Alla prof. Silvana De Angelis
e al prof. Alessandro Parrella
con gratitudine e affetto per aver
guardato con i loro occhi nelle
profondità della mia anima.
Federica
Il bambino cresciuto che cercava il regno di Amore
Un giorno mi accorsi dei suoi occhi; mi fissavano, non so dove fossero, forse tra la gente o dentro di me. Li conoscevo, quegli occhi non mi erano estranei; non sapevo a chi appartenessero ma li sentivo; sentivo, che non li avrei mai dimenticati. Sapevo che le emozioni sprigionate da quelle due comuni e banalissime orbite le avrei cullate, tenute strette nei pugni chiusi in cui tenevo stretta la mia vita.
Scoprii con il tempo, vivendo, di chi fosse quello sguardo così estraneo al corpo a cui apparteneva.
Erano gli occhi di un bambino, uno strano bambino, cresciuto, ma in fondo ancora teneramente aggrappato alla sua infanzia; ancora indifeso, privo di malizia, incapace di fare del male.
Quegli occhi, così soli, così smarriti mi parlavano, mi chiedevano aiuto, conforto.
Ripensando spesso all’istante in cui mi accorsi di quegli occhi, ho compreso che proprio in quel momento quel bambino mi stava chiedendo di stargli accanto e di insegnar lui qualcosa che non conosceva, ma di cui non poteva fare a meno, che avrebbe dovuto possedere assolutamente.
Qualcosa di diverso da tutto ciò che lo circondava; dai soliti capricci spazzati via a desiderio esaudito; in realtà, già quella stessa richiesta d’aiuto fattami era qualcosa di diverso: tutto era diverso, nulla era più come prima. Per la prima volta aveva avuto bisogno di un altro essere umano e non desiderava null’altro che “amore”. Ma cos’era l’amore? Come si amava? Dove avrebbe potuto acquistarne un po’ per sé? Non aveva alcuna risposta pronta e l’illusione di poter scoprire cosa fosse questo “amore” s’infranse come un veliero su di uno scoglio.
Così era arrivato l’orco cattivo a turbare i suoi sogni, mentre giocava con la luna e le stelle; lo aveva convinto che Amore fosse un re malvagio e che i sudditi del suo regno fossero torturati, continuamente annientati e umiliati. L’unico regno che gli offrisse divertimento puro, spensieratezza e scherzi in grande quantità era il suo regno: quello del re Disincanto; così, l’Orco lo portò via con sé, spegnendo per sempre l’ardore dei suoi occhi. Ma qualcosa in lui, una piccola particella di Speranza lo aveva spinto a fuggire dall’orco e a cercarmi, tra la gente, per abitare finalmente nel regno del “malvagio Amore”. Incontrandomi aveva capito di essere stato ingannato; provai compassione per quel fanciullo cresciuto, per quella gioia pura che avevo scorto nei suoi occhi e che durò poco, infatti si affacciò all’istante sul suo volto ancora una volta il Disincanto. Quel fanciullo divenne di colpo vecchio senza essere stato prima adulto: questa era la terribile punizione riservatagli dall’orco per non averlo seguito. E fu così che la sua vita si spense; proprio nel momento in cui aveva trovato se stesso: quando aveva trovato il regno di “amore”.
Provai compassione anche per me stessa, dolore per non averlo strappato dal suo triste destino di girovago senz’anima, per non essere riuscita a fermare quell’orco. Ho conosciuto ancora l’“amore” ma non aveva quegli occhi, non aveva i suoi occhi. Ho conosciuto ancora la compassione, ogni volta che con la mente sono tornata a quell’istante, ritrovando quello sguardo alla cui domanda d’aiuto ho risposto con l’impotenza dell’agire.
Lettera ad un amore mai nato
Imponente, unico, vero,
ti ho voluto così fin dal
primo momento che
sei nato;
ti ho sentito, ho sperato
in te come si spera
nella vita.
Ti sognavo duraturo,
bramavo una tua continuità
nel tempo,
volevo che fossi, che esistessi
solo per me.
Ti ho aspettato, ho lottato
perché nascessi,
perché le tue braccia
fossero forti
come forti sono le radici
di una quercia secolare.
Volevo guardare con te
le stagioni passare,
viverle insieme.
Respirarti come si respira
l’aroma di un caffè alle
cinque del mattino,
coglierti come si coglie
un fiore.
Volevo crescerti come si fa
con un bambino,
vegliare su di te come se fossi
la tua sola difesa.
Essere; essere per te una roccia
che scivola a picco
tra una scogliera e
un silenzio.
Essere il vento maestoso e
sottile d’autunno che ti accarezza,
che scivola tra le persiane di una casa
di un paese sconosciuto.
Volevo essere ospitale come
un cielo stellato che accoglie
gli occhi di chi lo guarda;
una notte d’estate, calda, brulicante
di macchine piene di vite che
si riversano nelle strade;
l’innocenza e la tua colpevolezza,
la vergogna e il tuo pudore.
Volevo essere una storia buffa
che si racconta per un dolore
da ubriacare di parole,
una tempesta di allegria
nella ritrovata serenità,
la tua infanzia perduta e
la tua vecchiaia da rifuggire;
un tuo foglio smarrito,
una tua penna dimenticata
in fondo ad una borsa
di pensieri confusi.
Volevo essere quel minuto
di ritardo
nell’occasione della
tua vita,
un sorriso inatteso in
una sala d’aspetto gravida
di impazienti;
una carezza nello sconforto
dei soliti ritornelli
della gente,
l’ingenuità di un attimo
di tenerezza;
INVECE,
sono solo la sconfitta
in una battaglia;
la resa in un duello
con un amore
mai nato.
Ognuno
Ognuno possiede
un suo universo
nei colori e nelle luci,
ineguale, diverso.
Ognuno trasmette qualcosa
che altri non sanno,
che altri non hanno!
Sono un clown
Sono un clown che
dipinge sul suo volto
attimi di finta allegria,
nasconde il suo volto
sotto lo scintillio di
trucchi profumati per
non vedere allo specchio,
riflessa, la verità che
il tempo scolpisce
sui suoi taciturni lineamenti.
Sono un pagliaccio le
cui mani raccontano bugie
di storie mai vissute
perché regalino al mondo
il dono inaspettato
di un sorriso disinteressato.
Le cose che restano di me
Le cose che restano di me
le porto strette nei pugni
che sferro alle attese;
mentre il trucco che porto
sul viso nasconde
i segni del tempo speso
a raccogliere frammenti
di nuove illusioni.
Tra le cose che restano di me
cerco bugie di zucchero filato
che addolciscano l’amarezza
delle mie mani, ormai…
vuote di sogni.
Tu che mi stai accanto
Tu che mi stai accanto
respira i miei sorrisi
somigliano al vento che
accarezza un campo
di papaveri
custodisci i miei silenzi
sono gemme rare
che tengo al riparo
dagli occhi indiscreti
della gente.
Cibati della tenerezza
delle mie fragilità,
della dolcezza
dei miei abbracci,
sono regali inattesi che
concedo alla vita
quando voglio celebrarla.
L’Attesa
Restando ferma
aspetto ancora e
sempre di ritrovarti
in quell’abbraccio.
La notte cade
come speranza amara
su di un sogno di carta.
La tempesta delle ore
imperversa,
batte alla finestra come…
un vento ribelle.
Scolora l’attesa
di ritrovarti.
Avanza il giorno…
il ritornello finisce.
Finisce il mondo che
mi scopre in questa
lacrima dissimulata,
mentre il tempo strappa
la fotografia che
non abbiamo mai fatto
e porta l’illusione via con sé
di un album di ricordi comuni…
L’Appuntamento mancato
Non si può riafferrare
ciò che si è perduto.
Quello che non torna
resta scolpito
in un appuntamento
mancato.
Quello che non si è vissuto
si sgretola
come fango sotto i passi,
mentre avanza l’esercito
dei rimpianti:
si prepara alla battaglia
contro i sogni rimasti appesi,
come vestiti scoloriti
ad asciugare,
un mare di illusioni…
perdute.
Quando riuscirò
Quando riuscirò a scriverti
i miei silenzi
leggerai delle terre che avrei
voluto mostrarti;
del tempo che, come un libro,
avrei voluto sfogliare in
compagnia delle tue dita.
Quando riuscirò a leggerti
i miei respiri
cadrai sulla mia bocca
come gocce di pioggia
cadono su di una inutile
sera d’inverno.
Quando riuscirò ad indossare
la tua assenza
vestirò di bianco i giorni
dell’abbandono e
guarderò allo specchio
il mio nuovo abito
della resa.
[continua]