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Fabiola Montanelli - Il canto della fenice
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 336 - Euro 16,00
ISBN 88-8356-988-1
Libro esaurito
Libro scritto a quattro mani da Cristina Morello e Fabiola Montanelli
In copertina e all’interno disegni di Rosella De Donatis realizzati con carboncino, pastelli secchi e pastelli a olio
«Il canto della Fenice» è un romanzo biografico incentrato sulla vita e sulla carriera di Freddie Mercury, sia con il gruppo musicale Queen, sia come solista.
Il romanzo copre un periodo temporale che va dal 1964, anno in cui Freddie Mercury, non ancora diciottenne, si trasferì a Londra con la sua famiglia, fino al 1991, anno della sua prematura scomparsa. Alcuni brevi flashback permettono di gettare uno sguardo sugli anni dell’infanzia e dell’adolescenza di Freddie, trascorsi parte a Zanzibar e parte in India.
Nel romanzo, accanto all’attenta ricostruzione della vicenda musicale di Freddie Mercury e dei Queen, trovano posto sia scene di vita quotidiana, che vedono Freddie al lavoro con i compagni del gruppo (Brian May, Roger Taylor e John Deacon), sia scene di vita privata.
Le suddette ricostruzioni sono ora basate su fatti realmente accaduti, ora puro frutto di immaginazione, prendendo spunto dalla personalità di Freddie.
Per tale ragione il romanzo «Il canto della Fenice» è da considerarsi, nel suo complesso, un’opera di fantasia.
Prefazione
Come posso scrivere d’una affascinante e appassionata biografia di Freddie Mercury, anima del mitico gruppo inglese Queen, senza ripensare alla mia dolce sorellina Sara che diventava matta ad ascoltare quei nostalgici dischi in vinile ed era capace di cantare a memoria quasi tutte le canzoni. È inutile dire che aveva tutta la discografia dei Queen e sapeva tutto di Freddie: insomma una fan sfegatata, ipnotizzata dalla personalità e dal carisma di quell’artista nato per vivere sul palcoscenico.
Ricordo come fosse oggi, l’atmosfera che si creava, figuratevi due fratelli e una sorella che condividevano una sola stanza seppur spaziosa, un’autentica baraonda. E poi io ascoltavo Pink Floyd, Rolling Stones, Led Zeppelin, Deep Purple, Jimi Hendrix, Frank Zappa e altra roba del genere.
All’improvviso mi son reso conto che la musica di quel tempo ha influenzato le mie scelte, mi ha insegnato a gustare la vita e ad avere sempre un occhio critico nei confronti dei “luoghi comuni” e dei “pregiudizi”: ero etichettato come un ribelle, un mezzo criminale, e, nel migliore dei casi, un pericolo per la società.
A quanto pare non è stato così. La vita sa essere ingiusta ed è strana. Molto strana.
Nel leggere “Il canto della Fenice” di Cristina Morello e Fabiola Montanelli, la prima cosa che mi è venuta in mente è stato il famoso “ruggito della folla” di Wembley che Freddie Mercury ha sentito sulla pelle e lo ha accompagnato fino alla fine. Tutte le sue esibizioni sono state elettrizzanti e fantastiche, la sua energia sprizzava come flusso magico sul pubblico.
Cristina Morello e Fabiola Montanelli, con questo libro, fanno rivivere la storia d’una leggenda del rock, la sua vita di uomo e la sua carriera d’artista dal 1964 fino al 1991, anno della sua morte. L’appassionante biografia d’un artista, unico ed insostituibile, prende forma con frammenti di vita privata, scene quotidiane che fotografano la sua originalità, le esperienze e la carriera musicale, le numerose amicizie e gli aneddoti: la sua avventura umana è riportata con cura e fedeltà ma non mancano divagazioni e riflessioni che nascono dalla fantasia delle due Autrici che, a dire il vero, regalano un quid in più, così impregnate come sono di passione, direi anzi amore, da diventare quasi reali.
Le stagioni della vita di Freddie Mercury sono raccontate con l’occhio attento di chi evidentemente ha studiato con cura il personaggio e l’uomo e ne emerge la ferma consapevolezza che Farrokh Bulsara, fin dal suo esordio, era sicuro di avere talento e carisma da vendere; “Io diventerò una star” amava ripetere agli amici: fece di più perché diventò un mito della storia della musica rock e non solo.
Le iniziali esperienze nei complessi musicali che facevano fatica a imporsi, i primi concerti, l’aneddoto della nascita del nome Queen e quello del nuovo nome Freddie Mercury che aveva scelto con cura, le profonde amicizie che hanno sempre costellato la sua vita, il magico legame con i membri del gruppo Roger Taylor, Brian May, John Deacon. In seguito arrivarono i successi con i Queen, i primi grandi concerti in tutto il mondo, i frenetici impegni e l’utilizzo dei primi sintetizzatori, i famosi video, alcuni dei quali veramente ironici e fantastici, il delirio del pubblico, una serie infinita di canzoni-gemme che hanno segnato la storia della musica.
Freddie Mercury era un iperattivo, un vulcano di creatività con nuove idee che sempre ronzavano nella sua testa, mai stanco di provare e riprovare se qualcosa non funzionava a dovere, famosa la sua mania di fare shopping, golosissimo di caviale e appassionato d’antiquariato senza dimenticare la sua passione per i locali notturni.
E poi la sua attenzione alla cura d’ogni dettaglio che non conosceva limiti, andava dal galateo (odiava le pieghe alle tovaglie, sceglieva personalmente le ceramiche, i vasi, le portate, e via dicendo), al modo di vestirsi nella vita quotidiana, alla meticolosità nella scelta degli accessori e dei costumi di scena (commissionati ai più famosi sarti), ai gesti e ai movimenti da eseguire sul palco.
Voleva sempre il meglio, esigente con se stesso e con gli altri, eppure sempre pronto a fare spese folli per regali a chi voleva bene perché “per lui era un piacere”.
Caparbietà e perfezionismo, lealtà e onestà, animo romantico capace di gioire e soffrire per amore, sono le maggiori doti che vengono messe in risalto da Cristina Morello e Fabiola Montanelli che non dimenticano di sottolineare come le sue profonde amicizie non furono mai messe in discussione.
Freddie Mercury era capace di esilaranti trovate ed era trascinante nella vita come sul palco eppure sempre “timido” e capace di parlare con semplicità: metteva il cuore e l’anima in ogni cosa che faceva e si capiva che rincorreva costantemente il “bisogno d’amare” per allontanare la paura della solitudine.
Insomma la figura d’un incantatore di folle che viene splendidamente ritratto nei disegni di Rosella De Donatis nei momenti che hanno contraddistinto l’avventura di un’icona del rock.
E infine, nell’ultima stagione della sua vita, seppur gravemente malato, aveva voluto essere trattato come sempre perché la malattia non doveva condizionare la sua vita. Mai un momento di sconforto, continuò a lavorare come un guerriero pur sapendo di essere destinato alla morte certa e, vicino alla fine, si ritirò nel suo rifugio come la fenice per raggiungere il Gorothman Bahest, il “Paradiso Eterno”.
Massimo Barile
Il canto della fenice
A Freddie
Introduzione
Il motivo principale per cui abbiamo scritto questo romanzo è rappresentato dall’amore per Freddie e dal forte desiderio di far rivivere, attraverso la nostra fantasia, un uomo straordinario che ci ha lasciati troppo presto.
Freddie Mercury è stato un artista unico e un uomo eccezionale che ha voluto vivere la sua vita senza limiti.
E così come ha vissuto la sua vita ha inteso anche la sua arte.
È difficile stabilire sinteticamente che genere di artista fosse Freddie.
Verrebbe da definirlo un genio; sicuramente era un uomo dotato di un talento eccezionale, quasi da non farlo sembrare una creatura terrena.
Il suo modo speciale di affrontare il mondo della musica era complementare al suo stile di vita.
Freddie non voleva etichette. Non desiderava essere considerato un cantante rock, né un cantante lirico, né un cantante pop. La musica di Freddie era la sua musica e niente altro, fondata su uno stile inconfondibile ed accompagnata da una voce senza precedenti e sicuramente senza successori.
Lo stesso si può dire della sua personalità e del suo stile di vita. Com’era Freddie? Selvaggio o riservato? Arrogante o timido? Sfrontato o gentile? Etero o gay? Era semplicemente Freddie e basta.
Per quanto ogni persona che lo ama profondamente cerchi di sondare la sua personalità, nessuno riuscirà mai a capire perfettamente chi era quest’uomo enigmatico dotato di un carisma fuori del comune.
E proprio per questo motivo non si possono usare mezzi termini nel manifestare la passione che ogni fan nutre per lui: Freddie può piacere o non piacere, ma nel primo caso non si tratta solo di un’ammirazione obiettiva che nasce dal riconoscerne la bravura e la singolare creatività, ma bensì di una passione viscerale per l’artista e soprattutto per l’uomo Freddie Mercury.
Nel corso della stesura del romanzo abbiamo cercato di immedesimarci in Freddie, in modo che ciò che stavamo scrivendo riflettesse il più fedelmente possibile quella che, secondo noi, era la sua vera personalità.
E, in alcuni momenti, avevamo come la sensazione che fosse Freddie stesso a suggerirci certe scene e che il romanzo si scrivesse per così dire da sé; che il nostro compito consistesse unicamente nel mettere su carta ciò che, a livello di subconscio, era presente nelle nostre menti e ciò che il cuore ci suggeriva ogni volta che pensavamo a Freddie.
Il nostro intento è stato quello di offrire un quadro completo sulla figura di Freddie Mercury.
Scrivendo questo romanzo abbiamo quindi cercato di descrivere la sua vita ricollegandola fedelmente agli avvenimenti artistici della sua carriera di cantante insieme al gruppo Queen.
Per tale motivo ci siamo anche soffermate sulle personalità di Brian, Roger e John: tre musicisti straordinari, tre uomini integerrimi.
E anche a loro vanno la nostra profonda ammirazione e il nostro grande affetto.
Freddie, Brian, Roger e John hanno dato vita ad un gruppo sensazionale: i Queen. Quattro musicisti che il destino ha fatto incontrare per donarci un genere di musica unico, capace di emozionare come nessun altro nella storia del rock.
Insieme ai compagni di lavoro di Freddie, altre persone hanno fatto parte della sua vita, ricoprendo ognuna un ruolo importantissimo. Riguardo a queste persone abbiamo cercato di farne emergere la personalità alla luce di quella di Freddie.
Non siamo certe che le descrizioni dei caratteri dei vari personaggi corrispondano alla realtà. Purtroppo non abbiamo mai conosciuto personalmente nessuno di loro, così come non abbiamo mai conosciuto Freddie.
Pertanto questo romanzo è da ritenersi un’opera di fantasia, in quanto molte scene e dialoghi che noi abbiamo descritto non sappiamo se si siano svolti in quel modo e se addirittura abbiano avuto luogo. Ci siamo semplicemente immaginate come fosse stata la vita di Freddie ed abbiamo cercato di ricostruirla.
Nel fare ciò crediamo di non aver offeso nessuno.
E se, comunque, avessimo mancato di rispetto a qualcuno, non ce ne voglia.
Ci auguriamo che venga considerato un “accidente letterario”, ben lungi dalle nostre intenzioni.
A conferma di ciò riteniamo giusto dover sottolineare che il nostro affetto e la nostra ammirazione sono rivolti a tutte le persone che hanno amato Freddie sinceramente, soprattutto a coloro che gli sono rimaste vicine fino alla fine cercando di fare il possibile affinché lui fosse sereno.
E ovviamente confidiamo di non aver offeso lui, Sua Maestà Freddie Mercury.
Vogliamo fermamente credere che da lassù abbia già letto questo romanzo e che abbia detto almeno: “Beh, mie care, mica male!”
Cristina Morello e Fabiola Montanelli
PARTE PRIMA
GLI INIZI
1. FELTHAM
Era l’estate del 1964 e la zona commerciale di Feltham, un quartiere operaio alla periferia di Londra, ferveva di attività.
In uno dei tanti magazzini, alcuni uomini erano intenti a trasportare colli e scatole di diversi pesi e dimensioni.
Il più anziano dei lavoratori aveva superato la cinquantina, mentre il più giovane avrebbe compiuto diciotto anni di lì a poche settimane.
“Maledizione!” imprecò quest’ultimo mentre lo scatolone che trasportava gli scivolava per terra.
“Tutto bene, ragazzo?” gli domandò avvicinandosi un omone sui quarant’anni, che lo sovrastava di dieci centimetri buoni.
“Sì, George. Grazie.” annuì il giovane, massaggiandosi un polso.
Alto sul metro e settantacinque e magrissimo, aveva lucidi capelli neri che gli arrivavano fin sulle spalle, penetranti occhi marrone scuro, un naso greco con una gobba appena accennata e labbra carnose.
Nel frattempo si era avvicinato anche il più anziano degli operai, che aveva approfittato di quel piccolo incidente per accendersi una sigaretta.
“Quelle non sono certo mani da scaricatore!” esclamò osservando il ragazzo, che ora si stava facendo scuro in volto.
“Martin ha ragione.” intervenne George “Sono più mani da pianista!”
Il giovane socchiuse le labbra in un mezzo sorriso, lasciando intravedere solo per un attimo una dentatura sporgente e irregolare, che tuttavia andava ad accrescere il fascino di quel volto altrimenti perfetto.
“E infatti sono un musicista!” confermò con orgoglio “Questo è solo un lavoro temporaneo, per pagarmi gli studi e far quadrare il bilancio familiare.”
“Allora ci ricorderemo di te quando diventerai famoso!” sorrise a sua volta George, sollevando la scatola che era stata la causa di quella breve pausa dal lavoro.
“Ci ricorderemo di Freddie Bulsara!” gli fece eco Martin, buttando a terra il mozzicone di sigaretta e schiacciandolo con un piede.
“Guardate che parlo sul serio.” continuò Freddie abbozzando un sorrisetto malizioso “E, che ci crediate o meno, farò il musicista di mestiere e quando avrò fatto un po’ di soldi offrirò da bere a tutti voi. Cosa preferite, dello champagne o del buon vino?” urlò Freddie, cercando di farsi sentire, mentre il rumore assordante di un aereo che era appena decollato dall’aeroporto di Heathrow copriva la sua voce.
Forse è meglio del buon vino. pensò Freddie osservando affettuosamente i volti segnati da molti anni di fatiche dei suoi compagni di lavoro.
Freddie sapeva che George e Martin non lo stavano prendendo in giro. Forse non credevano veramente che lui avrebbe avuto una carriera come musicista, ma dal loro tono scherzoso si poteva intuire che se fosse successo ne sarebbero stati felici.
Freddie sollevò un altro scatolone, della stessa dimensione del precedente, e questa volta riuscì a terminare il percorso senza farselo sfuggire di mano.
Era grato agli altri scaricatori, che spesso gli davano una mano nei compiti più pesanti, ma essendo sempre stato molto indipendente e abituato a cavarsela da solo, non voleva approfittare troppo del loro aiuto. Anche se sapeva che lo facevano con piacere: lui era il più giovane e George e Martin in particolare sembravano averlo preso sotto la loro protezione.
D’altronde Freddie era arrivato da pochi mesi in Gran Bretagna e si rendeva conto che, ai loro occhi, doveva sembrare ancora un po’ smarrito. Ma sapeva che si sarebbe ambientato presto: aveva sempre desiderato vivere in una città come Londra e adesso che il sogno si era avverato… Beh, non c’erano limiti a quello che avrebbe potuto fare!
E pensare che, fino a pochi mesi prima, oziava sulle spiagge di Zanzibar, ignaro di quale sarebbe stato il suo futuro.
***
Farrokh era nato il 5 settembre 1946 a Zanzibar, un’isoletta non distante dalle coste della Tanzania, il cui solo nome evocava terre e genti esotiche e vegetazione lussureggiante.
I primi ricordi a cui poteva risalire con la memoria avevano i contorni di un sogno e spesso si domandava se appartenessero proprio a lui; se avesse vissuto realmente quelle situazioni, se avesse provato realmente quelle sensazioni, o se non fosse tutto frutto della sua fantasia.
Era proprio lui quel bambino di cinque anni che, andando a scuola dalle suore, camminava fra le strette stradine di Zanzibar, circondate da vecchie mura ricoperte di calce bianca scrostata? Le sue orecchie avevano udito realmente le grida dei venditori ambulanti arabi, i cui cibi appena cucinati diffondevano nell’aria i loro aromi speziati? E i suoi occhi avevano visto davvero il verde brillante della rigogliosa vegetazione, il bianco abbacinante della sabbia finissima, il verdazzurro cristallino delle acque del mare?
E poi il suo primo ricordo doloroso, quello sì sapeva essere reale: quando, a otto anni, dovette separarsi dai suoi genitori e dalla sua sorellina di due anni Kashmira, per imbarcarsi proprio su una di quelle grandi navi che tante volte aveva osservato incantato dal porto.
Ancora poteva sentire lo struggimento che lo aveva accompagnato in quel lungo viaggio, durato due mesi: prima sull’oceano, poi in treno, poi in autobus, con mille pensieri e sensazioni che gli si accavallavano nella mente. La nostalgia per la sua famiglia e la sua terra, il dolore e una punta di rabbia per quello che percepiva come una sorta di abbandono, l’eccitazione per i luoghi nuovi e sconosciuti che vedeva, la voglia e la paura al tempo stesso che quel viaggio finisse e l’ignoto che lo attendeva.
Ed era arrivato, finalmente, nella cittadina di Panchgani, situata su un altopiano dello Stato di Maharashtra, nell’India meridionale, a settanta chilometri circa da Bombay.
Lì aveva trascorso otto anni nel collegio inglese di St. Peter, tornando qualche rara volta a Zanzibar, durante i periodi più lunghi di vacanza. E lì a St. Peter i compagni di scuola avevano iniziato a chiamarlo Freddie.
Ormai adolescente, Freddie tornò poi definitivamente, o così credeva, a Zanzibar, dopo aver passato gli esami di primo grado.
Ma, trascorsi pochi mesi, sull’isola scoppiò un’insurrezione popolare e il timore di possibili pericoli per la propria incolumità costrinse molti inglesi e indiani alla fuga. Fra loro c’erano anche Freddie, la sorella e i genitori, i quali si trasferirono in tutta fretta in Gran Bretagna, stabilendosi a Feltham, un’area industriale londinese situata poco lontano da Heathrow.
Sebbene Freddie fosse nato a Zanzibar, i suoi genitori, Bomi e Jer Bulsara, provenivano dallo Stato del Gujarat, nell’India nord-occidentale, ed erano di origine iraniana: appartenevano infatti alla comunità dei Parsi, gli Zoroastriani dell’India, discendenti degli Zoroastriani di Persia; erano così chiamati dal nome della loro religione, lo Zoroastrismo, che prendeva a sua volta il nome dal suo fondatore, Zarathustra. Gli Zoroastriani, a partire dall’ottavo secolo dopo Cristo, erano fuggiti dalla Persia, in seguito all’invasione araba, per sottrarsi alle persecuzioni musulmane, stabilendosi in India, in particolare nella regione del Gujarat. I Parsi, e anche la famiglia di Freddie, pur essendo indiani-britannici di nazionalità, continuavano a seguire le tradizioni culturali e religiose della loro antica patria iranica.
***
Ma ora, tutto questo, Zanzibar, l’India, la Persia, era lontano anni luce dalla mente di Freddie.
Adesso Freddie pensava solo ai prossimi obiettivi che doveva raggiungere: prima conseguire il diploma di secondo grado, e poi iscriversi a una scuola d’arte; era la scelta più logica, perché era sempre stato molto bravo a disegnare e inoltre gli piaceva molto.
Sebbene in collegio in India si fosse distinto anche come sportivo, Freddie era molto portato per le arti figurative in genere: a St. Peter aveva fatto parte del coro e aveva recitato in diverse commedie scolastiche.
Ma la sua vera, grande passione era sempre stata la musica.
Fin da bambino, sia a Zanzibar, sia a casa della zia Sheroor, a Bombay, dove trascorreva le vacanze scolastiche più brevi, Freddie ascoltava tutti i generi di musica. Era soprattutto musica indiana, ma a volte anche inglese, e Freddie amava canticchiare in entrambe le lingue; spesso cantava anche in pubblico, a ricevimenti o feste scolastiche.
Alcuni anni dopo il suo arrivo in India, Freddie aveva iniziato a studiare pianoforte: se ne era appassionato subito, dimostrando molto talento, fino ad ottenere il diploma di quarto grado, sia di teoria che di pratica.
Sempre nello stesso periodo, aveva fondato con alcuni compagni di scuola il suo primo gruppo, gli Hectics: si esibivano solo all’interno dell’ambiente scolastico e Freddie cantava e suonava il pianoforte.
Già allora il suo sogno era diventare musicista.
Freddie posò l’ennesima scatola della giornata, asciugandosi il sudore dalla pelle olivastra del volto.
Sì, sarebbe stata la musica il suo futuro.
Non ne era mai stato tanto sicuro come in quel momento.
2. KENSINGTON
Erano passati già due anni dal suo arrivo in Inghilterra, ma a Freddie sembravano essere letteralmente volati.
Forse perché era così impaziente di raggiungere tutti gli obiettivi che si era prefissato. O forse perché a Londra, ogni giorno, c’era qualcosa di nuovo da scoprire e la vita non era certo noiosa come su un’isoletta sperduta nell’oceano o come in un severo collegio inglese.
Non che Freddie, in quei due anni, si fosse dato ai divertimenti e alla vita mondana. Al contrario, si era immerso anima e corpo nello studio ed eccolo, il primo traguardo: un diploma di primo grado in arte, conseguito con ottimi voti, in una stranamente soleggiata giornata primaverile inglese, alla Isleworth Polytechnic School.
Quell’estate del 1966 Freddie salutò i suoi colleghi scaricatori dei magazzini della zona commerciale di Feltham.
Sentiva che la sua vita stava arrivando ad una svolta decisiva e dubitava che, l’estate successiva, avrebbe ancora trasportato scatole e scatoloni al fianco di Martin, George e degli altri operai. Quegli uomini rudi, abituati a sollevare pesanti colli come se fossero fuscelli, si commossero fin quasi alle lacrime nel congedarsi da Freddie.
“Andiamo, miei cari, è solo un arrivederci…” cercò di sdrammatizzare il giovane.
“Già.” annuì Martin tirando su col naso “Devi offrici da bere, quando diventerai famoso!”
“Abbi cura di te, ragazzo.” mormorò George stringendo Freddie in un soffocante abbraccio, che rischiò quasi di stritolarlo.
“Non mi dimenticherò di voi, ve lo prometto.” adesso anche Freddie aveva gli occhi lucidi.
E, dopo aver osservato per un’ultima volta quei volti segnati dalla fatica, dovette affrettarsi a voltarsi e ad uscire dal magazzino, se non voleva scoppiare in lacrime.
***
In autunno Freddie iniziò un corso di illustrazione grafica all’Ealing College of Art, tuffandosi nuovamente negli studi.
In questo periodo ebbe modo di sbizzarrirsi, creando una gran quantità di disegni e ritratti, dove i soggetti preferiti erano i suoi idoli della musica e del cinema.
Ormai Freddie aveva compiuto vent’anni ed era arrivato il momento di raggiungere un altro traguardo, che lo avrebbe reso completamente indipendente e libero di inseguire tutti i suoi sogni.
“L’ho trovato!” esclamò un giorno entrando in cucina e stampando un sonoro bacio sulla guancia di sua madre.
“Trovato cosa?” domandò la signora Bulsara, intuendo dall’agitazione del figlio che si trattava di qualcosa di importante.
“È un delizioso appartamentino a Kensington.” spiegò Freddie con un sorriso che andava da un’orecchia all’altra.
“Temo di non seguirti…” mormorò la donna, anche se, conoscendo Freddie, immaginava dove voleva andare a parare.
“Non è evidente? Mi trasferisco!”
La madre lo guardò di traverso.
“Vuoi andartene da casa?”
Freddie sollevò gli occhi al cielo.
“Mamma cara, mica vado in un altro Stato!”
“Non credi che dovresti rifletterci sopra ancora un po’?”
Freddie prese una mela da un vassoio, lucidandola accuratamente sulla maglietta e addentandola.
“Ti assicuro che non è stata una decisione affrettata.” spiegò dopo aver gettato il torsolo nel cestino dell’immondizia “È arrivato per me il momento di lasciare il nido, per così dire. E comunque verrò a trovarvi tanto spesso che non vi accorgerete quasi che non vivo più qui.”
“Hai già deciso tutto, vero? Non hai nemmeno pensato di consultare me e tuo padre…”
“Non c‘è niente che possiate dirmi, che mi farà tornare sulla mia decisione.” replicò Freddie in tono deciso.
La signora Bulsara continuò a guardare il figlio con severità.
“La tua prima preoccupazione dovrebbe essere quella di laurearti. Mi sembra di sentirlo, tuo padre. Già pensi sempre alla musica, poi come se non bastasse vai anche a vivere da solo. Chissà quali compagnie inizierai a frequentare; finirà che trascurerai gli studi…”
“Ne ho avuto abbastanza!” scattò Freddie “Se la metti su questo piano, è inutile starne a discutere!” e, detto questo, uscì sbattendo la porta.
***
Il giorno successivo, nel tardo pomeriggio, Freddie entrò di soppiatto in casa, trovandovi la madre intenta a riordinare della biancheria.
“Ah, sei tornato…” commentò freddamente la donna, con l’aria imbronciata “Avresti anche potuto avvertire che non saresti rientrato per la notte.”
Freddie si accovacciò sul divano, aspettando che la madre finisse quello che stava facendo.
“Hai ragione, e ti chiedo scusa.” disse poi dolcemente, sorridendole “Ma ora vorresti venire qui accanto a me? Ho una cosa molto importante da dirti.”
La signora Bulsara sospirò, abbozzando a sua volta un sorriso e sedendosi a fianco del figlio.
“Non credo tu voglia dirmi che hai cambiato idea…”
“No, quello che voglio dirti è molto più importante, anche se tu lo sai già. Sai quanto voglio bene a te, a papà e a Kash. E sai che il mio amore per voi rimarrà immutato, qualsiasi cosa succeda e finché avrò vita.” e Freddie pronunciò queste parole con un tono così serio che la signora Bulsara, senza comprenderne il motivo, sentì un brivido correrle lungo la schiena.
“Stasera dirò anche a papà che mi trasferisco e nel fine settimana farò il trasloco.” concluse Freddie tornando a sorridere e alzandosi dal divano.
La signora Bulsara annuì e ricambiò il sorriso del figlio.
Da quando il giorno prima Freddie se ne era andato sbattendo la porta, aveva riflettuto a lungo e si era resa conto che non poteva negargli di vivere la sua vita, altrimenti avrebbe rischiato di perderlo.
E questo per lei sarebbe stato insopportabile.
Era così orgogliosa di lui, e sapeva che Freddie se la sarebbe cavata perfettamente. Ma, come madre, sapeva anche che non avrebbe mai smesso di preoccuparsi per lui. Per quanto le cose potessero cambiare, Freddie sarebbe sempre rimasto suo figlio.
***
Con il trasferimento nel nuovo appartamento di Kensington, nella vita di Freddie intervennero tanti di quei mutamenti che, chi lo avesse conosciuto solo pochi mesi prima, avrebbe giurato di trovarsi di fronte un Freddie con una personalità quasi completamente diversa.
Tanto per cominciare, in quel periodo in Inghilterra era esploso il fenomeno Jimi Hendrix, di cui Freddie divenne subito un ammiratore entusiasta. La figura di Jimi Hendrix ebbe una profonda influenza su Freddie: alle pareti del suo appartamento comparvero svariati disegni del suo idolo e Freddie, ispirandosi all’abbigliamento di Hendrix, prese anche a vestirsi di seta e velluti.
A Kensington, poi, Freddie iniziò a frequentare i posti più alla moda, che attiravano quasi tutti gli artisti o aspiranti tali di Londra.
Così, girando per il Kensington Market o entrando nella boutique Biba, si poteva incrociare questo giovane dall’aspetto vagamente orientale, vestito da dandy, con l’aria spavalda e un sorriso ironico stampato sulle labbra, che faceva voltare le ragazze, e anche molti ragazzi, al suo passaggio.
Freddie, in realtà, bazzicava spesso dalle parti della boutique Biba non solo per gli acquisti interessanti che vi si potevano fare, ma anche e soprattutto per via della commessa. Freddie non conosceva nemmeno il suo nome e le uniche parole che aveva scambiato con lei riguardavano l’acquisto della merce, ma non aveva potuto fare a meno di rimanere colpito dalla sua delicata bellezza.
***
“Così non va affatto bene.” scosse la testa Freddie smettendo di cantare a metà strofa.
Pochi secondi dopo cessava anche il suono delle due vecchie chitarre di Tim e Nigel, mentre Freddie, a braccia incrociate, si appoggiava ad uno dei lavandini dei bagni dell’Ealing College.
“A me sembrava perfetto.” osservò Nigel con un’espressione stupita dipinta sul volto.
“Una delle nostre migliori esecuzioni.” concordò Tim.
Freddie tornò a scuotere la testa.
“Miei cari, il vostro concetto di perfezione lascia molto a desiderare!”
Nigel fece spallucce.
“Per il pubblico che abbiamo…”
“È proprio questo il punto!” esclamò Freddie “Non avremo mai nessun pubblico se andiamo avanti di questo passo!”
“Ancora quella tua idea fissa?” domandò Tim sorridendo.
Freddie fece qualche passo verso i due amici.
“Diventerò una star.” asserì in tono determinato “E su questo non c‘è il minimo dubbio.”
Tim e Nigel annuirono, non osando ribattere.
D’altronde Freddie era così sicuro di sé, quando parlava della sua futura carriera musicale…
“Allora, riproviamo?” li sollecitò Freddie “Fra cinque minuti dobbiamo tornare in aula.”
Tim e Nigel ripresero a suonare le loro chitarre e la voce cristallina di Freddie si diffuse nel piccolo ambiente, troppo angusto per contenerla.
Osservandolo mentre cantava e imitava i movimenti di Jimi Hendrix con una chitarra immaginaria, non si potevano avere dubbi sul fatto che Freddie possedesse sia il talento, sia la determinazione necessari per diventare un musicista famoso.
Da quando Freddie era venuto a conoscenza della passione per la musica di Tim e Nigel, i tre studenti dell’Ealing College erano divenuti inseparabili.
A Freddie sembravano essere passati secoli dai tempi degli Hectics e, anche se lui, Tim e Nigel non erano un gruppo e non lo sarebbero mai stati, Freddie si divertiva un mondo a suonare e cantare con loro e ci metteva tutto il suo impegno.
Era uno dei primi, piccoli passi, verso la celebrità.
E nel frattempo, Freddie continuava a studiare con impegno. Aveva anche cambiato indirizzo di studio, passando dal corso di illustrazione grafica a quello di moda, che sentiva a lui più congeniale.
Poi, dopo essersi laureato, avrebbe finalmente potuto dedicare tutto se stesso alla musica.
[continua]
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