Capitolo uno
Un secondo.
La sessantesima parte di un minuto.
Un minuto.
La sessantesima parte di un’ora.
Un’ora.
La ventiquattresima parte di un giorno.
Un giorno.
Una settimana.
Un mese.
Una stagione.
Un anno.
E se non fosse così?
Se un secondo durasse molto di più? Se un secondo fosse in grado di durare un minuto, cosa accadrebbe a questo mondo?
Se un secondo si calcolasse nel momento preciso in cui due sguardi si incontrano per la prima volta?
Se i minuti durassero quanto i baci tra due innamorati?
Se il tempo che passiamo sotto le coperte a far l’amore basterebbe per definire la durata di un’ora?
E se invece la nostra stessa esistenza altro non è che il passare di un secondo?
Un attimo…
un istante.
Avete mai provato a fermarvi sotto un albero e insieme ad esso, aspettare lo scorrere del tempo?
Marcus lo faceva ogni volta che doveva andare a trovare sua nonna.
Durante l’estate gli piaceva notare come i raggi del sole passavano attraverso gli spazi che le foglie creavano. Era uno spettacolo che lo affascinava molto e più lo guardava, più sentiva come la sensazione del vuoto assoluto circondava lui e quell’albero. Era come se ogni raggio che riusciva a intravedere, nascondesse una sua parte fino a non sentire più il mondo circostante. Rimaneva sempre immobile, con lo sguardo verso l’alto e con un sorriso fantastico sul volto.
Durante l’autunno gli piaceva distendersi sull’erba fredda. Questa volta cercava di cogliere l’attimo preciso in cui la foglia si staccava e iniziava a cadere lasciandosi trascinare dal vento autunnale. Quando era ancora piccolo, Marcus accomunava le lacrime degli esseri umani che scendono lentamente sul viso, al cadere delle foglie dagli alberi. Un’altra cosa a cui pensava sempre, era il modo in cui le vedeva cadere. Non riusciva a comprendere se avveniva tutto in maniera casuale o se ogni foglia sapesse quando era il proprio turno.
Durante l’inverno, dalla finestra che porgeva sul prato difronte alla casa, restava seduto sulla sedia con una tazza di cioccolata calda in mano in attesa che il suo albero tornasse vivo. Marcus si sentiva triste durante questa stagione. Tutto era coperto dalla fredda neve, tutto perdeva colore. Perché i bambini non erano fuori a giocare e i grandi a passeggiare lungo le strade? Perché tutto era così silenzioso? Sua nonna gli raccontò che da piccolo lui prese alcuni vestiti che trovò per la casa e andò a coprire il suo albero per paura che sentisse troppo freddo. Sua nonna gli disse che gli alberi non avevano bisogno di vestiti perché non sentono il freddo come noi. Chiese a sua nonna se fosse sicura di questa cosa, lei non seppe cosa rispondere.
Durante la primavera gli piaceva contare quante gemme stavano nascendo sui rami del suo albero.
Il vento leggero e il sole ancora timido accompagnati dal dolce suono del cinguettio degli uccelli, faceva di questa stagione la preferita di Marcus.
Ventiquattro di ottobre…
Fuori dalla finestra è iniziato il mattino mentre la sveglia spezza quel silenzio che regnava sempre dentro la sua camera. Erano le sette. Il risveglio per Marcus è sempre stato una parte della giornata che rappresentava qualcosa di tragico. Passare dal mondo dei sogni al mondo della realtà che lo circondava anche dentro la sua piccola camera, lo spaventava e allo stesso tempo lo rendeva triste. Non era facile abbandonare i desideri e i sogni sotto le coperte.
Con uno scatto improvviso si alzò dal letto e iniziò a guardarsi intorno con aria molto confusa.
«Sì, penso di essere decisamente sveglio.»
Come appena detto, per lui era un trauma il fatto che ogni mattina doveva svegliarsi. Rimase seduto sul bordo del letto mentre si passò due tre volte la mano tra i capelli, subito dopo controllò l’ora guardando l’orologio che portava alla mano sinistra: erano le sette e un quarto. Certo che era passato molto in fretta il tempo.
Si alzò molto lentamente e si diresse verso il bagno. Lungo il corridoio che collegava la sua camera al bagno, la luce era spenta. Rimase per qualche istante a guardarsi allo specchio, poi iniziò a lavarsi prima le mani, poi il viso cercando di bagnare leggermente anche i capelli in modo da ordinarli in qualche modo. Tornò in camera sua. Questa volta accese la luce nel corridoio. Si trovò di fronte il grande armadio bianco che conteneva nella parte centrale i suoi vestiti mentre ai due lati erano sistemati i suoi libri. Aveva veramente molti indumenti, e come sempre quando uno ha tante scelte di fronte, risulta più difficile farne una. Lo attraeva molto la maglietta a maniche lunghe rossa che non indossava da molto tempo. La abbinò al jeans color grigio, prese lo zaino in spalla e uscì di casa. Prese la bicicletta e iniziò a pedalare.
Marcus ha quindici anni e frequenta le superiori ormai, ma la scuola è un ambiente dove non si trova a suo agio. Più che imparare, si annoia. Preferisce le giornate che trascorre con sua nonna.
Ogni pedalata lo portava sempre più vicino alla scuola, e quella mattina aveva abbastanza fretta dato che era leggermente in ritardo. Odiava arrivare in ritardo al punto da essere presente sul luogo dell’appuntamento anche un quarto d’ora prima dell’orario stabilito. Quella mattina però, fece un sogno che lo trattene maggiormente sotto le coperte. Sognò la sua compagna di classe: era un motivo più che valido per poter fare, per una volta, un ritardo. La strada per raggiungere la scuola comprendeva un piccolo tratto di strada che passava in mezzo ad un campo abbandonato. Nelle fredde giornate si creava sempre uno spettacolo molto particolare. Dato che il campo si trovava ad un livello più basso rispetto a quello della strada, secondo Marcus era questo il motivo per cui sopra il terreno si creava un mantello di nebbia che era limitato dal bordo del terreno stesso. Era come se la nebbia potesse poggiare solamente sopra quella soffice erba. Marcus ha sempre amato la natura ed è sempre rimasto stupido dalla sua semplicità nel creare straordinari eventi. La pioggia ad esempio, amava il profumo che la terra emanava bagnata da essa. Era un profumo al quale non era mai riuscito a dare una descrizione, continuava ad affermare che era il profumo che doveva avere la vita. Si fermò ad ammirare per qualche altro istante la nebbia, poi dalla tasca tirò fuori il suo cellulare e scattò una foto al paesaggio.
Prima di arrivare a scuola, appoggiava la sua bicicletta sotto un albero. Non poteva esistere un albero che assomigliasse al suo, perché quando abbiamo un rapporto particolare con una persona o una cosa, siamo così gelosi e così possessivi da voler essere gli unici ad avere quel tipo di legame con essa. Per questo motivo, non poteva esserci un albero uguale a quello che si trovava di fronte alla casa della sua nonna. Una volta legata la bicicletta, si diresse verso scuola. Quest’ultimo tratto comprendeva meno di cento metri di distanza tra il luogo dove lasciava la sua bicicletta e l’entrata della scuola, ma lui voleva percorrere quell’intervallo di distanza a piedi. Non perchè si vergognasse di amdare di a scuola in bicicletta, ma semplicemente perché voleva avvicinarsi progressivamente a lei: la sua compagnia di classe.
Era solita fermarsi sulla soglia dell’entrata ed aspettare il suono della campanella. Amava stare ad ammirarla, e camminando poteva far durare quel momento il più a lungo possibile.
«Buon giorno!» Esclamò appena fu abbastanza vicino a lei.
«Buon giorno!» L’espressione sulla faccia non cambiò nemmeno per un istante. Rimase fissa ad osservare l’enorme cartellone pubblicitario situato sulla parte opposta all’ingresso della scuola.
La conclusione era sempre la stessa, ogni volta. A Marcus mancava la ragazza che lei era prima che iniziasse a frequentare le superiori. Adesso nelle sue parole sentiva solamente un’agghiacciante sensazione: era come se ogni volta salutava uno sconosciuto, e lei non era uno sconosciuto, lei era la ragazza che Marcus sognava sempre, la ragione per poter arrivare in ritardo a scuola pur di rimanere altri cinque minuti a letto e continuare a sognarla.
Salì le scale che lo portavano in classe. Sistemò il giubbotto dietro la seggiola e appoggiò lo zaino in terra tra il suo e il banco del suo compagno. All’entrata non fece molto caso a come era vestita, solamente all’inizio della prima ora di lezione, quando lei rientrò in classe e andò a sedersi al suo posto, notò il fascino che emanava. A livello erotico era molto attratto dal suo fisico, ma quel giorno il suo modo di vestire e l’eleganza che prese possesso di lei resero quell’attrazione maggiore. La parte superiore del corpo era coperto da una maglietta bianca che proseguiva oltre il bacino, sopra un giubbotto di pelle nero la avvolgeva con una certa eleganza. Le gambe erano coperte da un paio di calze che nascondevano il chiaro colore della sua pelle. Infine tutto ruotava attorno alla sua minigonna, la quale metteva in mostra le curve che i suoi fianchi possedevano. Per tutta la durata delle lezioni non fece altro che osservarla e veniva continuamente attratto da quella minigonna nera che nascondeva in modo molto furtivo lo spazio che si creava quando lei accavallava le gambe.
Riuscite ad immaginarla? Capelli riccioli che con molta seduzione seguivano ogni movimento che lei compiva. Pelle molto chiara che metteva in risalto il colore buio dei suoi occhi con labbra di un colore rosa appena accennato.
Fu la sua distrazione quel giorno.
Non riusciva a comprendere il perché di tutto questo. Era sempre stato attratto da lei, ma quel giorno la carica erotica che emanava lo fece impazzire.
Durante l’intervallo Marcus era solito rimanere in classe e osservare fuori dalla finestra.
«Cosa vedi mentre guardi le persone?» A porre questa domanda era il suo compagno di classe, il quale era sempre stato curioso di capire il comportamento di Marcus.
«Non lo so, però mi piace osservare ogni loro particolare, le scarpe che indossano, il colore della loro maglietta, vedere i loro volti, il modo in cui camminano, è strana la sensazione, ma è come guardare uno specchio al buio per vedere se riesci a indovinare cosa e chi vedi riflesso in esso quando accenderai la luce. Ma vuoi sapere quale è la cosa più strana in tutto questo?» Si rivolse al suo compagno.
«Quale?» Pretese impazientemente.
«Non so per quale motivo e non riesco a comprendere il perché di questo mio comportamento, ma ogni volta che osservo una persona mi capita di controllare le scarpe che indossa. Come se potesse in qualche modo rivelare la persona che è. Ti rendi conto, un paio di scarpe che possono rivelare la persona che siamo?» Scoppiò a ridere come se la domanda che aveva appena posto non avesse molto senso nemmeno per lui.
«A volte sei strano ti giuro.»
«Deve essere così che ci si sente quando una persona vive troppo tempo immersa nei propri pensieri.»
«Forse…»
Pronunciate le ultime parole rimasero entrambi in silenzio, ed entrambi allo stesso modo continuavano ad osservare fuori da quella finestra.
Quel modo di guardare le persone è solito di chi, come Marcus, passa la maggior parte del tempo a pensare e cercare di afferrare il perché di certi comportamenti che l’uomo ha. Tutto questo a Marcus fa paura. Fa paura sapere come comportarsi nelle situazione che viviamo e non avere mai abbastanza coraggio di agire così come vorremmo. Deve essere una legge fisica o matematica che non aveva mai studiato a scuola, oppure il semplice fatto che il mondo si distingue in chi conosce, in chi agisce e l’ultima parte era quella di cui Marcus avrebbe voluto far parte: i pazzi.
Sono quel genere di persone che riescono a scappare dal controllo della società e hanno ruoli diversi da quelli che siamo abituati a vedere. Essi sono liberi nella loro semplicità per il fatto che non sono resi schiavi dal giudizio che la gente offre.
Il suono della campanella lo riportò al suo posto, seduto su una sedia. Avrebbe preferito rimanere affacciato di fronte a quella finestra e immaginare l’infinito, viaggiare con la mente e cercare di scappare dalla realtà che lo ha sempre circondato. Doveva essere triste, qualcosa lo rendeva infelice, qualcosa quel giorno doveva accadere, o semplicemente avrebbe voluto tanto che accadesse quello che lui sperava. Ci mise un po’ ma alla fine riuscì ad ammettere a se stesso che era la sua compagna di classe la fonte di tanti pensieri e di tanta tristezza.
In fondo sarà sempre una donna che porterà via la ragione all’uomo.
Quel suo stato emotivo rimase fino all’uscita dalla scuola. Una volta presa la bicicletta ebbe come destinazione la casa di sua nonna. Durante il tragitto non fece altro che ripensare al fatto che si sentiva particolarmente attratto da lei. Non c’era verso di scappare, l’unica cosa che gli frullava per la testa era ancora lei e tutto quello che era collegato alla sua immagine. A volte queste emozioni ci colpiscono senza darci un preavviso e chi non è abituato a lottare nel campo dell’amore viene sempre colto alla sprovvista e di conseguenza tutto diventa molto confuso.
A interrompere i suoi pensieri fu una scena che gli si presentò nelle vicinanze della casa della nonna. Stava attraversando la strada quando assistette a un conflitto verbale tra due persone. Entrambi avevano una certa età ed erano seduti attorno ad un tavolo di fronte al negozio dove sua nonna lo mandava sempre a comprare il pane. Si avvicinò per poter sentire meglio l’argomento che trattavano e che era teatro di tanto conflitto.
«Ti dico che non è possibile, sono le due e dieci minuti.» Urlò il primo dei due mentre indicava l’orologio al polso.
«Ti sbagli, sono le due e venti minuti.» Replicò il secondo indicando a sua volta l’orologio al polso.
«Sono sicuro che sono le due e dieci minuti per il semplice fatto che alle due suonano le campane, e da casa mia al bar ci metto sempre dieci minuti.»
«Non è possibile.»
«Come fai a dirlo?» Domandò incuriosito e allo stesso tempo arrabbiato.
«Facile, mia nipote torna a casa alle due e dieci, e dopo averle aperta la porta esco per venire al bar, e ci ho sempre messo dieci minuti per arrivarci.»
«Magari questa volta è arrivata in ritardo, che dici?»
«Non arriva mai in ritardo, odia arrivare in ritardo.»
Marcus si sentì come coinvolto così controllò l’orologio, indicava le due e un quarto. Nessuna delle due persone anziane aveva ragione, oppure uno dei due l’aveva e l’orologio di Marcus segnava un’ora sbagliata. Tutto questo suscitò molta curiosità e fecero comprendere quanto sia diversa la visione del mondo agli occhi di ognuno di noi, soprattutto quando si tratta dello scorrere del tempo.
Quando si fermava e attendeva lo scorrere del tempo accanto al suo albero, tutto sembrava quasi fermo, ma in realtà lo sapeva che tutto procedeva come sempre. Il mondo non si ferma per aspettare noi, siamo noi che dobbiamo sempre corrergli dietro.
All’improvviso uscì il barista con una birra in mano e rivolgendosi ai due signori propose:
«Chi sa dirmi l’ora esatta si prenderà questa birra gratis.» Dopo essersi rivolto a loro guardò verso Marcus e gli fece l’occhiolino. Si accorse della sua presenza e considerò il fatto che anche lui fossi curioso di sapere quale fosse l’ora esatta.
«Le due e undici minuti.» Esclamò il primo.
«Ma che dici, sono le due e ventuno minuti, giusto?» Rispose aspettando il verdetto del barista.
«E se vi dicessi che avete entrambi ragione?» Era la risposta che Marcus non si sarebbe mai aspettato di sentire. Ci rimase quasi male.
«Significa che questa birra la beviamo insieme!» Scoppiarono a ridere entrambi ed era come se il verificare chi dei due avesse ragione sull’ora fosse scomparso d’un tratto. Il barista si diresse verso Marcus, si accese una sigaretta e guardò l’ora che indicava il suo orologio. Poi guardò anche quello di Marcus.
«I nostri orari sono quelli esatti, se consideriamo la convenzione. Ma cosa cambia se il tempo è avanti o indietro di cinque minuti?»
Marcus, che è una persona che ama arrivare sempre in orario, aveva bisogno che il suo orologio indicasse sempre l’ora esatta, questo avrebbe cambiato per lui, avere un orario avanti o indietro di cinque minuti.
«La precisione del tempo.» Rispose convinto.
«Il tempo è preciso secondo te? Una donna che soffre, piange sempre alla stessa ora? Una foglia che oscilla con il vento, lo fa sempre alla stessa ora? Tu che ti fermi ad osservare come il tempo scorre, lo fai sempre alla stessa ora?» Lasciò Marcus senza parole. Rimase affascinato da quella risposta. Poi riprese:
«Vedi quello con l’orologio avanti? Sta vivendo nel futuro, possiamo quasi dire che quando morirà, solamente dopo cinque minuti ci renderemo conto che è morto. Mentre il secondo che ha l’orologio indietro quando morirà avrà ancora cinque minuti a disposizione prima di allinearsi con il tempo. Dunque per cinque minuti vivrà da immortale. A questo punto avrei potuto dire a loro l’ora esatta o avrei potuto far diventare immortali entrambi per cinque minuti, ma non spetta a me decidere come gli altri devono vivere con il proprio tempo.»
«E secondo te accadrà?» Chiese con aria molto sospetta Marcus.
«Cosa, il fatto di rimanere immortali per cinque minuti? Non ne sono certo, ma lo spero, mi piacerebbe avere a disposizione ancora cinque minuti.» Continuò a fumare la sua sigaretta e guardò nuovamente l’ora che indicava il suo orologio. Erano le due e venti minuti. Marcus notò subito il comportamento del barista e controllò a sua volta l’ora.
«Sai, quasi quasi mando anche io indietro il mio orologio, così magari un giorno… anche io sarò immortale per cinque minuti.» Disse tirando un lungo sospiro il barista. Qualcosa lo doveva spaventare, o forse aveva paura di non riuscire a fare tutto quello che avrebbe voluto fare nella sua vita e avrebbe voluto avere ancora cinque minuti a disposizione per fare un’ultima cosa.
Marcus salutò il barista e cominciò nuovamente a pedalare.
Era quasi arrivato, la strada che lo portava da sua nonna era davvero stupenda. Era una di quelle strade non asfaltate immerse nel verde della natura e avvolta tra gli alberi che erano presenti lungo di essa. In fondo alla strada si trovava una casa costruita in pietra con un robusto tetto color rosso. Era quel tipo di casa che ogni artista avrebbe voluto dipingere: era la casa di sua nonna. Lasciò cadere la bicicletta e si affrettò ad entrare.
«Nonna, sono arrivato!» Esclamò appena varcò la soglia della porta. Sapeva dove dirigersi per trovare sua nonna, nel salone. Era lì che entrambi passavano la maggior parte del tempo. In esso era presente un grande tappeto rosso che copriva interamente il freddo pavimento, mentre nella parte destra della stanza vi era situata una grande libreria che conteneva la maggior parte dei libri che Susy, la nonna di Marcus, possedeva. L’intero ambiente era illuminato da una grande finestra situata a fianco della libreria. Al centro della stanza vi era collocato un tavolino basso e vicino ad esso, un divano in pelle color bianco. Era il posto dove si sedeva Marcus, mentre sua nonna si accomodava sempre sulla sedia a dondolo.
«Sei arrivato più tardi oggi rispetto alle altre volte, non eri tu quello puntuale?» Susy era una persona molto precisa e riusciva a catturare ogni minimo particolare di qualsiasi situazione.
«Lo so, ma ho tardato perché ho scoperto come diventare immortale.» Sorrise Marcus mentre si stava sistemando sopra il divano. Non riuscendo a trattenersi, sua nonna scoppiò a ridere sentendo tale affermazione da parte di suo nipote.
«Non mi dire!» Mentre lei continuava a ridere Marcus si avvicinò al suo orecchio e le sussurrò:
«Nonna, vuoi diventare immortale?» Percependo tutta quella serietà nella domanda posta, iniziò quasi a preoccuparsi e con voce debole rispose:
«Penso di non voler desiderare qualcosa del genere, il tempo a volte può significare anche sofferenza.»
«Tranquilla nonna, sarai immortale solamente per cinque minuti.»
«In questo caso allora va bene.» Riprese a ridere e Marcus le domandò subito dopo:
«Hai appena detto che non vorresti mai diventare immortale, esiste qualcuno che lo vorrebbe?»
«Tu lo vorresti diventare?» Non si aspettò una domanda del genere Marcus.
«A dire il vero, non lo so.»
«Allo stesso modo risponde anche la maggior parte della gente. E io non intendo vivere come definizione scientifica, ovvero finché il cuore batte e il cervello mantiene le sue attività principali e bla bla bla, ma intendo vivere come solamente la filosofia può dare una definizione: vivere ogni esperienza, provare ogni sentimento, piangere per poi ritrovare il sorriso cercare di non venir uccisi dalla paura. Molta gente ha paura di vivere, perché non sa davvero come liberarsi dalle catene che essa stessa si è fatta mettere.
A me fa male vedere le persone, al giorno d’oggi, comportarsi come burattini, per poi non riuscire più a vivere liberamente. E non sanno come farlo, perché attorno ad essi si creano ideali che non appartengono allo spirito umano. Io penso che ogni uomo sia nato libero, e come tale deve vivere. Chi non ha ancora capito come vivere non dovrebbe mai desiderare l’immortalità, a cosa servirebbe se ancora non ha imparato a vivere?»
«Sai, oggi sono arrivato in ritardo a scuola perché ho sognato nuovamente Elisabeth.»
«Beh, ultimamente ti capita sempre più spesso eh!» Gli rispose facendogli l’occhiolino.
«Però la ragazza che avevo sognato era diversa da come lei è nella realtà.»
«I sogni rappresentano i nostri desideri, può significare che la ragazza che desideri è la ragazza che era prima, non quella che è diventata adesso.»
«Esatto, e collegandoci a quello di cui si parlava prima, mi chiedo perché lei abbia smesso di vivere.»
«Cosa intendi?»
«Lei era quel tipo di ragazza che emanava felicità, non avresti mai potuto, per quanto cattivo tu saresti potuto essere, farle del male o provare per lei qualcosa al di fuori di emozioni positive. Ero davvero innamorato della sua personalità. Ma oggi quello che mi attraeva di lei, non era più la sua personalità ma il suo aspetto fisico. Ha smesso di vivere perché adesso nel guardarla non vedo e non provo più amore ma solamente attrazione fisica, è come se…» Marcus raccolse le braccia al petto e abbassando la testa non riuscì a concludere la frase. Era davvero confuso.
«L’adolescenza è l’età in cui siete particolarmente deboli, perché iniziate a provare stimoli diversi e a desiderare piaceri che non sono più quelli di un bambino. L’esperienza diventa la vostra unica meta, ma essa diventa saggia solamente se nasce da una curiosità personale interna e non da influenze esterne. È come se steste resettando la vostra vita e iniziaste a riprogrammare la vostra personalità. In questo periodo siete vulnerabili perché una volta diventati soggetti di un’influenza esterna, essa diventa un vostro bisogno, positivo o negativo che sia.»
Dopo una conversazione come questa nonna e nipote erano soliti stare entrambi qualche minuto in silenzio. Dicevano che in questo modo tutti i pensieri e tutto ciò che avevano appreso andava riordinato all’interno della loro mente, e per fare ciò avevano bisogno di silenzio.
«Vado a preparare il tè.» Disse la nonna alzandosi dalla sua sedia a dondolo e dirigendosi verso la cucina, Marcus invece si distese sul divano e come sempre si mise ad osservare il lampadario che illuminava la stanza quando la luce proveniente dalla finestra non lo permetteva in modo sufficiente.
«Chissà perché ha smesso di vivere.» Si domandò sottovoce.
L’adolescenza è anche un’età nella quale vogliamo essere grandi e per farlo spesso ci facciamo del male. Elisabeth per diventare grande aveva rinunciato a molte amicizie per il semplice fatto che in compagnia di quelle persone la gente la vedeva ancora come una bambina. Odiava essere vista in quel modo e iniziò a comportarsi in modo assurdo. Iniziando a fumare attraeva, secondo lei, i ragazzi più grandi; iniziando a bere il sabato sera diventava una preda facile per chi se ne voleva approfittare. Iniziò a consumare rapporti sessuali nel modo più sbagliato possibile. Il sesso d’altronde è un fattore molto importante nella natura dell’uomo; però lei non lo faceva per piacere ma solamente per poter dire di averlo fatto. Nel suo sguardo si vedeva bene che Elisabeth era sola. Era la ragazza con la quale tutti ci provavano per fare sesso. Anche se lei ne era consapevole, era come se in fondo sperasse che un giorno avrebbe conosciuto il ragazzo che l’avrebbe trattata in modo diverso. Aveva bisogno di amore. Era come provare qualcosa per una prostituta, un oggetto. Era quello che lei stava diventando, un oggetto sessuale, e Marcus riuscì ad afferrare il perché di quella attrazione che aveva provato per lei: era attratto dal suo fisico, era attratto dalla sensualità che emanava, non aveva bisogno di baciarla, sarebbe bastato anche a lui il sesso. La persona che Elisabeth aveva creato intorno a sé, fece perdere di vista anche a Marcus l’unica cosa importante da non confondere mai: la differenza tra amare ed essere attratti.
«Nonna, ti è mai capitato di fare un sogno, e poi renderti conto al tuo risveglio che quello stesso sogno lo avevi già fatto? Voglio dire, svegliarsi e capire che il sogno appena fatto era l’inizio di un sogno precedente. Come se fossero collegati tra di loro in modo da indicare qualcosa.»
Susy posò i bicchieri sul tavolo e vi verso dentro il tè, poi sorrise e chiese:
«Parlami di questo sogno allora, così posso capire meglio.»
«Stavo viaggiando a bordo di una macchina, a guidarla ero io stesso. Il paesaggio che mi circondava era simile a quello della savana. Dietro c’era qualcuno con me, ma non ricordo bene chi fosse, però ad un certo punto sono passato sotto un enorme ponte di pietra e la macchina è diventata sempre più piccola fino a quando non siamo stati costretti a saltare fuori da essa. All’improvviso ero circondato da un nuovo ambiente, era come una foresta incantata, e da dietro un albero vicino ad un lago, è uscita una ragazza bionda che ci ha detto di essere finalmente arrivati e che lei ci stava aspettando. Quando mi svegliai mi ricordai subito che avevo già sognato quella scena qualche notte prima. La stessa ragazza e lo stesso lago erano presenti in un sogno precedente. A te è mai capitato qualcosa del genere?»
«No. A parte il fatto che non ricordo mai i sogni che faccio, non mi è mai capitato nulla del genere. Comunque sei sicuro di non aver già visto da qualche altra parte quel lago e quella ragazza bionda? I sogni non sono altro che la riproduzione della realtà, la tua mente non crea mai niente di nuovo.»
Marcus assunse una nuova posizione su quel divano, adesso la cosa lo stava confondendo molto.
«Mmm… ora che ci penso, quella ragazza bionda mi ricorda una mia amica e quel ponte di roccia se non sbaglio lo avevo visto sulla copertina di un videogioco, ma il lago da nessuna parte. Ma non è questo che non so spiegarmi. Non è la prima volta che faccio questo tipo di sogno. Ricordo che ero dentro una monovolume e all’interno c’erano alcuni miei amici che dovevo accompagnare. Siamo rimasti dentro la macchina per tutto il tempo perché io non vi potevo portare dall’altra parte della strada in quanto non avevo la patente. Poi appena mi sveglio collego subito questo sogno ad un altro avuto in precedenza: ero dentro la stessa macchina e questa volta dovevo accompagnare solamente due ragazze di fronte ad un distributore automatico. Ma non lo feci poiché a metà tragitto c’era la polizia che fermava le macchine. In entrambi i sogni guido la stessa macchina, devo portare qualcuno alla sua destinazione e qualcosa me lo impedisce.»
«Ma tu sogni solamente le macchine?» Scoppiò a ridere sua nonna.
«Nonna, dai ti prego.» Con aria frustrata Marcus pensò che sua nonna non lo comprendesse.
«A quanto sembra, la tua natura ti porta ad estraniarti dagli altri e ad avere interessi diversi da quelli della maggior parte della gente. Il fatto che tu cerchi sempre di portare qualcuno da una parte può significare che alle persone a cui tieni in modo particolare, vuoi portare questa tua conoscenza e questo modo di vedere il mondo, ma qualcosa te lo impedisce sempre. La vera saggezza non sta nel cercare di cambiare gli altri secondo i nostri principi, ma sta nell’ascoltare e cercare di comprendere le difficoltà degli altri in modo da poter contribuire alla loro risoluzione. Ognuno e padrone di sé stesso, ed è proprio per questo motivo che nessun altro deve cercare di cambiare il nostro modo di pensare, agire, vivere… ma solamente venire a conoscenza di tutte le strade per poter, infine, scegliere la propria.»
«Un’analogia sarebbe quella di non indicare la via migliore per raggiungere la meta, ma quella di far venire a conoscenza di tutte le strade possibili in modo che in base ai propri ideali si scelga la propria. Giusto?»
«Esattamente, e una volta che ognuno ha scelto la propria strada si può continuare con il confronto. Ricordo che una volta, mentre tornavo a casa da scuola, avevo più o meno la tua stessa età, c’era un ragazzo molto più grande di me che scriveva poesie e le distribuiva lungo i corridoi della scuola. Ricordo ancora la prima poesia che raccolsi e la portai a casa, volevo conservarla per sempre e così feci, perché essa è diventata fonte di ispirazione per molte cose che nella mia vita ho fatto.»
«Me la fai leggere nonna, ti prego.» La curiosità di Marcus salì alle stelle e l’idea che sua nonna gli avrebbe letto quella poesia di così tanto tempo fa, lo rendeva alquanto agitato.
«Ma certo caro mio.» Marcus si chiese solamente perché sua nonna non gli fece sapere prima di questa poesia.
“Una volta trovata la propria identità, l’obiettivo dell’uomo e quello di trovare uno scopo che riempia e dia senso alla propria esistenza.
Per trovare la propria identità bisogna entrare in contatto con il nostro io. Venire a conoscenza del significato dei propri sogni porta con sé il senso della vita. Accettare la propria immagine e scegliere quale faccia mostrare al mondo porta con sé l’origine della nostra natura. Una volta trovata la propria identità, l’obiettivo dell’uomo e quello di trovare uno scopo che riempia e dia senso alla propria esistenza
Non voglio morire senza sapere come vivere.”
Gli occhi di Susy iniziarono a riempirsi di lacrime e Marcus comprendendo la situazione si avvicinò a lei abbracciandola.
«È bellissima nonna. Ma sei sicura sia una poesia? A me non sembra tanto, non ha neanche le rime.»
«Il contenuto di una poesia dovrebbe essere più che altro qualcosa di personale, non pensi? Non deve rispettare delle regole precise per essere definita come tale.»
«Sai sempre come rispondere nonna.» Si mise a ridere.
Sua nonna si alzò e andò a risistemare quel pezzo di carta tanto importante per lei.
«Posso dormire da te nonna questa notte?» Chiese Marcus appena sua nonna fece ritorno nel salone.
«Non dovresti prima chiedere il permesso a Mary?»
«Sai benissimo che a quella donna non importa assolutamente nulla di me, anche se non riesco a capire perché.» Si domandò tristemente Marcus.
«A volte i propri figli possono diventare l’opposto di quello che vorresti essi diventino. Tua madre non ti fece mai sapere chi fosse tuo padre perché lei era stata privata dell’amore paterno. Era così egoista da pensare che nemmeno tu avresti dovuto avere un padre.»
«Sai nonna, quando la mamma morì sei stata l’unica a dirmi la verità mentre tutti gli altri cercavano di aggirare il fatto accaduto riempiendo le loro bocche di menzogne.»
«I bambini guariscono prima. Per questo motivo ho preferito dirti la verità, lo avresti scoperto crescendo altrimenti, e crescere scoprendo che tua madre non è partita per un lungo viaggio ma è morta, non penso avrebbe reso le cose più facili. Come d’altronde nemmeno portare il peso della propria vita per poi passarlo ai figli.»
Susy era delusa. Non era riuscita a crescere sua figlia con la stessa mentalità con la quale Marcus stava maturando. La madre di Marcus morì all’età di ventidue anni.
«Non ricordo molto di mia madre, però mi cantava sempre la solita canzoncina prima di farmi addormentare. Una persona a cui piace la musica non può comportarsi in quel modo.»
Sua nonna rappresentava l’unico parente su cui poteva porre la sua fiducia. Sua madre non era tra i ricordi di Marcus e suo padre non ha mai saputo chi fosse.
«Tua madre è stata abbandonata dall’unica persona alla quale lei voleva molto bene: suo padre. Non voleva che tuo padre un giorno se ne andasse abbandonandoti, così rimediò non facendo mai sapere chi fosse. Quando la notte della tua nascita chiesi a tua madre chi fosse tuo padre mi rispose che suo figlio non aveva bisogno di un padre. A dire la verità, non so nemmeno se lui sa che tu esisti.»
«Non so nemmeno se riesco a piangere per qualcosa che non ho mai avuto. So che quando ero piccolo tutti i bambini avevano un padre con cui andare al parco e giocare a pallone. Tutti avevano un padre con cui andare in bicicletta. Tutti. Tutti tranne me. Non conoscendo cosa si prova ad avere un padre non so nemmeno cosa ho perso.»
«Hai perso tanto. Un amico prima di tutto, e poi un padre.»
«Allora nonna posso rimanere a dormire con te questa sera? Ti prego!» Chiese nuovamente per cambiare argomento.
«Ci penso io allora a tua zia. Per questa sera resterai da tua nonna!»
«Grazie nonna, ti voglio bene.»
«Anche io, caro mio Marcus.»
[continua]