Il grande pino
(“Pia de Stevuccio”)
Grande regale.
Di passeri nelle gelide notti invernali
rifugio.
Simile ad una torre d’avvistamento
sull’azzurro mare Mediterraneo, proteggi le case.
La tua età non conosco.
Mi piace immaginare che già vivevi
quando la terra dove affondi le radici
iniziò a chiamarsi Regno d’Italia.
Piovose ventose giornate
i tuoi rami sferzati,
Uccelli al riparo delle fronde nati.
Talvolta, come se mi recassi da un vecchio asceta,
vengo da te.
Distendo le mani sul tronco,
dove tutte le storie del paese sono scritte,
sento il vecchio tuo cuore palpitare.
Via Chiusa
Profumo di rose e basilico
nella stretta cieca via.
La mezzanotte
batteva il campanile
proprio sopra la casa
in una notte di maggio.
Il giovane Dottor Mario
emozionato
al suo primo parto
mi ha fatto nascere.
In quelle quattro umide mura
è iniziata la mia sfida alla vita…
Pare che un vicino, il Sig. Ernani,
col quale molto tempo dopo,
avrei commentato il giornale,
sulla piazzetta della chiesa,
alla domenica mattina,
sia stato il primo vicino
ad udire il mio pianto.
...Tutto questo è quello
che anni dopo
mi ha raccontato mia madre…
*
La mia fronte insanguinata…
mia nonna… la dolce nonna… mia madre…
che mi accompagna dopo una caduta
dal dottore…
in una giornata ventosa…
*
Le prime sigarette fumate
di nascosto in un fienile…
il fienile che brucia…
...qualcuno grida il fuoco… il fuoco…
Un fuoco spento per sempre.
La bottega della zia Irma
Con le amiche scherza
la dolce ancora bella signora Ida
nell’antica bottega di mamma Irma.
Ascolto nascosto.
Apprendista fornaio.
Il cuore già innamorato.
La cesta del pane
profumato di forno
aspettava la zia Irma prima dell’Alba.
Nessuna parola, poi,
un cenno e salivano in cucina:
due bicchierini di vero cristallo
una bottiglia di marsala all’uovo
col disegno della gallina sull’etichetta,
“bevi toso, le se’ bon, te ghe da forza”
nella sua eterna parlata veneta.
Le uniche parole nel silenzio
religioso della stanza.
Oltre il giardino, sul mare cobalto,
nasceva l’alba.
Via San Giacomo
Seconda elementare.
Primo ottobre.
Di quel giorno
immerso nel nulla del passato
ricordo una mattina fredda
banchi di scuola gelati
profumo di cuoio delle cartelle.
La maestra giovane e bella
...e occhi scuri
di una timida bambina…
occhi che ancora
posso guardare sempre
con un po’ di emozione.
*
...il primo bar…
il sig. Italo…
cazzotti…
partite al calciobalilla…
Gianni e Giuseppe…
Un bicchierino di cordiale
per soffocare il dolore
quando la morte l’ha portati via…
Min e Pina e l’isola del tesoro
“è arrivata la televisione”
“come la televisione?”
“Min ha comprato la televisione”
“l’apparecchio televisivo, vorrai dire”
“Sììììì”.
E da quel giorno
in via Dott. Raineri e per tutto il paese
è cambiata la vita.
Nel pomeriggio la tv del ragazzi.
Arrivavamo trafelati impazienti.
Urla nella piccola stanza, sedie rovesciate,
in alto la magica scatola.
Min prima di accendere il televisore
passava tra noi ragazzi
“dieci franchi” chiamava così le lire.
Poi decine di occhi a guardare in su.
Jim l’intrepido ragazzo… il pirata Silver… l’oceano…
i bucanieri che cantavano su di una cassa da morto…
bevendo bottiglie di rum…
la mappa… l’isola del tesoro…
Quanti sogni in quella piccola stanza…
Ogni tanto Pina,
una donnina piccola piccola,
così la ricordo,
si alzava dalla sedia
e ci chiedeva se volevamo delle mentine.
Il palloncino
...È quasi sera in via Dottor Raineri…
forse una sera calda d’estate…
in braccio di mia madre…
ricordo una larga cintura nera che indossava…
...
mio padre ritornava dal lavoro…
...
in mano un filo…
in cima al filo un palloncino… quelli da fiera…
che si gonfiano…
anni dopo mi hanno raccontato
che il palloncino
quasi subito è scoppiato…
mio padre per comprarlo
aveva speso i soldi del biglietto della corriera
facendosi dieci chilometri a piedi…
Graziella
Abita in città.
È una signora di una normale bellezza.
Quando avevo forse sei anni o poco più era bellissima.
Abitava con i suoi l’ultima casa di via Dott. Raineri.
Dopo la casa, alberi d’ulivo.
Più grande di me, capelli biondi.
Innamorato come tutti i miei amici.
Si giocava agli indiani fra le piante di ulivo.
I cavalli erano i tronchi degli alberi.
Ci si picchiava tra noi ragazzi
fantasticando duelli all’ultimo sangue per lei.
Un giorno è andata a vivere con i suoi in città.
Quel giorno ricordo ho pianto.
Giorno di festa in piazza
San Giovanni? Sant’Antonio?
Non ricordo.
Ma la piazza quella, sì.
Tutto il paese c’era!
I vecchi con la pipa e il sigaro in bocca
Uomini e donne sorridenti
Giovani ragazze con i vestiti belli.
Tutt’intorno la piccola piazza
(la strada più larga del paese)
fuochi artificiali:
stelle, torce, girandole.
E al centro, oh!Al centro un pallone aerostatico
pronto per volare.
Un po’ piccolo in verità, ma sempre un pallone!
Tumiati il gran cerimoniere. Fiero.
Si accende il fuoco per inviare la sfera nell’altro dei cieli.
Applausi a scroscio.
Ma qualcosa non va!?
“Brucia, Cristo, Santa Madonna, il pallone brucia!”
Un gran fumo dall’odore sgradevole si leva nella piazza.
Attimi di panico. Tumiati impreca.
La gente è stupefatta.
Come se non bastasse
qualche buontempone
approfittando della confessione,
accende le stelle, le torce, le girandole.
Fuochi artificiali in pieno giorno!
Vecchi, uomini, donne, ragazzi, ragazze, bambini
dopo aver compatito gli sforzi del gran cerimoniere
che soffia inutilmente sul fuoco
scoppiano in una gran risata.
…E le galline cantarono come i galli…
In via Della Repubblica il Sig. T… alleva galline.
Allevare è un eufemismo.
Le teneva chiuse in una stalla,
per paura che le portassero via,
mezze morte di fame.
Pretendeva, pure, che quelle disgraziate,
facessero uova.
Ma conciate com’erano non ci pensavano nemmeno.
Per qualche foglia d’erba, avrebbero venduto
l’anima al diavolo, se l’avessero avuta.
Così una notte con alcuni amici
ne “studiammo una”
Sul tardi, mentre il Sig. T…
dormiva tranquillo,
sognando improbabili frittate,
liberammo le galline non prima
di aver somministrato a quelle infelici,
una generosa porzione d’insalata
condita con grappa.
Quelle, affamate com’erano,
la divorarono, senza badare troppo
al condimento.
Iniziò il più favoloso dei concerti.
Le poverette ubriache fradice
sino all’alba, per i carruggi del paese,
cantarono come i galli.
Via della Repubblica
“La fontana”
“Vietato bere. Acqua non potabile”
La scritta del Comune.
Generazioni l’hanno bevuta.
Non è morto nessuno.
Estate.
Caldo soffocante.
La FONTANA ci aiutava a fabbricare l’acqua gassata.
Con bottiglie di ogni formato
si andava da Lei come in processione.
Si aspettava il turno chiacchierando col vicino.
Si spettegolava sugli accadimenti del paese.
Poi a casa, nelle cucine la straordinaria alchimia:
trasformare l’acqua liscia della FONTANA
in acqua gassata.
Si seguivano le istruzioni.
Due bustine due colori.
Versare il contenuti nella busta bianca nella bottiglia.
Poi la busta azzurra facendo attenzione a chiudere subito.
Un minuto, forse meno, il miracolo, l’acqua con le bollicine.
*
Qualche volta d’estate di notte
torno alla FONTANA,
poche lucciole
mi tengono compagnia.