cori di cicale (frottole e pensieri)

di

Emanuele Pini


Emanuele Pini - cori di cicale (frottole e pensieri)
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
12x17 - pp. 94 - Euro 8,00
ISBN 978-88-6037-8972

Libro esaurito

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in copertina e all’interno: «Notte stellata» di Irene Casale


“Solo cori di cicale, cori di cicale nella notte”.
L’opera si configura come una breve raccolta poetica di argomento vario, caratterizzata da uno stile molteplice, ingenuo e onirico, visionario e quotidiano assieme.
Con semplicità e naturalezza, senza pretese di verità, le poesie, in ordine sparso, tratteggiano schizzi di pensieri, sogni, voci nella notte, il luogo della fantasia ma anche della riflessione più profonda.

“dunque
cosa è
poesia? poesia
è cosa”.


Presentazione

Una raccolta di poesia è sempre un po’ una sfida a se stessi, alla forza e all’agilità delle proprie ali, un atto di fiducia (forse un po’ temerario, ma proprio per questo molto bello) nella propria voce, nella capacità della propria parola di trasmettere ciò che proviamo, ciò che viviamo, come dice Saba, “tra la veglia e il sonno”, per portare in superficie “ciò che giace al fondo” e farne un dono per tutti.
Questo è il senso di ogni libro di poesia e questo è l’obiettivo che si propone Emanuele Pini con questa sua prima raccolta, che ci fa scoprire e conoscere una scrittura che egli stesso definisce “onirica, visionaria e quotidiana assieme”.

Il sogno, cioè il deposito di vita che filtra attraverso l’inconscio, è il fondamento di questa ricerca poetica, in cui gioca un ruolo molto importante il linguaggio simbolico, che troviamo sia nell’accezione classica, cioè più “oggettivo”, sia nell’accezione soggettiva novecentesca; nel sogno, che talvolta assume le forme dell’incubo, l’autore trova il giusto distacco per trasformare i sentimenti in materia poetica. Oltre alla dimensione della psiche c’è anche una dimensione temporale che è l’ambito più caratterizzante di questa raccolta. Esso appare già nella prima pagina, nel primo verso della prima poesia: “e ti parlo, Notte, come un senza senno…”. Qui vengono definite le coordinate: la Notte è emblema dell’esistenza che passa, sfiorisce e svanisce, ma essa è anche attraversata da improvvisi bagliori, da segni che vengono dalla cultura (frequenti e ben orchestrate le citazioni, a volte dissimulate, a volte volutamente evidenziate), derivano da percezioni ed emozioni, nascono da riflessioni e danno un’intelleggibilità anche al buio quotidiano:

oscurità
mi avvolge
mi tace
potrei chiamarla
pace potrei dimenticare
potrei
accarezzarla come luce…

Infatti l’altro polo della poesia di Pini è proprio ciò che siamo soliti chiamare la quotidianità: vi sono i dati di cronaca pubblica o privata (anche con i suoi momenti eccezionali) trattati di solito con indignazione o ironia, spesso con sofferenza, quasi mai lasciati inerti come un orpello indifferente di una comunicazione vuota. Dai versi di Emanuele Pini emerge un mondo fatto di frammenti non riconducibili ad unità (“irragionevole vivere mi stritola nel vivere”), un deserto in cui un bambino origlia echi incredibili, inattesi, impossibili, ma veri.

Lo stile di questa scrittura poetica, impreziosito dal gusto per la classicità (lo si nota fin dalla scelta del titolo e lo si coglie in molti testi che evocano miti e atmosfere elleniche), rende gradevole e senza dubbio accattivante la lettura, stimolata anche dalla ricerca e dalla scoperta, ad ogni passaggio, di nuovi esperimenti. E le sorprese certo non mancano, a partire dalla struttura stessa di queste composizioni, costruite abbastanza spesso sulla contrapposizione dialettica tra il titolo, enorme, volutamente ingombrante, talvolta costituito da una citazione molto impegnativa, e il testo della poesia, spesso molto più aereo, dichiaratamente tenuto più sottotono, quasi un bisbiglio a confronto col monumentale titolo:

La vita è un perdersi insaziabile
nei meandri della vita

danzare ogni cantabile.
gridare ogni pensabile.
illuminare ogni esistibile.
avarizia di vita.

È una scelta interessante, questa, e io penso molto promettente per uno sviluppo di una poesia che in diversi testi mostra già una notevole capacità di dare spessore evocativo alle parole e ai nessi di parole (“siedi qui / voglio il silenzio / sparso nel sussurro / delle cose che aleggiano / come momenti, o memoria, / in limbi d’emozioni”).
Attendiamo nuove prove per veder crescere la fiducia in questa promessa.

Vincenzo Viola

(Vincenzo Viola, nato nel 1946 e laureato in Lettere classiche, è docente di italiano e latino presso un liceo di Milano e autore di numerosi testi scolastici e di saggi critici, dedicati in particolare alla poesia del Novecento. Da sempre attento ai problemi della scuola e del sociale e al rinnovamento della didattica, è coordinatore de “L’indice della scuola” e collabora con numerose altre riviste a stampa e on line.)


cori di cicale (frottole e pensieri)

mille stelle ho incrociato sul mio sentiero.
cento ne ho chiamate amiche nelle avventure.
dieci sono mie sorelle e due mi generarono.
una è quella che amo.
ma tutti e mille questi volti hanno scompigliato
ognuno dei miei giorni.
poiché l’uomo è fatto anche di stelle.

Ille homines etiam terris dedit ut sidera caelo
Egli pose anche gli uomini sulla terra
come le stelle nel cielo
(Severino Boezio, Consolatio Philosophiae III, 6)


1. CORI DI CICALE

e Ti parlo, Notte, come un senza senno
Ti parlo, Notte, ogni notte quando
tutti scendono nel sonno e non rimani che
Tu, Sibilla sorridentemente silenziosa.
e Ti parlo, Notte, senza dir nulla
come si guarda negli occhi un amore
lontano
e non c’è necessità di nulla

e allora, Notte, ogni notte amo questo nulla.


2. “CON I PIEDI FORTEMENTE APPOGGIATI SULLE NUVOLE” (E. Flaiano)

Venere si alza
e i miti greci l’applaudono
sul palco, poi
Venere getta loro una briciola
di divinità e i miti
greci le abbozzano un riso. Venere
si posa
lontano
sui monti
e i miti greci
non dimenticano.
Venere s’addormentò tra i capelli del vento
e i miti greci non depongono il loro canto.
il bacio di Venere
rese immortali
e folli.


3. “COME UN PISCIATOIO AL SOLE” (T. Tzara)

e me e gli altri
ed esiste l’abisso
e scoppio

e

dopo

cantilenano solo sdraiate rovine
nel fondo delle mie sconfitte
che bacio umane
con labbra da dio.


4. IL TRAMONTO DEL TRAMONTO

tre generazioni guardavano il tramonto
e c’era chi visionario
pazzo sognava
il tramonto del tramonto.
sul mare non vi è onda che non abbia conosciuto
gli abissi
e l’abisso degli abissi nel tramonto dei tramonti.
mosaici di conchiglie illibate sulla spiaggia
dorata ricordavano casa
al naufrago di nostalgie
ed allora
si capì dei mille tramonti del tramonto,
che ogni stella
percorreva l’intero universo
per il suo bacio
e abbracciava il suo rifugio per percorrere l’universo
cosmico
e i colori che l’alba e i mille tramonti
sacerdoti offrivano,
sacrifici e sacrilegi.
tre generazioni
guardavano
delle bellezze la danza e il tramonto del tramonto.


5. ALL’UOMO NON RIMANE CHE LA SCELTA
TRA UNA PAROLA FOLLE E UNA PAROLA VANA

perché alla fine ogni petalo (ogni!)
svanisce (ogni!),
assolutamente angoscia,
converrebbe cogliere il narciso
e affidarlo al sorriso altrui
e qualcosa sarà divenuto,
converrebbe a noi,
che non soffriremmo lo sfiorire.


6. MATER TENEBRARUM

oscurità
mi avvolge
mi tace
potrei chiamarla
pace
potrei dimenticare
potrei potrei
accarezzarla come luce
solitudine che si espande
e splende, straboccare
sponde


mi invoco

voglio sentire di sentire

e che i miei sentimenti sentano
sussurro ai suoni
e mille stelle
oscurità ovunque
imperversa il sogno,
l’inaudito, l’irreale

rivive e respira il rifiutato
occhio dell’io
minacciato violentato nascosto
dal luccicare del nulla

il fuori è certo e brutale

mi tace
mi avvolge
oscurità madre.


7. LA VITA È UN PERDERSI INSAZIABILE
NEI MEANDRI DELLA VITA

danzare ogni cantabile.
gridare ogni pensabile.
illuminare ogni esistibile.
avarizia di vita.


8. AMORE

amore
insormontabile differenza
tra il seme e un sasso.


9. “LA ROSA FIORISCE POICHÉ FIORISCE” (A. Silesius)

cos’è tutto il mio cuore?
è un gran baccano, unbattitoininterrotto
incuicieloeterrasibacianolestelle
siinchinanoallalunae la luna
danza col sole
ed io ed io
mano nella mano con te
miarrotolotralespiredellatuagonnacome
inlabirintididolcezza
etuttoquestomiocuoretace
guerrierosiscuote,violento mi afferra:
. . .


10. 1871 – TROIA

INNEGABILMENTE lo Schliemann
(con la sua irrazionale f e d e mostrò una volta di più che)
soltanto le utopie fanno pRogRediRe il mondo.
soltanto le utopie fanno pRogRediRe il mondo.
solo i sogni insperabili aprono la salvezza all’uomo.
soltanto le utopie fanno pRogRediRe il mondo:
da ripetere cento volte al dì per coRRoboRaRne la f e d e .
soltanto le utopie fanno pRogRediRe il mondo.


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