocchio.
Sarah parve rasserenarsi, ma solo per un secondo, poi il suo viso tornò teso. “Se solo riuscissi a capire cosa li angustia! Ho cercato di farli parlare ma senza ottenere risultati… è come se non si fidassero più di me e questo mi fa male! Non so cosa fare con loro, come comportarmi… restare così, senza fare niente mi fa sentire in colpa!”
“Lo so, lo so, hai perfettamente ragione” annuì Caterine, “sei la loro madre, ma ciò non toglie che abbiano paura a confidarsi con te. Forse perché si vergognano, perché pensano di non essere compresi o perché solo non vogliono addossarti un altro problema. Ai nostri tempi era tutto più facile! Ma ti ricordi! Io mi sono fatta un sacco di spinelli mentre ascoltavo i Beatles senza per questo sentirmi in colpa! Oggi i giovani sono così complicati e sensibili…”
“Forse hai ragione tu” sospirò appoggiandosi allo schienale della sedia, “eppure c’è qualcosa dentro di me che mi dice di non lasciare perdere… di non lasciare che questa questione non sia risolta fino in fondo. Sai…“ si fermò un attimo fissandola in volto “…ho pensato a molte cose in questi giorni, ho vagliato qualsiasi possibilità, e ho persino ipotizzato che la loro psiche, essendo gemelli, possa nascondermi qualche ostacolo che ignoro”.
Caterine socchiuse gli occhi ed avanzò verso di lei con la sedia “Cosa vorresti dire?”
“Quando sono nati mi sono documentata sui gemelli monovulari, ero così incuriosita che me ne sono fatta una cultura. Ho letto libri, consultato riviste e tempestato di domande il medico. Così sono venuta a sapere che loro, beh, è un po’ come se fossero una sola persona… pensano allo stesso modo, soffrono allo stesso modo, possono provare lo stesso dolore fisico. A volte il legame tra gemelli identici è così forte che riescono persino a crearsi un mondo tutto loro fino ad escluderne gli altri. E così sono Alexander ed Elisabeth… in tutto e per tutto”.
“Quindi tu pensi che si tratti di qualcosa legato al fatto che sono gemelli identici?”
“Non lo so, ma potrebbe essere un’ipotesi…”
Caterine si alzò dalla sedia con aria pensosa e fece due volte il giro della stanza, per poi tornare a sedersi davanti a lei con aria vittoriosa: “Ho trovato!!”

Se non fosse stato per Caterine, Sarah non ci sarebbe mai arrivata. Ed invece la grande idea che aveva avuto le era sembrata, perché no, geniale. Per una volta voleva essere ottimista: era certa che sarebbe andato tutto per il meglio. Caterine aveva organizzato per Tess una grande festa per l’addio all’estate, sarebbe giunto l’inverno e con esso gli impegni scolastici. La festa si sarebbe tenuta nella grande villa in campagna di proprietà della famiglia di Robert e ci sarebbero stati tutti gli amici. E Alexander ed Elisabeth. Caterine era convinta che tra ragazzi fosse molto più facile confidarsi e che Tess sarebbe riuscita a carpire qualcosa se non da Alexander almeno da Elisabeth. Le due cugine erano sempre andate molto d’accordo e Sarah sperava davvero con tutto il cuore che la figlia si fosse decisa a parlarne con lei. Anche adesso, mentre bussava alla porta della sua camera, continuava a pregare che il desiderio si avverasse. Quando entrò, restò a guardarla: era davvero bellissima. Il vestito di seta leggera lasciava scoperte le sue lunghe gambe e faceva risaltare il corpo longilineo, i capelli neri sparsi sulle spalle la rendevano davvero meravigliosa.
“Allora, come sto?” le chiese girandosi su sé stessa. “Pensi che abbia esagerato?”
Lei sorrise dolcemente scuotendo la testa e la abbracciò forte, per poi staccarsi e rimirarla ancora.
“Sei bellissima, questo vestitino ti dona che è uno spettacolo! Vedrai che alla festa i ragazzi non avranno occhi che per te!”
Di colpo il volto della ragazza si rabbuiò, chinò il capo, si allontanò silenziosamente e mentre preparava la borsetta, le rispose con voce bassa e un po’ infastidita.“Perché mamma il tuo chiodo fisso sono i maschi?”
Sarah le si avvicinò ed incontrò i suoi occhi turchini che la scrutavano con stizza. “Hai ragione, perdonami, credimi, non era mia intenzione farti arrabbiare… è solo che ogni tanto ti vedo così triste e mi preoccupo per te… a volte mi viene spontaneo pensare che se avessi un ragazzo che ti ama, saresti più felice…”.
A quelle parole l’espressione di sua figlia divenne glaciale e così pure il tono della sua voce: “Non ho bisogno di un ragazzo per essere felice mamma, ho mio fratello!”
Sarah rimase senza parole e restò ammutolita mentre la guardava infilarsi le scarpe dal tacco alto.
“Ma Alexander è tuo fratello! Lui non potrà mai darti quello che potrebbe un tuo ipotetico ragazzo! E questo lo sai anche tu Elisabeth!”
La ragazza si voltò a fissarla sfidandola ed aprendo la porta le rispose gelidamente: “Tu non puoi saperlo”
E così scomparve lasciandola lì in piedi, attonita, senza voce. Quello che aveva appena sentito non aveva alcun senso… “Tu non puoi saperlo”. Che cosa intendeva, e perché non riusciva più a capirla? Le lacrime le annebbiarono gli occhi ma si apprestò subito ad asciugarsele, doveva essere forte, ottimista. La porta si riaprì di colpo e comparve Alexander, insolitamente allegro e di buon umore: ora che lo vedeva sorridere si rendeva conto di quanto fosse bello. E quel sorriso riuscì a rinfrancarla un po’.
“Mamma noi andiamo, non aspettarci alzata!” la informò.
“Va bene, ma non fate troppo tardi” gli raccomandò avvicinandoglisi e dandogli un bacio sulla guancia liscia e morbida, in punta di piedi; Alexander era più alto di lei.
“Non preoccuparti” la rassicurò lui, “andiamo solo ad una festa!”
Già, ad una festa… Sarah si ritrovava a sperare che una festa risolvesse le cose.

Ringraziò il ragazzo che con molta galanteria le aveva versato nel bicchiere del mojito ed andò a sedersi ai divanetti guardandosi attorno. Non c’era che dire: Tess aveva organizzato tutto alla perfezione. Aveva invitato davvero tanta gente: c’erano i loro amici d’infanzia, i vari cugini e parenti, i compagni di università. La musica era alta ed il grande salone assomigliava più ad una discoteca che ad una residenza alto borghese. Le scappò un sorriso al pensiero di suo padre di fronte ad un casino del genere: lui era troppo rigido e controllato per accettare certe situazioni e poi non sapeva affatto divertirsi. Meno male che c’era la mamma, lei era riuscita ad educarli con il vero senso della realtà. A proposito, ora che ci pensava, aveva perso di vista suo fratello, trovarlo tra quella bolgia sarebbe stato davvero difficile, meno male che Tess le stava venendo incontro, lo avrebbe chiesto a lei.
“Elisabeth cosa fai lì seduta?” le chiese scherzosamente, prendendola per un braccio e facendola alzare dal lussuoso divanetto di pelle nera. “Vai a ballare, là ci sono parecchi ragazzi che morirebbero dalla voglia di strusciartisi addosso!!” scherzò Tess bevendo un lungo sorso di uno strano cocktail blu. Era paonazza in viso ed un lieve sudore le imperlava la fronte; nono­stante fosse alta “come uno dei sette nani” (lei amava prendersi in giro così) sapeva davvero come farsi notare. Elisabeth le diede scherzosamente uno strattone: “Dai smettila! Piuttosto hai visto Alexander? Non riesco a trovarlo”.
Tess la guardò con una buffa espressione interrogativa: “Devi stargli dietro come una seconda mamma? Starà pomiciando con qualcuna! Qui ci sono ragazze che pagherebbero oro per portarsi a letto tuo fratello!” rise divertita. Ma si rese conto di essere la sola: Elisabeth era rimasta a guardarla seriamente, anzi, sembrava quasi arrabbiata. “Ops, ho detto qualcosa che non dovevo?”
“No, no… niente” scosse la testa e tornò a sedersi con aria quasi afflitta. Tess le si sedette accanto e le scostò i capelli lucenti dalla spalla.
“Cosa c’è cuginetta? Non venirmi a dire che stai bene, perché non me la dai a bere! Non sei la solita che conosco… allora, cosa c’è che non va?”
Elisabeth si rigirò tra le mani il bicchiere ancora pieno, come se fosse stata in trance: era rosa dal dubbio se dire o no a Tess quello che la opprimeva. Con sua cugina aveva sempre avuto un ottimo rapporto di complicità ed amicizia, forse proprio perché erano così diverse tra di loro: lei era timida e gentile, Tess sfrontata e ribelle. Si volevano molto bene ma in quella circostanza si trovava di fronte ad una scelta difficile. La cosa che più la bloccava non era il fatto che sua cugina non potesse capirla, ma che non fosse riuscita a mantenere il segreto. Non avrebbe mai voluto vedere la sua famiglia soffrire per causa sua. Al solo pensiero le vennero i brividi: immaginarsi quello che sarebbe potuto accadere se i suoi genitori fossero venuti a conoscenza del suo problema la spaventò. Però una parte di lei non ce la faceva più a sopportare quel silenzio, voleva sfogarsi con qualcuno.
“Che cosa ti fa pensare che io stia male, Tess?” le chiese sforzandosi di sorridere, sebbene consapevole di non riuscirci bene come avrebbe voluto. Tess scosse la testa e prendendola per mano la portò fuori dalla villa, lontano dal frastuono e dalla calca, dove la musica era solo un’eco lontana. Elisabeth aveva protestato ma lei l’aveva letteralmente trascinata contro voglia.
“Ma che ti salta per la testa!?” le urlò visibilmente irritata, “hai bevuto troppo Tess?!”
“Tanto per cominciare reggo l’alcool meglio di te, cara!” la apostrofò. “E poi se ti ho portata qui è solo perché sono preoccupata per te! Tu non sei più la stessa, siamo a metà festa e non hai ballato con nessuno, ti sei limitata a stare seduta a guardare gli altri, come una statua! Un tempo non lo avresti fatto!!”
Elisabeth colta nel vivo abbassò il volto e strinse i pugni nervosamente, senza dire nulla. Il silenzio le sembrava l’unico modo per esprimere il suo stato d’animo in quel momento. Tess restò a fissarla mentre il cuore le accelerava i battiti: un po’ si trattava della rabbia che provava nei confronti della cugina, un po’ la preoccupazione di vederla così spenta. Forse l’aggressività non l’avrebbe portata lontano con lei.
“Ascoltami” le disse con più calma, accarezzandole un braccio, “io voglio solo aiutarti… se hai un problema non devi avere paura di confidarti con me. Tu sai che ti voglio molto bene, che non ti tradirei mai… lo sai Elisabeth! A volte non basta la ricchezza e la bellezza per essere felici e questo credo che ce lo siamo dette tante volte! Perciò… perciò te lo richiedo di nuovo, dimmi cos’hai!”
Elisabeth alzò il volto e fissò la cugina mordendosi le labbra: forse aveva ragione, doveva parlarne.
“Prima però mi giuri che quello che ti dirò non uscirà mai dalla tua bocca! Mai! Non deve assolutamente saperlo nessuno Tess! Giuramelo, giuramelo sulla nostra amicizia!” la implorò con sferzante energia, prendendola per le spalle.
La ragazza giurò col cuore in gola: quelle parole l’avevano spaventata. Le nascondeva qualcosa di grosso e lei aveva fatto un giuramento, come avrebbe potuto poi avere il coraggio di infrangerlo?
“All’inizio lo sopportavo…” iniziò Elisabeth, guardando davanti a sé “…intendo il mio malessere. Ho cominciato a stare male sei mesi fa, ma mai avrei creduto che sarebbe diventato così forte ed insopportabile. Pensavo che sarebbe stato passeggero, mi dicevo che si trattava di una semplice crisi, era un periodo che mio padre era ancora più assente del solito ed io davo la colpa a questo… ma era solo una banale scusa per nascondere la verità. Una stupidissima scusa… Ho cercato inutilmente di tornare quella che ero un tempo, ma alla fine ho dovuto arrendermi, ho dovuto ammettere con me stessa che non c’era nulla che io potessi fare perché cambiassero le cose. Nulla”.
Tess la bloccò per un braccio “Ti fai di qualcosa Elisabeth?!”
Lei scosse più volte la testa per rassicurarla fino a quando la presa di sua cugina non la abbandonò: quel gesto servì a rincuorarla.
“No, non preoccuparti, non potrei mai, anche se a volte, sai… penso che avrei preferito migliaia di volte stordirmi con una pillola piuttosto che stare così”.
“Che cosa ti fa star male così?” le domandò prendendole una mano per farle sentire il suo appoggio “Per caso sono i tuoi… perché se è così non devi certo fartene una colpa! Tutti i genitori rompono un po’ le palle, anche i miei!”
“No, i miei genitori non c’entrano nulla, loro sono all’oscuro di tutto; mia madre ha cominciato a preoccuparsi per me ed io la tratto male perché mi vergogno di dirle la verità. No, non è colpa loro se sto così… c’è una persona che non sa nulla, di quanto sta accadendo in me, ma suo malgrado è la causa di tutto…” sospirò tristemente.
“E chi è questo idiota che ti fa soffrire in questo modo?!!” sbottò irritata mentre ormai erano arrivate di nuovo davanti alla villa. “Dimmelo subito che ci penso io a conciarlo per le feste! Sputa il suo nome!”
Elisabeth alzò lo sguardo oltre le spalle della cugina ed intravide Alexander uscire dalla villa e venir loro incontro. Fu allora che pronunciò quelle due fatidiche parole. “È lui”.
Tess si voltò di colpo e quando i suoi occhi incontrarono quelli azzurri cupi di Alexander per poco non le venne da ridere. No, non poteva trattarsi di lui… che diavolo c’entrava con tutta quella storia? Si rigirò di scatto a guardare interrogativamente sua cugina ma ormai lui era alle loro spalle ed il discorso non sarebbe comunque potuto proseguire. Era a dir poco assurdo. Elisabeth era tormentata per suo fratello, ma perché? E soprattutto: per cosa?
“Salve fanciulle, cosa fate qui tutte sole? Vi siete dimenticate che là dentro c’è una festa?!”
“Beh, aspettavamo un principe che venisse a farci compagnia, e tu sei arrivato!” gli disse scherzosamente Tess, cercando di domare la tempesta di emozioni dentro di sé. Alexander, illuminato dalla luna era ancora più attraente, più lo osservava e più si rendeva conto che un ragazzo così affascinante forse non lo avrebbe mai più incontrato in vita sua. Come poteva proprio lui fare del male a sua sorella? Non lo sapeva, però non le era sfuggita l’occhiata che le aveva lanciato: quei due occhi profondi color del mare per un secondo le erano sembrati carichi di una passione cocente. Forse si stava solo sbagliando… doveva sbagliarsi.
“Perché sei venuto a cercarci? Non mi sembra che sia già ora di tornare a casa” gli chiese Elisabeth guardando l’orologio.
Alexander sorrise divertito e poi indicò la porta: “Si stanno ballando i lenti là dentro, credo che anche a voi donne romanticone farà piacere saperlo!”
Tess saltò dalla gioia all’idea di accaparrarsi il tipo che aveva puntato dall’inizio della serata e cominciò a correre, lasciandoli indietro; Alexander prese per mano Elisabeth e mentre si incamminavano le fece una proposta inaspettata: “Che dici sorellina, lo balleresti un lento con me?”
Lei con un enorme sorriso gli rispose di sì.


[continua]


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