Giorgio Caproni nacque a Livorno il 7 gennaio 1912. Nel marzo del 1922 la famiglia si trasferì a Genova dove il giovane terminò gli studi e frequentò la Facoltà di Magistero, dedicandosi contemporaneamente allo studio del violino e seguendo le lezioni di filosofia di Giuseppe Rensi. Nel 1936 pubblicò la sua prima raccolta di poesie. Commesso, impiegato, e infine maestro elementare, nel 1938 si trasferì con la moglie Rina, a Roma, dove continuò a fare il maestro fino al 1973, vivendo appartato e tenendosi lontano dai salotti letterari.
Dopo la guerra e la resistenza, spinto anche da necessità d’ ordine economico, collaborò a numerose riviste come “L’Unità”, “Mondo operaio”, “Avanti!”,“Italia socialista”, “Il lavoro nuovo”, “La fiera letteraria”, ecc, con articoli, racconti, traduzioni. Intensa fu infatti anche la sua attività di traduttore di prosa e di poesia soprattutto dal francese.
Tradusse tra l’altro Il tempo ritrovato di Proust, I fiori del male di Baudelaire, Morte a credito di Celine, Bel-ami di Maupassant, e poi Genet e Apollinaire.
Vinse diversi premi letterari fin dalla pubblicazione delle Stanze della funicolare (premio Viareggio), ma il vero successo gli arrise solo nel 1975, con Il muro della terra (premio Gatto e premio Jean Malrieu E’tranger, per il miglior libro tradotto in francese), e successivamente con il Franco cacciatore, che vinse i premi Montale e Feltrinelli.
Giorgio Caproni ricevette nel 1984 la laurea honoris causa in Lettere e Filosofia presso l’Università di Urbino e nel 1985 la cittadinanza onoraria di Genova, città che influenzò profondamente il suo spirito e la sua produzione poetica.
Nel 1986 ottenne i premi Chianciano, Marradi Campana e Pasolini, per la raccolta Il conte di Kevenhuller.
Il poeta si è spento a Roma il 22 gennaio 1990.
Daniela Manzini
Bibliografia
Opere:
- Come un’allegoria, 1936; Ballo a Fontanigorda, 1938; Finzioni, 1941; Cronistoria, 1943; Il passaggio d’Enea, 1956; Il seme del piangere, 1959; Congedo del viaggiatore cerimonioso, 1965; Il muro della terra, 1975; Il franco cacciatore, 1982; Il Conte di Kevenhuller, 1986; Res Amissa, 1991; Poesie (1932-1991), 1995.
Poiché le edizioni originali di molte raccolte poetiche di Caproni non sono più in commercio, si segnalano le edizioni reperibili in libreria:
- “L’ultimo borgo” (Poesie 1932-1978), a cura di Giovanni Raboni, Milano, Rizzoli, 1980.
- “Il franco cacciatore”, Milano, Garzanti, 1982.
- “Il conte di Kevenhuller”, Milano, Garzanti, 1986.
- “Poesie”(1932-1986), Milano, Garzanti, 1986 (raccoglie tutte le opere poetiche tranne Res Amissa).
- “Res amissa”, a cura di Giorgio Agamben, Milano, Garzanti, 1991.
Per quanto riguarda i racconti, l’unica raccolta attualmente disponibile è “Il labirinto”, Milano, Garzanti, 1984.
E’ stata recentemente edita una scelta di articoli, già curata dall’autore: “La scatola nera”, a cura di Giovanni Raboni, Milano
Un completo prospetto bibliografico e critico è fornito in “Giorgio Caproni” di Adele Dei, Milano, Mursia, 1992, pp. 273.
La critica distingue lo svilupparsi di due o tre “tempi” nella poesia di Caproni. I tre tempi sono quello macchiaiolo, carducciano, condizionato dall’ermetismo, aperto anche alla sperimentazione narrativa, che riguarda le prime tre raccolte; quello dell’accensione lirica e della ricerca della forma in modi quasi neoclassici di Cronistoria e de Il passaggio d’Enea; quello della scarnificazione e sliricizzazione della forma poetica, ovvero della ricerca della “massima semplicità possibile”. Così dice lo stesso Caproni:
«C‘è stato un movimento, se si può dire, a fuso, ‘fusolare’: ero partito da una scarnificazione ancora di carattere impressionistico, macchiaiolo, che pian piano si è amplificata e gonfiata nel poemetto, nell’endecasillabo, nel sonetto: finché, poi, forse anche per il trauma della guerra, mi è venuta la saturazione di quelle forme, troppo ampie, e allora ecco il bisogno di tornare alla massima semplicità possibile. Il rumore della parola, a un certo punto, ha cominciato a darmi terribilmente fastidio».
Ed ancora:
«L’unica ‘linea di svolgimento’ che vedo nei miei versi, è la stessa ‘linea della vita’: il gusto sempre crescente, negli anni, per la chiarezza e l’incisività, per la ‘franchezza’, e il sempre crescente orrore per i giochi puramente sintattici o concettuali, per la retorica che si maschera sotto tante specie, come il diavolo, e per l’astrazione dalla concreta realtà. Una poesia dove non si nota nemmeno un bicchiere o una stringa, m’ha sempre messo in sospetto. Non mi è mai piaciuta: non l’ho mai usata nemmeno come lettore. Non perché il bicchiere o la stringa siano importanti in sé, più del cocchio o di altri dorati oggetti: ma appunto perché sono oggetti quotidiani e nostri “.
In questo modo la sintassi si riduce all’ essenziale, mentre gli oggetti, i dettagli prendono evidenza. La punteggiatura stessa assume una sua valenza in funzione ritmica, servendo più a scandire il verso che a pausare ed armonizzare. Elementi fondamentali sono a questo punto la rima, l’assonanza, l’alitterazione.
Ne Il passaggio d’Enea compaiono forme più libere sia nell’uso metrico, sia nella sintassi, piana e lineare, mentre resta l’anafora, che diventa il procedimento di coesione delle immagini.
Questi versi, molto simili alle “rime chiare, usuali…” del Seme del piangere, impongono una radicale trasformazione dell’assetto ritmico-sintattico del discorso, che passa dalle imprevedibili diversioni dell’ordine della frase alla levità musicale, nelle successive raccolte sempre più secca ed epigrafica, fondata sul valore intonativo degli accostamenti fonici.» (Salvatore Ritrovato – Profilo di Giorgio Caproni)