PREFAZIONE
Vita di ossimori,
Di tempi immobili,
Di ricordi immemori,
Io canto.
(È una mutazione inapparente)
Vita di scarsi sorrisi,
Di slanci derisi,
Vita di tempi duri,
Di desideri impuri
E mille pensieri oscuri.
Vita di cambiamenti
E costosi miglioramenti.
L’ultimo sogno
(Quando sarò nessuno)
Come aumenta il mio vissuto
Sbatacchiato tra la grandezza dell’essere
E le miserie dell’esistere,
E nelle mie mani ciniche di uomo
Si contano domande,
Si raggruppano problemi.
Mentre prudentemente oramai vivo,
Subendo un destino
Mai cercato,
Mai completamente amato;
Il mio crescere e annientarsi,
Annichilirsi; compromettersi.
Come una puttana vecchia
Senza ormai più brividi
Senza più splendori,
Subisco le ingiurie del tempo
E di diffidenti compratori.
Schiave del mio disincanto
Le mie rughe antiche
Sull’involucro dell’anima
Diventano voragini,
Inutili coccarde
Ricordi cestinabili,
Orpelli da sacrificare.
Vessilli di esperienze inutili,
Macerie da secchio e sottofondo,
Nella mia deriva ciclica
E silente disperazione.
Com’è buio il mio mondo senza sogni
E freddo lo sguardo degli uomini,
Rinchiusi nel calcolo degli utili
Arabescati dei beni più futili.
Dichiaro chiusa la mia prima vita;
Sull’urna degli ideali
Depongo un cuore; il mio primo.
Lascio una tavola piena di briciole
Avanzi ed affanni,
E mi immergo nel niente
Così addobbato e vasto.
La strada prende quota
Semplicemente puoi aspettare
quel po’ d’amore che volevi
ancora un altro giorno.
Sopravvivi allora,
e copri il castello di carte e i tuoi dolori
cammina sugli spilli con la pelle dura.
Da un lato un muro
dall’altro un vuoto senza fine,
troppo avanti per tornare indietro
troppe cicatrici per ricominciare.
Ricorda: a volte sorridi…
Alla partita, ai giocatori,
Alle carte, ai tuoi tre sette,
non lasciare più, devi giocare:
Avvilito sì, ma non vinto:
bevi sangue, ma se ne sei costretto.
Percorri la tua strada.
Allora, col peso dei tuoi errori
allontanato da te ogni dubbio
e sorridendo…
Solo allora…
umilmente vai a morire.
Al dolore
Dal delirio
Dal rancore
Dal dolore a questo istante
Dal furore
O dal perdono
O l’abbandono alle parole
Dal sospetto
Preconcetto
Al confronto con il mondo
Dolore
Vieni avanti,
Benvenuto.
Maledetto!
L’amore ortogonale
Non respingo il ricordo che mi inonda
e lo sento attimo per attimo
mentre il desiderio di te mi spacca i sensi
come il sole fuori dalle mie sbarre
E come può bastarmi
un già lontano sapore
che vorrei ancora
mille altre volte ancora?
Per effetto dei tuoi sguardi
e dei miei sensi impazziti
io non posso dimenticare,
che in questa vita
così spesso troppo amara
vivendo qualche attimo di estasi rubata
sono comunque felice
perché il mio attimo di tutto
l’ho vissuto.
I primi trent’anni di equivoci
Longevi sono i sogni e si proiettano abusivi
Su alcune notti e mi addormento.
Tanti dubbi,
Tempo sempre meno e miracoli di pensieri.
Vado. Vado perché devo
Devo perché voglio,
Voglio perché ho voglia.
Rubo alla morte più tempo che posso
Tutta una vita.. intera
Alla ricerca di dati certi
E ogni giorno il bisogno di averli finalmente trovati.
Vivo e miglioro; o solo cambio,
Nel cervello strane idee
Soli rettangolari e pensieri in fiamme…
Percezioni sghembe e trasversali
Svariati narco-minuti, tanti piccoli “ancòra”…
Ma nessun dato certo neancora.
Sensi gestiti all’ingrosso, agonia di minuti obbligati.
Disillusione e disincanto,
Sfiducia verso i miei futuri me,
Per i sicuri abissi certi che mi aspettano.
Intento l’essenza, un bulbo primigenio
(Antegenio addirittura) non può mutare,
Scarnificati e nudi
Sotto una corazza di lucido ferro battuto.
Elegia dell’inutile. Terapia della parola
Un dopo, due dopi
Non c’è più salvazione.
Pioggia di perle di pianto.
Ondivagare
Che bella pelle (ombelico a parte)
Capelli vaporosi, io ti capisco
Ti piace piacere: sei l’oggetto.
Io invece no, io sono il soggetto
Barba lunga e capelli distratti.
Conosco un uomo orribile: sono io
Io sono l’eccesso, io vengo dall’abisso
E volo da sempre, coltivo dolore
Il suolo per me non esiste.
Il mio cuore è un abitacolo per decine di spettri
E la mia vita la mangio buccia e tutto.
Mentre usi tutto il tuo potere su di me
E sai che è tanto,
E sai che mi colpisci e mi ferisci
Basta un solo sorriso e non ho scampo
Io ti temo, temo i tuoi luoghi
Temo le tue amiche sagge
Temo le tue frasi salde
Fai bene a non fare come me
A non darti mai completamente
Restare senza pelle sotto il sole e nella neve
È difficile
E fa un gran male, credimi,
Ascolta un uomo senza pelle
Come me
Dissi – non mi capisco – non rendendomi conto che in realtà non mi approvavo
Sforzi inutili e fatiche offese e derise
Disincanti ed infine abbandoni
Un continuo è il mio vivere
Senza spazi vuoti, senza silenzi
Senza inizi, senza fini.
Ogni cosa dentro me modificata e parallela
Sembra vera tutto il giorno
Non importa, soffro solo, con la mente
Incompreso, incomprensibile
Desiderio di impossibile
Troppo a lato di un: lo voglio
Resto intanto nel mio sogno.
E la mia bocca madida di sudore
Come il mio corpo distratto tra le ore.
Io dico al vento di scuotere i muri
Di rompere i vetri invisibili e puri
Guarda come mi guarda, rantola e stupisce
Quel mio bastardo di corpo,
Che annaspa a terra e tossisce.
Ha gli occhi puri, ed i capelli come ceramica
E mille pensieri oscuri
Mentre l’asfalto brucia sotto le sue natiche.
E nelle sue mani, fredde come caimani
Stringe un filo.
Quasi spezzato, già troppo liso,
Mentre io;
Volo già così in alto.
Sento piangere un fantasma mai nato
Non sarai grande
Né sorriderai
Tristemente muori,
Non nasci a primavera.
Inconsapevole; sparendo
Senza il minimo rumore,
La gola che fiotta
Un grumo di cuore
Universo mai nato
Del mio cuore.
Il pescatore di pioggia
È nuotare,
Negli affanni; senza appoggi
nella pioggia;
Passa il tempo delle attese…
(Verità sospette)
Sollevo a fatica il mio sudore
Nella rete saraghi e sardine
Rivenduti per un altro pasto.
Tempo messo da parte
Per un tempo che non avrò più
(Anche se mi fermassi adesso)
Di certo non rimane che
nuotare nella pioggia e
già molto lontana tu.