Inno alla vita
Vita. Vita mai stanca
che sorgi ogni giorno
coi timidi albori
e sempre t’inoltri, fedele e insistente,
nell’armonia di nuove stagioni:
nel tenero aprile dei gelsomini;
o nell’orgoglio d’estati trionfanti;
o nell’autunno brumoso e tagliente
di nostalgie di ore consunte;
o nell’inverno in cui covi, sepolti,
nuovi progetti d’arcano futuro.
Vita, vita che scorri
nei fragorosi fiumi del mondo;
vita che sosti, tenue carezza,
sull’innocenza paffuta del bimbo;
sulla saggezza dipinta nel volto
di chi, da tempo, ti ha conosciuta.
Vita, vita che muori nella violenza,
che nel tramonto silente ti spegni,
e che rinasci mai doma, mai paga,
col lieve rumore dell’erba che cresce,
nella speranza mai vinta o sopita.
E ancora una volta torni a bussare, vita!
Silenzi profondi
Non ti dirò del mio bene remoto.
Non ti dirò del mio bene fedele
che accompagna silente i tuoi passi
e l’egoismo tuo giovane ignora.
Non ti dirò quanto il mare è profondo
ed insidioso al navigante;
o dell’immenso, riarso deserto
che non dà scampo a chi si smarrisce.
Non ti dirò quanto è buia la notte
quando nel cielo non brilla una stella;
o la tristezza delle ore più grigie
quando la nebbia non si dirada.
Non ti dirò quanto è rapido il passo
con cui tocca il suolo la giovinezza
e che l’estate, senza preavviso,
ma troppo in fretta, cede all’autunno.
Non ti dirò che l’amore tradisce,
né quanto è vana e vuota l’attesa
e come si perde l’eco del pianto,
la voce dolente di chi resta solo.
Non chiuderò i tuoi sogni più nuovi
nel freddo recinto della paura:
non spegnerò il fervore dei giorni:
non fermerò la tua corsa più ardita.
Mai ti dirò l’utopia della vita.
L’assenza
Oggi, come sempre, ancor mi manca
il sereno del tuo volto,
il pacato tuo sorriso
e il rumore dei tuoi passi
che s’avanzano leggeri.
Poi quel tocco sulla spalla
così tenero e furtivo
e sollievo ad ogni pena
e messaggio di speranza
lungo il corso della vita.
Oggi, più di sempre, ancor mi manchi.
Oggi che siedo in cattedra,
non sui banchi,
che la sorte mi prende a calci
e la vita mi dice sono dura.
Ma fredda, buia, vuota è la tua casa
e non mormora il silenzio
le parole del conforto:
non ti sei arresa figlia, mai…
neanche adesso lo farai.
Alla mamma bianca che parte
Che silenzio oggi, mamma!
(Che silenzio oggi, figli!)
Non il chiasso dei nostri litigi,
non il fragore dei nostri giochi,
non i singhiozzi del nostro dolore;
ma il mormorio di una muta preghiera
– la cantilena più triste del cuore –
E le nostre lacrime non fanno rumore,
come la pioggia leggera che bagna la terra,
e le nostre lacrime non hanno colore,
limpide e uguali come gocce di cielo.
I negretti Sarah, Nadhir, Sofia, Mohamed
Ricordi
Perché d’improvviso il passato ritorna
e prepotente e insistente e caparbio,
tesoro o zavorra di riso e di pianto
e di rimorsi e di nostalgie?
Sfilano i giorni più giovani e antichi:
quelli assolati, festoso tripudio
e le ciliegie e le pagelle
e l’euforia dei mille progetti;
quelli nevosi, mesti e raccolti
e le candele fredde di ghiaccio
che la primavera poi rapida scioglie
con le speranze, e i sogni azzardati.
Perché il passato è più vivo e sonoro
dell’ora presente, dell’ora già spenta?
Perché ti accompagna, fedele ed intatto,
lungo il sentiero del tempo a venire?
Tramonto d’autunno alla Rocca
Dolce è il tramonto d’autunno alla Rocca
quando congeda il giorno sereno.
Mite lo sguardo si adagia sul lago
e ancora si spinge all’altra sua sponda
dove il Castello con nitido orgoglio
s’innalza nel cielo quieto e superbo,
appena macchiato di ombre e fulgori.
E ancora lo sguardo poi spazia d’intorno,
volto a spiare, in complice attesa,
le prime luci della città.
Lento è il tramonto d’autunno alla Rocca
se il sole indugia sui ruderi austeri,
se l’accompagni con malinconia,
col passo cauto e pacato degli anni,
quando il silenzio pian piano discende.
E qualche sosta, all’Antico Cancello
che ti conduce alla “Strada Segreta”
o sotto l’Arco intriso di muschio,
di qualche foglia già accartocciata,
d’antiche memorie che il tempo disperde.
Scende la sera, ma senza fretta.
Tacita e immota la Rupe, alle spalle.
[continua]