Arare il mare
Arando il mare
non s’apre solco
eppure è questo
vivendo
il lavoro che in molti
che in troppi
facciamo
con sudore e con doglia
senza che mai foglia
o gemma esca
dal taglio ottuso
subito chiuso
seppur con cupa
tenacia
inciso.
Che possa la speranza
levar sue scarse vele:
l’incida il timone
nel mare
un solco reale.
Angoscia
Se l’albero del cuor ha pochi rami
e su d’essi
non più l’amore ormai
fronda protende
né foglia più né fior che l’inghirlande
che ne sarà del riso
degli amanti e del pianto
e della loro disperata speranza?
Oscurerà l’aria
cupa un’angoscia
spessa ed infeltrita
d’Averno salita
e d’etere pregna e d’odor d’ospedale:
angoscia
di figlio
che muore
per cuore
di mamma,
angoscia
d’amore
che muore
per cuore
d’amante
L’amor che suona
L’amore che oggi intento
in contrappunto
suona la sua antichissima canzone
battendo sopra il cuor
come su un timpano
pazzo
che pur in empatia rimbomba
in sordina la tromba
suonasse e desse rilievo
adeguato
al lento, all’adagio, al meno venendo,
al tempo che lassa la forza
vitale non più ci lasciasse
e mentre stormiscono lievi
al vento le fronde novelle
non più la canzone corriva
e seducente
cantasse primeva:
assordante
dal tempo di Eva
Legame
E quando tutto è detto
il laccio stretto
del circolo si chiude.
erranti vite ignude
si vestono
intessendosi con brama
l’una dell’altra
in fittissima trama.
Antica tessitura
ove trama ed ordito
tengono a menadito
la giusta positura.
Buona stoffa ne nasce
ma è tessuto da fasce,
per bendare bambini,
per medicar destini.
La brace
Con il tuo sorriso
riporti l’aurora
e incendi di luce
la brace che ancora
le viscere brucia
se spiro di donna
la cenere invola:
la mia vecchia brace
che il fuoco ancor cova,
la mia vecchia brace
che ardendo par nuova.
Il gabbiano
Nel cielo d’ardesia
di fresco mondato
dal gesso dei cirri
calligrafico e vano
trascorre lene
un gabbiano
e scrive col volo
intinto nell’aria
un geroglifico astruso
bellissimo e vano
d’un narcisismo
superumano.
Incider per sempre
su stabile cielo
un verso perenne
non scritto invano
con penna d’ala
di gabbiano!
Il crogiolo
Avrei forse potuto nel crogiolo
gettar della mia vita meno sale
e almeno un poco più di foglie d’oro,
ma non potei
che dell’amaro sale
e dell’oro lucente
non lo stesso era il prezzo da pagare
e qual fiscale esiger poi dagli altri
per far tornar com’è costume i conti
nel mercato truccato
dallo scambio ineguale
che è un’amara norma
del cruento e scisso e micidiale
gioco alla morte ch’è il gioco del mondo
nel finale e ferale girotondo
in cui s’abbruna quel che un tempo azzurro
cielo sembrava ed in cui si consuma
pur di luce lunar l’ultima face.
Ma non mi dolgo poi non più che tanto
ch’ove pur picciola arde una fiamma
egualmente si fonde e si confonde
di sale e d’oro… e luce e sapor salso.
A un bambino morto
Contro lo stupido mostro d’acciaio
restasti solo, tutto d’un tratto,
senza l’aiuto della tua mamma,
senza il conforto della sua mano
a parare, schermare, ammansire
la vuota inutile furia meccanica
della malefica mostruosa scatola.
E il cuore freddo, lo sguardo attonito,
solo soletto rientrasti nel nulla,
povero figlio, figlio di mamma,
così vicino ancora alla culla
da non sapere, povero figlio,
a quale rischio, a quale periglio
tu t’esponevi solo vivendo,
solo passando, solo correndo
in questo assurdo invivibile mondo
in cui non c’è più posto pei bimbi
né pei lor giochi né pei lor trilli
ma solo pei cupi latrati d’angoscia
quando un bambino poi stufo ci lascia.
Celemoto
Trafitto è il buio
da ignee lance,
lacrime grondano
dalle ferite:
nel celemoto
che tutto squassa
ed acqua e terra
confonde in un urlo,
sullo scenario
di cupi nembi,
da un più rabbioso
squarcio di fuoco,
all’improvviso
s’affaccia una stella.
Lampo nel cuore
Bruciante s’accende
per lampo nel cuore
a volte
una preclusa certezza,
scocco improvviso di freccia
che l’annebbiato vetro dell’oblio
ratta d’impeto spezza
riaprendo allo sguardo stupito
uno squarcio di cielo perduto
da sempre ormai
e ch’or si rifà trasparente
per luce che schiara le forme
vaghe ancor di deluse
speranze antiche nel vuoto attorte:
forme già note e smarrite
per male di vita, e magicamente risorte.