Echi di ricordi
Dolci effluvi
Il cuore ha aliti fragili e tremori
che sfuggono al mistero del pensiero.
Il brusio che lo scuote non è il canto
del giorno che si spegne, ma l’addio
degli istanti che si dissolvono
in passaggi di vento e di bufere.
Si sciolgono speranze e turbamenti
in un presente che racchiude
assieme il tutto e il niente.
Affondano nell’ora, nello specchio
silente della ragione del tempo.
Ho vissuto l’incanto dei miei sogni
come sillabe scandite nel silenzio,
come gocce tornate a dissetare,
disperse in crepe di segreti anfratti.
Un effluvio di zagara prorompe
dal lago della mente,
zampilla tra limoni e gelsomini,
su nuvole immobili, sbucate
tra svolazzi di pensieri.
Sento vicina la luce delle stelle
e percepisco infiniti di silenzi,
aperti oltre i sussurri, oltre i respiri.
Raccolgo allora i dolci pensieri,
abbandonati sul greto del mio fiume,
e attracco l’anima a nuovi sentimenti
che parlino di fede e di speranza.
Echi di ricordi
Lungo i gradini delle vigna antica
ritroverò frammenti di ricordi,
incisi nella trasparenza del tempo,
partenze, ripartenze, anni infranti.
Risalirò la corrente del silenzio,
col sole che dardeggia nell’aria
atona d’autunno, inseguendo
soffi di teneri sogni.
E incontrerò te, nonno, i tuoi pensieri,
la tua fede cresciuta tra i filari.
Ti scorgerò nella luce settembrina
a dissodare zolle con fatica.
Ritroverò la mia terra lontana,
dove torno a cercarmi appena posso,
i giorni dolci sotto i pampini ombrosi,
le nostre passeggiate tra i sentieri.
Ritornerò all’ombra del silenzio,
dove la vite disegna meraviglie
e il vento ha un dialogo d’amore
coi pampini e i chicchi bruni e d’oro.
E tornerò per danzare col vento
e scivolare sulle tue ginocchia,
cullando desiderio di carezze
e nostalgia di colori d’ambra.
Risentirò il profumo dell’autunno,
tra geometrie di campi,
scricchiolii di foglie e sinfonie
d’un mistero rosso o bianco,
che carezza l’olfatto e riempie calici
di sogni, frammentati in clessidre
di speranza e dolci danze di ricordi.
Sarà una libagione ai miei antenati,
con quel greco spillato in controluce,
che sa ancora parlare d’amore,
d’amicizia e di speranza.
Nuvole di panna
Dal silenzio dell’anima riaffiora
l’incanto del percorso antico.
Dipanare i pensieri, gomitolo
di vita, a ricercare sensazioni
barricate nell’animo.
Da reconditi scrigni, ovattati d’ombra,
lieve brezza accarezza quei ricordi.
L’eco della vita risuona e protegge,
languida, un’esistenza dai ritmi lenti,
di un tempo non ancora impazzito,
tra risa di bimbi, corse sui prati,
sguardi impazienti, occhi persi
dietro l’elastico filo di una vita.
Discrete nuvole di panna aleggiano
sull’umanità ritrovata, colori
mai diluiti in sbiadite atmosfere,
sapori e profumi forti di terra,
di pioggia, di sole e di notte.
Azzurri di cielo, antico schermo
d’infanzia lontana, avvolgono sogni,
trafiggono parole mute, intrecciate,
mentre la vita, fuori, inutilmente
s’accapiglia.
Il gemito dell’ora
Oggi che non ci sono più sogni
per sognare, né c’è più vento
per le nostre vele, i miei pensieri
sfumano nell’aria, tra crepe
di silenzi, foglie di assenze
e calpestii di esistenze.
Si slegano dal laccio del torpore,
sgorgando in scintille di dolore.
Rivedo nel tramonto della sera quel fuoco
alto, enorme, che bruciò i miei sogni.
E nel lamento del vento che si scaglia
tra le braccia degli alberi spogli,
quando il silenzio è immenso,
risento il suono lungo, acuto,
che molte notti mi ha tenuta desta,
tra passi senza peso e soffi di lenzuola.
Ricerco fantasie ad alleviare paure
dell’infanzia, fardelli di tristezza
e di amarezza, profumi svaporati,
paesaggi sgualciti.
E il ricordo m’insegue, fugge dietro
il mio tempo, poi sboccia in sere
illuminate dal tocco lieve, dolce,
di una mano che mi rimesta il sangue
col ritmo incalzante che trascina
verso l’annullamento della mente.
Nell’indaco notturno un profumo,
un’essenza -che si sparge nell’aria
come polvere al vento- scuote gli anni
passati come foglie caduche, che si
dondolano al ramo come figli impauriti.
Ma gli anni sono la ruggine del tempo,
che si stende fra noi come deserto.
L’arsura ha bruciato le mie labbra.
Resta solo un sapore amarognolo di fiele
sotto i denti, che corrode spazio e tempo.
E intanto stride il gemito dell’ora.
Ora il mio passo è stanco.
Il mio sguardo assente.
Solo emozioni dissonanti rintoccano
nella mia mente: turbamenti, assenze,
incombenze. E il silenzio che diventa canto.
Mi raccolgo in frammenti, mentre aspetto
serena la mia sera, che bussa puntuale
alla mia porta, adagio, adagio, quasi
per non svegliarmi ancora dai ricordi.
Lacci di rimpianti
Volevo tornare a riascoltare la lira,
tra rami di gelsi suonati dal vento.
Volevo riaprire lo scrigno degli avi,
tra fiabe di miele e dure fatiche.
Volevo calzare sandali di sole,
per passi di danza su antichi sentieri.
Volevo indossare ali di lucciole,
per frammentarmi tra le pagine del tempo,
dentro l’incanto dei silenzi arcani.
Volevo udire vibrare le corde dei ricordi,
tra le vele ammainate dei rimpianti.
Volevo confondermi con i colori
che la memoria raccoglie dalla mente:
con l’oro delle spighe ancora incolte,
col giallo di gerani e di ginestre,
col fuoco dei papaveri nei prati,
col sangue delle vigne alle colline.
Volevo solo trovare la strada smarrita
dei sogni, in cui tuffare i colori
dell’ultimo tramonto.
Ma il tempo, pian piano, ha sbiadito luci
e colori, ricolmandoli dei suoi silenzi.
E io… ripiego le pagine del canto antico,
cullando ancora suoni d’arpe nella mente,
soffi luminosi che tornano con la brezza
dei ricordi, sospiri di nuvole che velano
iridate trasparenze, in cui fluisce il tempo
nell’onda chiara, libera da lacci di rimpianti.
Corre il pensiero
Corre il pensiero alla mia terra brulla
come improvviso palpito di ali,
che sveglia dal torpore chi è rimasto
e scuote dal dolore chi è lontano.
E sui sentieri dei campi d’avena
spigolo brandelli di memoria che
riportano te, nonna, alla mia mente.
Ritrovo more, fichi ed i limoni,
che coglievamo assieme la mattina,
per riempire cesti d’amore, scivolato
ormai tra cespugli d’erba “spina”.
Ora la tua casa è frantumata dall’urlo
di chiodi dentro il muro.
Nell’orto si respira solo… rancore.
Tu sei fuggita e l’erba si è seccata.
Brusio del nulla aleggia ormai
nel cielo arabescato del tuo amore.
Senso di vuoto cantilenante al posto
del frastuono lieto del tuo cuore.
Vagando nel giardino del dolore,
ho sentito l’ulivo che piangeva.
Ma nel velluto roseo del tramonto
suonano ancora linguaggi antichi,
voli di vita, d’api o di cicale, sogni
già sparsi oltre il verde crinale,
essenze complici di vasta umanità.
– È nostalgia? Rimpianto?
O solo… quel desiderio sordo,
senza luce, che afferra l’anima
e non ha pietà? –
Ma il fico sempre verde, nell’angolo
dell’orto, è ancora là.
Nel brivido di un’ombra
Ora che l’ombra della vita è breve,
ancor ti cerco con insaziato amore,
come un fanciullo al buio della notte,
sotto un patio di rovi.
Mi son cullata nell’aria e nei pensieri
di un solitario errare senza meta.
E ho lasciato la mia dimora vuota,
nell’angolo più estremo della terra,
dove si perde il mondo…
Son anni che ti cerco, terra mia,
nei suoni che rimbombano nel cuore,
nei passi lievi sulle sabbie fini,
nei luccichii del mare che s’increspa
alla carezza sommessa della luna,
negli ideali di valori spenti.
Son anni che ti cerco e poi ti dico addio,
ma torno a ricercarti e ad aspettare
nei fiumi disseccati di speranze,
nei passi che consumano la vita,
nei sogni che ci hanno abbandonato,
nelle tue zolle vinte dall’arsura.
E sempre si rifrange l’immagine dolente
di volti tristi, ragnatele di dolori e scempi,
avvolte nell’onda di rimpianti, che modulano
dolenti vibrazioni dell’anima nell’emarginazione
dell’amore e nel beffardo insulto alla ragione.
Forse non ti conosco ancora, terra mia,
e sei per me solo un frammento di nostalgia.
Forse devo aspettare, per rincontrarti,
tiepide percezioni sopra il vuoto,
corimbi di freschezze sui veli tuoi
disciolti in una danza limpida nel vento.
Forse devo aspettare la luna nuova,
– l’altra è passata invano e non ritorna. –
Ma invade il fiume rapido degli anni.
E avanzano violenze, soprusi, silenzi sospesi
dentro il vuoto disperdersi dell’esistenza.
Devi far presto allora!
Il tempo più non dà tregua.
Ritorna alla carezza e a giorni aperti
a nuovi abbracci, in un contesto magico
di luce, che rischiari il buio delle ore cupe.
Colora, come un tempo, gli aquiloni
di grida crepitanti di bambini.
E io ti aspetterò, con dentro un cuore
che non è più in esilio, nel sangue
l’ebbrezza della gioia e il brivido
di un’ombra, stornata dalla luna,
di nuova, ritrovata umanità.