Opere di

Franco Bernardini


Agrigento

Guarda il mare
assiso su quel colle
e inebriati in quest’orgia
di profumi e di aromi
che peschi, mandorli e zagare
offron a marzo.
Templi, colonne e ruderi,
o una singola pietra
posta là dal tempo
fregiano di antichi fasti
l’ubertosa valle.
E quanta commozione
queste vestigia
intrise di cultura.

Guarda sempre il mare
e non voltarti mai,
alle tue spalle
giace Agrigento agone,
dilaniata dall’avidità
dell’ignoranza
e da quant’altro
l’uomo può sfregiare.

Guarda sempre il mare,
e spera anco trovar
dei padri tuoi
etruschi o fenici,
greci o latini,
arabi o normanni,
inorriditi da tanta progenie,
ria di cittàcidio
residui di saggezza
vacanti per l’aria.

Or ora
non ti resta che guardare
solo verso il mare!


18 marzo nel Chiostro del Bramante

Fiori nivei, brevi, silenti
rinnovano il miracolo
di un inverno sopiente.
La rondine a breve verrà
a fendere aria frizzantina
di giornate rinascenti.

Le quattro magnolie d’oriente
gioiscono agli stupori
attoniti dei turisti affrettati.
Antiche guardiane
dei circostanti pregi.
Lode eterna a Leonardo e Bramante.

Benvenuta Primavera!

Milano 18 marzo 2009


Prima spremitura

E te ne andasti
in un silenzio profano
senza lasciare di te
nemmeno
brutte impressioni:
solo un vuoto tremendo
al mio paterno sentire.

Con ordine
raccolsi quel che restava
colmando rasi,
umidi di lacrime,
due grandi cestelli a daghe
con ricordi ed angosce…
indi al frantoio
con deciso passo
e lacerante tristezza
ricavando un’ampolla
di fielose stille
per l’amaro brindisi
al domani.


Adolescenza

I colori soffusi ed i tenui profumi dell’aurora
ammiccano stimolanti pensieri d’amore:
ma se l’incontro ritarda non recarti pena.
Vivi il momento che la testa scuote e ‘l corpo tutto
e l’animo inonda di magia,
che dimenticar ti fa del desinare,
perchè il pasto tuo nell’attimo cupideo
è la gioia, il gaudio, è l’intimo piacere
solo di un di Lui sguardo.

Non indugiar a varcare la soglia,
portando teco i sogni di pulzella,
vaghegghiate speranze, sempiterne illusioni.
Lascia che l’acerbo corpo di fanciulla
si rinfreschi al pulviscolo dorato
delle prossime schermaglie.
Abbandona al vento le folte chiome
e corri, corri, corri ancor più forte,
senza mai fermarti, figlia mia,
più veloce della maldicenza
più agile della cattiveria.

Sii attenta, caparbia, dolce e risoluta,
non ceder mai all’ambiguo gioco della persuasione
rivolto solo a cangiarti in cosa,
si da millenni l’uomo pur s’adopra.
Tuffati libera nel mare dell’amore,
solo se sei concorde.
Ma se il dubbio attraversa la tua mente,
se la nuvola adombra il tuo cammino,
se il profumo dell’incenso
non dà estasi ma torpore,
fermarti allora e mira le sette grandi stelle dell’Orsa,
che nell’immenso danno direzione.
Cattura Mizar con lo sguardo
e vivi in essa lo splendor del profondo
e matura in sento tuo, ch’è già grande,
il senso della vita da bambina.

Niveo dolce Fiore,
non esitare quindi ad esitare,
non prestar cura a color che troppo sanno,
non frastornarti ai suoni martellanti
delle accuse al pubblico ludibrio,
non soffrire mai per quella compassione,
per le risa di scherno e d’ironia:
son solo ricatti, beceri ricatti, figlia mia!

Tu, solo tu, saprai nel cuore tuo,
come, quando e perché,
e ‘l decider sarà dolce come il miele,
fresco di rugiada cristallina,
fragrante come una rosa silvestre recisa all’alba
e sarai felice ed io con te,
perché il giusto del voler tuo,
è sano e immenso.


A Rachele ed a tutti coloro che
hanno subito la violenza
dell’abbandono.

Rachele

Quant’è di fiele amaro
il vitreo calice della verità
e quante dosi di grezzo miele
per non vederne i contorni
per occultarne l’essenza.
Intreccio illusorio
di capricci mentali
con giustificazioni pietose.
Poi il baratro
ed il nulla globale.
La verità è una pressa
impietosa ch’espelle
laceranti estratti
di ricordi offuscati
dai dubbi di ora.
I colori pastello del passato
tracciano solchi nerastri
di tizzoni spenti.
Immersi nella folla
e sempre più soli
tra mille fantasmi.
Il vuoto profondo
sempre più pieno
di dubbi e di rabbia.
L’urlo ribelle
è un flebile suono
d’una nota strozzata.
E la morte
è l’amica ruffiana
a tender la mano.
Tristi e indifesi
ancora una volta
a subir la disfatta.
Nelle lontane stelle dell’Orsa
Il viandante perduto
trova tepore e rifugio
al lume perenne.


A Max

Carpe diem

Perché fantasticare solo sul poi
od adagiarsi sulle remote cose
in nostalgica movenza?
Carezzare il sogno, spesso tinto di verde,
poco costa al mortale se non l’amaro
prezzo per il reale approdo.
Ed il mirare lo spazio con lo sguardo sognante
per rammentare gradevoli episodi,
ancor bello il ricordo, costa solo mestizia.
E il tempo scorre col suo costante passo,
preciso e cadenzato
come un reparto di soldati in parata,
bello nei momenti belli,
con i pennacchi carminio ed i fiammanti alamari,
triste, freddo e perverso
come la lama di una baionetta
segnata dalla ruggine e dalla negligenza.
Procede la sua forzosa marcia verso l’ignoto,
e quel ch’era domani in un baleno pronto
ecco si tuffa nel mare del passato.
Al sogno del futuro s’oppone l’antico ricordo:
speranza a nostalgia, ottimismo a rassegnazione,
matura seriezza a leggiadra incoscienza.
Ma il presente quando si vive se passi in volo
o giaci in triste posa tutto il tuo tempo?
Cos’è la vita in fondo?
Se non stuoli di ricordi e cumuli di sogni!
No, non credo, non voglio: la vita è l’oggi,
sterminata sequenza di attimi pulsanti,
vivace come lo sguardo incosciente
dei giovani in amore,
allegra e gioviale come le ria all’uscita di scuola,
forte e ostinata come i garretti forzanti
di un atleta in gara per la gloria,
triste come il tormento delle passioni infrante,
ma vera, vera come me, come Te, amor mio.
Non vestire quindi l’abito di sogno,
non indossar rammarichi passati,
vivi il tuo giorno, ora: bagnato quando piove,
arso dal sole quand’estate,
torbido nella magia delle brume,
d’incanto nelle sere stellate.
Ecco il segreto: capirai solo così
il linguaggio recondito dei fiori
e le gentili note dei silenzi montani.



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