Quando scrivi… la prima stesura la devi buttare giù con il cuore, e poi la riscrivi con la testa. Il concetto che hai dello scrivere è scrivere, non è pensare.
dal film “Scoprendo Forrester”
Amore e Psiche
Forse una storia come questa non interessa a nessuno ma penso che valga ugualmente la pena di leggerla, se non altro per pura curiosità. L’ambiente dove si è svolta è un residence sul lago di C. e i protagonisti una coppia di cigni neri, una specie di origine australiana avvolta da un alone di mistero la cui esistenza è stata negata a lungo. Recentemente, la locuzione cigno nero ha assunto anche un significato simbolico: quello di evento imprevisto e inimmaginabile che si verifica realmente, a volte con conseguenze epocali. Gli interpreti umani della narrazione, che per comodità chiameremo comparse, non hanno ruoli attivi nel racconto ma solo quelli di attoniti testimoni. Tra loro Cesare, che quella mattina d’aprile stava varcando la soglia del suo cottage. Dopo aver appeso il giubbotto, capì che Elda non era sola.
“Secondo Giulio saranno una decina…” Anna interruppe la frase accogliendo il suo ingresso in salotto con un cenno impercettibile del capo.
“Immagino stiate parlando delle uova di Psiche!” esordì Cesare.
“E tu come lo sai?” replicò la donna.
“Non sono diventato un veggente, ci sono appena stato con tuo marito. Questa mattina ha deposto l’ultimo, credo. Penso siano di meno, comunque.”
“E ora che la femmina ha finito, speriamo che non si alzi l’acqua prima della schiusa delle uova!” intervenne sua moglie.
“Già!” replicò Cesare che dopo una breve pausa continuò: “Succederebbe quello che è capitato l’anno scorso ai cigni reali, visto che si tratta dello stesso nido.”
“Incrociamo le dita!” sospirò Anna facendo seguire alle parole il gesto della mano.
I due cigni neri, avvistati sulle acque del lago a marzo, avevano provocato al loro arrivo incredulità e stupore. Da dove provenissero non si sapeva, anche se qualcuno aveva sparso la voce che erano migrati da un lago vicino, più grande e profondo, frequentato da una maggior varietà di uccelli acquatici. L’insolita coppia si era adattata in fretta al nuovo ambiente, scovando quel vecchio nido danneggiato l’anno precedente da un temporale. Il giaciglio si trovava a pochi metri dall’acqua ed era protetto da un vasto canneto che dal lago si estendeva fino alla riva. Un passaggio angusto sulla terraferma permetteva di avvicinarlo e osservarlo senza arrecare alcun disturbo agli animali. Quella precaria via d’accesso era stata creata da Giulio nei mesi invernali, contravvenendo a uno dei tanti divieti del demanio. Cesare era un tipo molto diverso del suo vicino: non pescava, non tagliava le canne e coltivava interessi diametralmente opposti. I nomi di Amore e Psiche, che aveva attribuito alla coppia di cigni, gli erano stati ispirati da reminiscenze giovanili sulla celebre opera del Canova. Qualche profondo recesso del suo spirito aveva intravisto l’eleganza del cigno in quelle ali spiegate di Amore nella rappresentazione scultorea del mito. Si potrebbe parlare a lungo di questo, ma la sua suggestione era talmente intima che nessuna descrizione potrebbe renderne adeguatamente l’idea. Cesare possedeva una spiccata indole artistica, tant’è che avrebbe desiderato guadagnarsi da vivere con la pittura piuttosto che insegnare disegno in un liceo. Ma ne era passata di acqua sotto i ponti e tutto quello che desiderava allora era ormai spento in lui, inerte come un fiore appassito. Adattarsi, rinunciando alle nostre vere ambizioni, è peggio della rinuncia stessa e Cesare ne era pienamente consapevole. Guardando nel concentrato di ricordi del suo passato, sapeva perfettamente a cos’era dovuta la sua costante insoddisfazione esistenziale. L’unica distrazione che gli rendeva le cose di tutti i giorni meno frustranti era sempre e comunque la pittura. Il lago, con le alture che lo circondavano, offriva panorami continuamente diversi a un pittore della domenica come lui; il bacino era molto esteso, bastava solo scovare di volta in volta nuovi scorci. Aveva raffigurato anche i due cigni neri, naturalmente. Tra i diversi schizzi a pastello ce n’era uno particolare: ritraeva il maschio con le ali spiegate e le piume bianche in bella mostra. Occorre precisare che il piumaggio di questa razza non è totalmente nero, le piume remiganti, sulle estremità posteriori delle ali, sono bianche come quelle dei cigni reali e si notano solamente durante il volo. Cesare si proponeva di ricavarne un ritratto a olio dal significato simbolico. Il netto contrasto cromatico delle piume, il bianco assoluto e il nero combusto, avrebbe rappresentato una sorta di negativo speculare, come la carne e lo spirito o il divino e il demoniaco… mentre uno sfondo azzurro ghiaccio senza nubi avrebbe fatto risaltare drammaticamente la figura in primo piano.
Nel frattempo, la conversazione tra le due donne si era spostata su un binario diverso. Cesare, che si era messo a sfogliare un libro, vi prestò attenzione. Trovando intrigante il contesto si mise a seguirlo senza darlo a vedere.
“A proposito, sai che li hanno visti ancora assieme fuori di qui?” disse Anna guardando Elda con i suoi occhi color antracite.
“Chi?”
“Ma sì! Quei due, il nuotatore e…”
“Ah… quelli… allora è vero quanto si dice!”
“Lui è un gran fico per essere sulla cinquantina e lei… bè, è quella che è!”
Cesare, che stava ascoltando fingendo di leggere, non poteva non domandarsi che significato avessero quei discorsi futili; anche se la possibilità che ci fosse del vero in quelle chiacchiere non era del tutto insensato, visto che nel residence si sparlava da tempo di quei due. Cesare si sforzò di riprendere la lettura. Normalmente, quel genere di discorsi neppure suscitava la sua curiosità ma in questo caso non poté fare a meno di abbozzare una riflessione: sotto la superficie apparente delle cose poteva esserci qualcosa di diverso tra loro, magari più nobile, che non aveva niente a che fare con quella montagna di fango. Ovviamente, non poteva ignorare che lei era sposata e aveva due figli. Insomma, una maggior discrezione da parte sua non avrebbe certo guastato. Solo questo, pensava Cesare, il resto non lo interessava. Dopo aver chiuso il libro spazientito, decise di interrompere le due donne con una deliberata digressione.
“Lo sapete che un quarto di tutti gli accoppiamenti dei cigni sono omosessuali?”
Anna, da tempo sempre meno disponibile alle sue solite e imperscrutabili divagazioni, reagì indispettita: “Oh, questa sì che è buona! Cosa c’entra questa oscenità con quello che stavamo dicendo?”
“Perché ascoltare il clavicembalo quando è stato inventato il pianoforte?” Cesare affondò il fendente con un sogghigno.
“Non farci caso, Anna, lo sai com’è fatto… a volte è talmente insopportabile con le sue uscite incomprensibili!”
In questo modo, Elda recise con un colpo di rasoio il filo dell’imbarazzante battibecco che stava provocando un clamoroso incidente diplomatico tra vicini. L’ultima volta che avevano avuto una discussione simile, Anna non aveva parlato a Cesare per un mese ed era stata sua moglie a ricucire il danno ricorrendo al suo innato buon senso.
Quando Cesare imboccò la pista ciclabile del lago si accorse dell’umidità. Era quel particolare periodo dell’anno durante il quale i boschi si stavano lentamente destando dal cupo torpore invernale. Mentre camminava di buon passo, con la solita cartella a tracolla, pensò che più tardi ci avrebbe pensato il sole a dissolvere tutta quella rugiada. La primavera era solo all’inizio, non si poteva pretendere di più.
Quel giorno c’era un insolito fermento nel residence e il motivo era legato alle gare di canottaggio che si sarebbero svolte durante il weekend. Cesare non ne sapeva più di questo, a parte una cosa: sarebbero scesi in acqua anche i canottieri australiani (oltre ai tedeschi, agli svizzeri e naturalmente ai padroni di casa), proprio quei ragazzoni che occupavano periodicamente la residenza che stava raggiungendo. Non era poi così singolare che quel luogo ospitasse atleti provenienti dall’altro capo del mondo. Il lago di C., con la sua particolare morfologia oblunga, è un campo da competizione naturale per due motivi. Il primo riguarda la sua lunghezza, perfetta per gareggiare sulla distanza regolamentare dei due chilometri; il secondo è la larghezza, che consente al pubblico sulla riva di seguire le gare a una distanza ideale. Per questo, quello specchio d’acqua si è guadagnato negli anni una discreta fama internazionale.
Il grande vessillo, issato all’ingresso, preannunciava il piccolo villaggio sportivo anche da lontano. Apparteneva allo stato australiano di Canberra. La parte sinistra, a sfondo blu, mette in risalto la costellazione stilizzata della Croce del Sud, mentre sul lato destro, in campo giallo oro, compare uno scudo sostenuto da due cigni. Quello nero rappresenta il popolo nativo aborigeno, quello bianco i coloni europei. Cesare conosceva il significato di quello stemma molto prima che comparissero nel lago i due cigni neri e ogni volta che ci passava sotto avvertiva, non senza un velo di presunzione, una gratificante sensazione di superiorità. Quanti tra i frequentatori del residence ne erano al corrente? La nostra storia può essere raccontata in diversi modi: dal gusto nello scegliere arredi e soprammobili, all’abitudine più o meno superficiale di osservare le cose.
Cesare si sistemò poco distante, in una posizione appartata che tuttavia era un buon punto d’osservazione. Dopo essersi seduto sopra un masso a ridosso dell’acqua, pose la cartella sulle ginocchia ed estrasse la matita a carboncino da una tasca del giubbotto. Poi cominciò a tracciare linee sulla superficie ruvida della pergamena. Le gare non erano ancora iniziate e nelle corsie sfrecciavano imbarcazioni che avrebbero gareggiato più tardi o il giorno successivo. Non è per niente semplice ritrarre delle immagini che si muovono così velocemente ma questo non aveva mai costituito un problema per lui, mentre lo era, piuttosto, il riverbero accecante del sole ancora basso sulla superficie del lago. Dopo aver riempito due fogli, sentì un fruscio seguito da un tocco sull’avambraccio. Si voltò di lato e si accorse che quella lingua umida e penzolante apparteneva a un cagnolino che conosceva.
“Zoe! Ma dove ti sei cacciata?”
Con l’occhio della mente, Cesare realizzò all’istante di chi era quella voce femminile alle sue spalle. Dopo aver riposto foglio e matita si voltò: “Oh… è lei, Tiziana!”
“Mi scusi professore, non si può liberarla neppure per un attimo!” disse la donna mentre agganciava il guinzaglio al collare dell’animale. Poi, indicando i fogli sopra la cartella: “Posso?”
“Tenga,” rispose Cesare che glieli passò di slancio. Intanto, pensava che il caso a volte è sorprendente. Era proprio la donna che aveva accanto l’oggetto dei pettegolezzi del giorno precedente tra la vicina Anna e sua moglie. Dopo essersi seduta graziosamente sopra a un appoggio vicino, Tiziana osservò attentamente i disegni.
“Mi chiedo come si possa essere così dotati…” disse senza staccare gli occhi dai fogli.
“Mi piacerebbe moltissimo dipingere, ma penso di non possedere alcuna attitudine!” sospirò la donna.
“Non è mai troppo tardi… potrebbe sempre prendere delle lezioni,” le suggerì Cesare che ancora assaporava il suo apprezzamento.
Lei ripose delicatamente i disegni sulla cartella con un sorriso di circostanza. Sapeva perfettamente che quella dell’uomo seduto di fianco non era altro che una conferma garbata del suo scetticismo.
“Le interessano le gare?” le domandò Cesare.
“Oh… no, per carità!” è che non avevo nient’altro da fare, anzi, adesso la lascio continuare. Mi scusi per l’interruzione,” disse Tiziana alzandosi.
“Non mi ha assolutamente disturbato! Avevo giusto bisogno di una pausa,” replicò Cesare mentre osservava quel viso languido dalla pelle di marmo.
La piccola Zoe, che era rimasta accucciata pazientemente per tutto il tempo, si alzò di scatto dimenando vivacemente la coda.
“Arrivederci professore, è stato un piacere!”
“Anche per me!” rispose Cesare guardando quel corpo sinuoso che si stava allontanando tra il fogliame. Signore, perché i nostri desideri rimangono sempre inascoltati! si lamentò con un sussulto interiore. Riprese a disegnare anche se l’atmosfera era cambiata. L’essenza conturbante di quell’incontro era ancora presente e molto forte. Donne di quel genere, dall’apparenza claustrale ma che nel profondo nascondono un vulcano, rappresentavano per lui uno spartiacque fisico, al di là del quale vacillavano tutte le sue certezze. Era difficile liberarsi, come se niente fosse, di quel distillato di bellezza e inesorabile tentazione. Cesare ritirò i fogli nella cartella con una bruciante invidia per il comune mortale a cui si concedeva, marito o amante che fosse. Per quel giorno ne aveva abbastanza e con un po’ di fortuna forse l’avrebbe raggiunta.
[continua]