La voragine delle rondini

di

Geraldo Marra


Geraldo Marra - La voragine delle rondini
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 120 - Euro 11,00
ISBN 978-88-6587-3748

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In copertina: immagine di Tarcísio Marra


Santa Rita, terra delle pompose feste animate dalla banda musicale del sig. Zico Campos; dalle aste nelle “baracchine”, dove i banditori erano il sig. Randolfo o il sig. Caxuxa. Degli allegri personaggi della via come il sig. Au, il sig. Narciso, il sig. Dute e il sig. Pau terra. Dei famosi personaggi abili nel raccontare i “causo” come la signora Balbina o delle donne che davano le benedizioni come la zia Ludovina… Delle sorelle Jordina e Jordilina dette “as papas” (le pappe), sempre ubriache. Degli inventori fantastici come il sig. João Tureba. Terra del cinema di padre Clóvis, luogo in cui ai ragazzi piaceva assistere durante le matinée ai film western con Tim Holt o Victor Mature, o ai film di Tarzan con Johnny Weismuller.
Terra del Cavu, della Binga, della Pinga e dello Embornal; della “Giardinetta” del sig. Andalécio e del Coringa, suo eterno compagno di viaggio. Terra delle biciclette da noleggio del sig. “Supriano” e del suo cliente quotidiano Tica Tuca. Santa Rita, terra delle Voragini e delle Rondini.



Questo libro è stato scritto nel 1996
Titolo originale: Perau das Andorinhas
Traduzione: Viviane Cristina Cruz Sicari
e Geraldo Marra
Revisione: Roberto Caimi


Ai miei genitori
Antônio Batista Marra Sobrinho (“Toniquinho”) e
Ermelinda de Oliveira Marra (“Dica”) in memoriam;
E a mia zia Maria Batista de Oliveira (“Mariquinha”)
in memoriam.


RINGRAZIAMENTI

Questo lavoro è stato reso possibile, grazie alla collaborazione di diverse persone.
Ringrazio per i loro suggerimenti le seguenti persone:
Abdu Araújo Neto, Antônio Batista de Oliveira (Tonho Marra), Criolo Godinho (in memoriam), Glória Maria Marra Silveira (in memoriam), Izaura Batista de Araújo Caixeta (in memoriam), José Gonçalves (Fornalha) (in memoriam), José de Oliveira Marra (Toquinho), José Rodrigues Araújo (Zé do Andalécio), Luiza Leocádia de Jesus (Luiza Cádia – in memoriam), Manuel Godinho, Maria José de Oliveira (Batista), Myrthes Champagnat de Araújo Neto, Nádir Batista Rassi (Dizinho), Sebastião Garcia da Silveira (Tão), Terezinha Caixeta Rassi. Viviane Sicari per la traduzione e Roberto Caimi per la revisione.
Ringrazio anche i partecipanti della Folia de Reis e i suoi comandanti: Dionísio Garcia (Folia di Prata), Antônio (Folia di Três Barras), José Severo (Folia di Vargem Grande), Gervásio Pereira Fonseca (anche comandante della Folia di Vargem Grande), José David (Folia di Ponte Grande), Vilmar (Folia di Tomazinho), Braz Peres dos Santos (Folia di Canabrava); a tutti i festeggianti per l’accoglienza calorosa e a Maria das Dores (in memoriam) che gentilmente mi ha accompagnato nei luoghi delle Folias.
Ringrazio anche Aglaia de Souza che mi ha convinto a pubblicare i miei scritti; a Ronaldo Mousinho per tutto l’appoggio ricevuto, dal Consórcio Literário di Asefe e Hélio Rocha per l’edizione degli esempi musicali.
Ringrazio Míriam Queiroz de Mendonça per il sostegno e l’incentivo e i miei figli Leo Mendonça Marra e Laila Dandara Queiroz Marra che hanno ascoltato i racconti e se ne sono interessati.


Presentazione

Questo piccolo libro non ha per fine di fare un ritratto della città di Presidente Olegário, come anche non è una ricerca sulle ricche manifestazioni culturali di questa regione. Inoltre, essendo nato lì, ovviamente non potevo restare imparziale e sordo verso tutto quello che ho vissuto e mi è successo durante tutto il periodo della mia infanzia e parte della mia adolescenza.
Però conservo un sentimento forte di quel periodo, che credo grande parte dei miei coetanei sentono e, nella mancanza di un altro termine più corretto, dirò che si tratta di nostalgia, una sensazione di qualcosa di bello e buono che mi è successo e che non esiste più. Ma, allo stesso tempo, sembra che sia rimasta in noi una specie di “energia”, una volontà di esprimere, di raccontare ad altre persone quello che abbiamo visto e vissuto, di passare quelle emozioni in maniera tanto intensa quanto sono state vissute.
Questo “sfogo” può apparire in diversi modi: nel parlare, nel vestire, nelle abitudini in generale. Ma chi meglio comunica questi sentimenti sono gli artisti: il pittore, il musicista, lo scrittore, il mimo, il narratore di “causos1”.
È un peccato che all’epoca non sia esistito qualcosa che ci permettesse di registrare e documentare quello che succedeva. Per questo oggi cerchiamo di ricostruire la storia.
Così come Fellini ha fatto nel suo film “Amarcord”, dove appaiono quelle figure indimenticabili come il prete, il professore ed altri personaggi che potrebbero essere il nostro Narciso, il nostro Dute, il nostro Au, il nostro Tica Tuca… O chissà, la nostra Ticraca che potrebbe essere la Gradisca di Fellini.
Insomma, questo sentimento esiste e si rivela in tutti quelli che hanno visto e vissuto quel tempo e che comunque hanno anche fatto cultura. Però non sempre ci sono solo fiori. La città ha vissuto momenti di grande tensione sociale: le lotte per la terra, gli scontri ideologici, il maschilismo, il moralismo ed altri motivi hanno trasformato questa città in una delle più violente dello stato. Molte famiglie sono state distrutte in questi conflitti. Però fortunatamente il tempo ha prodotto un cambiamento: l’educazione è arrivata a più persone, il popolo è diventato più cosciente, l’epoca dei “colonnelli” ha iniziato ad essere fuori moda, il potere è diventato più democratico e i cambiamenti sono avvenuti poco a poco. Il caratteristico buon umore della gente fu così restituito. Gente che in questa regione è sempre stata felice e divertente, e questo malgrado la confusione e l’agitazione che imperversavano. C’era povertà, ma una povertà “degna”, nessuno moriva di fame, c’era molta abbondanza e venivano distribuiti alimenti per sostenere il fabbisogno fondamentale dei poveri. Tutti possedevano una casa in buone condizioni, in fondo stavano meglio degli abitanti poveri delle attuali grandi città.
Le lotte per il possesso di terre avvenivano nella zona rurale mentre nella città c’era abbastanza spazio per tutti, le case erano grandi e con grande spazio all’aperto.
Vivendo poi in un’epoca di tanta abbondanza, molte cose interessanti sarebbero potute succedere. E sono successe.

L’autore


1 Nelle zone interne di Minas Gerais è una piccola storia che racconta cose che sono successe veramente o inventate di sana pianta.


La voragine delle rondini


Presentazione ALL’EDIZIONE ITALIANA

Ciao amici d’Italia! Questo piccolo libro vuole fare un breve ritratto di come era la vita in una piccola città situata all’interno dello stato di Minas Gerais in Brasile. È incredibile come esistano tanti elementi della cultura italiana nel nostro Paese, incredibile anche come la pronuncia della lingua brasiliana si avvicini alla lingua italiana più di quella portoghese propriamente detta. Io personalmente ho scoperto dopo tanti anni che quell’indumento che prendeva il nome di “cavu”, che indossavo quando ancora ero bambino, proveniva dal nome del Conte Cavour. Ho così scoperto anche che il mio bisnonno era italiano. Per questo, credo che gli emigrati italiani si siano ritrovati con tante cose in comune al loro Paese. E credo anche che esistano molti più italiani in Brasile di quello che si crede. Spero che vi divertiate con le situazioni e le barzellette create da questa gente.

Un grande abbraccio


INTRODUZIONE

Narratore: Ciao, Leo. Sei bravo in geografia? Vieni qui.
Leo: Porca miseria adesso tocca a me!
N. È una cosa facile, ragazzo. Fammi vedere la cartina del Brasile.
L. Eccola qua.
N. Trova lo stato di Minas Gerais.
L. Ah, questo è veramente facile. Eccolo, è quello con il becco girato verso lo stato del Mato Grosso do Sul.
N. Bravo! Adesso vediamo, cerca la città di Santa Rita, cioè Presidente Olegário.
L. Ma allora quale, Santa Rita o Presidente Olegário?
N. Questo è un argomento un po’ complicato, però per farla breve, diciamo che Santa Rita era il nome originale. La circoscrizione del territorio era maggiore e comprendeva altre regioni che adesso sono autonome. Oggi la circoscrizione è più piccola e la città si chiama Presidente Olegário, con grande dispiacere dei cittadini, ma questa è un’altra storia.
L. Allora cerchiamo Presidente Olegário sulla mappa. Vediamo… caspita! Difficile! Dammi almeno un’indicazione.
N. Guarda a fianco, a ovest dello stato di Minas, vicino alla città di Patos di Minas.
L. Qui non si trova.
N. Mio Dio! Che disordine! Veramente non si trova in questa mappa. Però è facile, sta fra Paracatu e Patos de Minas. Più o meno qua.
L. Deve essere così piccola e senza nessuna importanza economica, perciò non si trova sulla cartina.
N. Realmente è una piccola città, ma è anche così interessante.
L. Che cosa c’è d’interessante in questa città se neanche si trova nella mappa?
N. Ah! Questa è una lunga storia. Però quello che più ci interessa adesso è l’aspetto culturale: le tradizioni tramandate nella sua musica, le sue abitudini, nella maniera di parlare dei suoi abitanti, nel loro modo di vestire, ecc.
L. La televisione non ha cambiato tutto questo?
N. Sì, certamente. La città non è rimasta isolata, i mass media sono arrivati lì, introducendo alcuni stereotipi, portando le “scatolette” americane e altri sottoprodotti postmoderni. Però non è arrivata soltanto spazzatura culturale fortunatamente! Sicuramente la città è il ritratto del Brasile, un Paese con molte influenze, con molte etnie razziali che mischiate danno il risultato di quello che siamo oggi. Queste sono le influenze di oggi e di ieri.
L. Come? Non ho capito!
N. Voglio dire che in primo luogo abbiamo ricevuto influenza dalle popolazioni europee, le quali, mescolate con la popolazione indigena, hanno prodotto la nostra attualità. Queste tracce sono anche presenti nella città. Altra questione sono le influenze successive, moderne, attraverso i mass media: la televisione, le radio, i giornali, ecc.
L. Ho capito. E che cosa resta ancora della cultura locale?
N. Alcune tracce interessanti dell’epoca. Per essere più preciso e perché possa farti comprendere, è necessario che tu sappia che poco tempo fa la città non aveva neanche l’energia elettrica!
L. Caspita! Allora era tutto buio…
N. Non proprio, nelle case c’era la “lamparina2”.
L. Che cosa era la “lamparina”?
N. Un tipo d’illuminazione come la candela però con un involucro di vetro. Un disco di latta, o metallo, chiudeva la bocca del vetro e aveva un becco bucato da dove usciva lo stoppino. Questo stoppino era normalmente fatto di filo di cotone e arrivava fino in fondo al vetro. Poi si riempiva il vetro di cherosene e si dava fuoco allo stoppino. Fatto! Tutto si illuminava, molto meglio che la luce della candela.
L. Che cosa rozza! E come erano le strade?
N. Bene, le strade erano veramente buie. Solo la luna illuminava le notti della città. Tutto era calmo, non c’era inquinamento sonoro, si sentiva solamente la musica delle “serenate”.
L. Vuoi dire della “seresta”?
N. No. Un po’ differente. La serenata era fatta davvero da musicisti con la chitarra, il “cavaquinho” (una specie di ukulele), il tamburello, “l’afoxé” (la cabasa), e anche la voce. Siccome non c’erano macchine e nessun suono interferiva, la musica era sentita da lontano. La ragazza accoglieva i musicisti dalla finestra e li ringraziava con i suoi “sospiri”.
L. E la luna piena illuminava le notte?
N. Sì, ma tutto questo è durato poco! L’energia elettrica è arrivata con il motore.
L. Il motore della centrale elettrica?
N. No. Era un motore a diesel gigante, il cui rumore si sentiva in tutta la città.
L. Allora finì la tranquillità della gente!
N. Vero! Ma c’era una ricompensa: avere la luce per le case e le strade. La gente che solitamente dormiva presto, poteva sfruttare un poco di più la notte, anche se non c’era luna. Il palazzo in cui si trovava il motore si chiamava “Distribuidora3” ed era l’unico palazzo di due piani della città. Aveva dei bei dettagli e un rivestimento raffinato per l’epoca. Le pareti avevano un rivestimento simile a quello attuale, di quarzo, contro le infiltrazioni.
L. Dove stava questa “Distribuidora”?
N. Nel centro della città, in alto, dietro al palazzo del “Grupo Escolar4”; ma la felicità della luce elettrica durò poco.
L. Cosa è successo? Il motore si guastò?
N. No. Non fu proprio così. Fu la crisi del carburante, fu la guerra!
L. Scoppiò una guerra in città?
N. No. All’estero c’era la crisi del petrolio e poi cominciò la II Guerra Mondiale, così la chiamarono. E noi andammo in rovina.
L. Allora non si ebbe più la luce! E la “Distribuidora”?
N. Dunque, almeno il palazzo della Distribuidora avrebbero dovuto mantenerlo, ma questo non è successo.
L. Perché no?
N. La stupidità dei politici dell’epoca permise la demolizione e la costruzione di un altro palazzo il cui stile “kitsch” minaccia persino il paesaggio!
L. Com’è questo stile?
N. Per essere più chiaro, diciamo che è “pacchiano”.
L. Cazzarola! E poi? La città ritornò di nuovo alla luce delle “lamparinas”?
N. Sì, per un certo periodo. Perché poi con l’arrivo del prete Clóvis, tutto cambiò. Lui risolse il problema facendo costruire una centrale elettrica!
L. Allora lui risolse il problema della luce?
N. Non più di tanto. Il generatore era molto piccolo per sopportare il fabbisogno energetico della città. Risultato: illuminava solo la casa parrocchiale, la chiesa, e poche case vicine. Perciò non ha risolto il problema dell’illuminazione.
L. Vuoi dire, che siete tornati al fuoco delle “lamparinas”?
N. Sì, per molte case. Ma in seguito arrivò la “Usina do Marimbondo” (la centrale del “Calabrone”). Chi non si ricorda del Manuelzinho da Luz? (Manuele detto “della Luce”).
L. Lui ha portato la centrale?
N. No. Il suo compito fu quello di controllare i servizi della centrale. Era l’unico funzionario e da qui viene il soprannome “da Luz” (“della Luce”).
L. Bene. Quindi risolto il problema della luce arrivò presto l’acquedotto, giusto?
N. Figurati! Questo non successe.
L. Allora la gente beveva l’acqua di pozzo?
N. No. Beveva l’acqua del “Bicame5”.
L. Vuoi dire del rubinetto?
N. No. Il Bicame era una sorgente d’acqua pura e pulita, da dove la gente prendeva l’acqua per berla. Dicevano che era la miglior acqua della regione. Si chiamava “Bicame” probabilmente perché aveva varie fontanelle attraverso le quali sgorgava l’acqua. Era anche un posto dove le lavandaie lavavano i panni e la biancheria.
L. E come portavano l’acqua a casa?
N. Ognuno prendeva l’acqua di cui aveva bisogno in contenitori grandi, di solito di latta, che erano usati per il cherosene.
L. Tutti portavano il recipiente pieno d’acqua sulla schiena?
N. Sì, era proprio così, non avevano altro modo.
L. Non doveva essere facile portare quest’acqua, vero?
N. Veramente non era facile, chi ha già fatto questo lo sa. Ragazzi giovani come te e anche bambini di dieci anni portavano l’acqua del Bicame fino alla loro casa, che non sempre era vicino!
L. Sì, l’acqua del Bicame era veramente molto buona, ma dopo tanto lavoro, preferisco l’acqua inquinata di Brasilia, filtrata certamente!
N. Sei fortunato, tutto questo oggi è cambiato.
L. Questa città mi sembra interessante, raccontami di più.
N. Bene, allora dato che sei interessato, siediti qui, sarà una lunga storia.
L. Compresi pianti e risate?
Sì, tutto compreso e molto di più!


[continua]


2 Lampada ad olio.

3 Centrale elettrica di piccole dimensioni alimentata con olio diesel.

4 È così chiamata la Scuola Elementare.

5 Sorgente d’acqua naturale.


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