Juanita – L’ultima incarnazione di Parvati

di

Giovanna Flamini


Giovanna Flamini - Juanita – L’ultima incarnazione di Parvati
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Narrativa
14x20,5 - pp. Euro 13,00 - Euro 13,00
ISBN 978-88-6587-2529

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In copertina fotografia eseguita da Giulia Collovini


Il ritrovamento di un fratello perduto e la cattura di un’inafferrabile chirurga, potente mente criminale: questi gli obiettivi perseguiti da Juanita de la Rojas, orfana di favela adottata da una ricca famiglia brasiliana, e dall’anziano commissario Horacio Guimaraes quando i due abbandonano Rio de Janeiro per la lontana India lasciandosi rispettivamente alle spalle Nicolas Lieux-Rivières, un giovane ed eccentrico pittore innamorato di Juanita, e una carriera di poliziotto ormai al tramonto. La vicenda, ricca di numerosi altri personaggi oltre ai tre protagonisti, si snoda ad effetto domino attraverso situazioni, ora beffarde ora tristi ora violente, che condurranno a una conclusione sorprendente e completamente inattesa. Che sarà in grado di far rifiorire il sorriso e restituire un tenero e benefico raggio di speranza nel futuro: “Così… protetta solo dal corpo dell’unico compagno di viaggio rimastole, una menina de rua di nome Juanita, sorridendo sotto le palpebre chiuse, assaporava… una futura emozione…quella, violenta e insostenibile, di provare ancora una volta a guardare il sole negli occhi.”


Juanita – L’ultima incarnazione di Parvati


Alla mia meravigliosa Elena


Un uomo troppo curioso

Pamela de la Rojas si alzò lentamente in piedi. Il ginocchio sinistro doleva furiosamente. Strano come per tutto il tempo durante il quale era stata inginocchiata, il volto serrato tra le palme umide, non avesse provato alcun dolore.
La voce del sacerdote si era improvvisamente spenta per qualche secondo per poi riaccendersi cambiando tono; allora, senza aver bisogno di alzare la testa, aveva capito che si stava rivolgendo a lei.
Era arrivato il momento di compiere il gesto definitivo, accomiatarsi dal suo unico figlio, Herman, che già più di una volta durante la cerimonia funebre aveva udito evocare insieme ai sacri auspici di un eterno riposo.
Si avvicinò tremante alla bara.
Sentiva sul collo il tepore degli sguardi delle tre persone, le uniche che aveva voluto al funerale, che dietro di lei accompagnavano ogni suo passo e l’aiutavano a non piegarsi su se stessa. Arrivata a Herman sentì urlare dentro di sé l’ultima incitazione, a riscuotersi una volta per tutte.
Gli era stata seduta accanto, immobile come lui, per un giorno e una notte. Lo aveva tenuto avvolto nel suo disperato amore. Ma tutto questo non era valso a risvegliarlo. All’alba aveva infine distolto lo sguardo da quel viso, si era accesa un sigaro e lo aveva fumato passeggiando intorno al lungo corpo inerte, osservandolo come un sarto intento a prendere delle misure.
E ora l’ultimo regalo, il suo unico gioiello, uno degli smeraldi più antichi di tutto il Brasile, il leggendario “Araguaya”, l’inseparabile compagno dei giochi infantili di suo figlio.
Si sfilò dal dito l’anello e lo pose sfolgorante e tiepido tra le mani fredde di lui. Seppe che egli la ringraziava dal fulmineo sorriso che solo lei fu in grado di cogliere.
Una volta usciti dalla cappella di famiglia Pamela e l’anziano commissario di polizia Horacio Guimaraes si scambiarono in silenzio un cenno malinconico al di sopra del tettuccio dell’auto dove l’autista era già seduto al volante; la fredda giornata gonfia di vento aveva per un attimo riportato entrambi indietro nel tempo, dentro la minacciosa solitudine dello scenario di “quella montagna”.
Poi, mentre l’auto scorreva lenta lungo i viali del cimitero, il commissario concentrò tutta la sua attenzione sulla giovane donna seduta a capo chino davanti a lui tra l’autista e l’anziana governante Irene.
La figlia adottiva del suo defunto amico.
Colei che era stata capace di trovare un modo per diventare adulta nonostante l’oltraggiosa accoglienza riservata dalla vita alla menina de rua zoppa e randagia che ancora respirava in qualche angolo della sua anima.
Sentì la necessità di parlarle.
– Juanita… stai bene?
– Ma sì, sto bene.
La ragazza teneva gli occhi abbassati sulle guance lucide di un pianto continuamente strofinato dalle dita sottili.
– Lui non vorrebbe questo…
Lei accennò di sì agitando appena la ricca massa di capelli crespi color cioccolato.
– …Speravo così tanto, – articolò senza voltarsi, – che la malattia ci avrebbe permesso ancora una volta di tornare a casa insieme come è accaduto per tanto tempo… lui che rientrava dall’azienda e io dalle mie lezioni… sempre alla stessa ora… e ogni giorno Irene ci faceva trovare qualcuna delle cose preferite da mangiare… l’insalata di gamberi… la minestra di asparagi… la gelatina di melone…
Irene sorrise e annuì in silenzio mentre Juanita, giratasi di scatto e fissando dritto negli occhi il commissario, concludeva:
– Lo so, è morto.
Detto questo, rigirò il capo in avanti e ammutolì.
Horacio non seppe fare altro che disegnare in aria una carezza verso la sua nuca e abbandonarsi sul sedile chiudendo gli occhi.
Perfettamente consapevole che così facendo quella vecchia storia gli sarebbe per l’ennesima volta ripiombata in mente, la storia di cui era stato protagonista l’uomo, l’amico, ora rinchiuso per sempre dietro una lastra di marmo.
…Che era iniziata la notte dell’ultimo dell’anno di dieci anni prima a causa di un banale incidente di parcheggio…
…Banale solo apparentemente però, visto che l’ammaccatura della fiancata di un’auto era stata in grado d’innescare un imprevedibile e inarrestabile effetto domino…

Ogni 31 dicembre Herman de la Rojas, industriale del caffè e abitante solitario di una vecchia villa fuori città, aveva l’abitudine di raggiungere la residenza di famiglia a Rio de Janeiro, dimora di sua madre Pamela, sita nella vecchia e aristocratica Avenida Colòn. Anzi, più che un’abitudine, l’industriale avrebbe piuttosto definito la sua presenza alla tradizionale festa di Capodanno una sorta di obbligo dovuto alla propria famiglia, dato che in tale occasione aveva luogo nei saloni del faraonico appartamento un attesissimo evento mondano, la “Mostra delle Gemme e dei Gioielli”, istituzionalizzata molti anni addietro dal suo defunto padre per motivi di promozione industriale e caratterizzata dalla variegata presenza di una moltitudine di invitati, a Herman e a sua madre peraltro in buona parte sconosciuti e tali destinati a rimanere.
Nella tarda serata di quell’ennesimo 31 dicembre, dunque, giunto in Avenida Colòn a bordo della sua vetusta Mercedes, l’industriale era come ogni volta in procinto di parcheggiare nello spazio riservato alla famiglia de la Rojas e stava procedendo con l’usuale manovra di posizionamento quando, nell’evidente tentativo di occupare quello stesso spazio, un pesantissimo ultimo modello svedese gli si precipitava addosso spiegazzando malamente la lucida redingote del veicolo di famiglia. Lasciata trascorrere giusto una manciata di secondi per riprendersi dal violento imprevisto, Herman, pronto a scendere dall’auto per rendersi conto di quanto appena accaduto, non aveva però avuto il tempo di realizzare il suo proposito giacché immediatamente dopo l’urto la persona al volante della Volvo, un uomo biondo col volto seminascosto da un paio di occhiali neri mai incontrato prima dall’industriale, come se la faccenda non lo riguardasse e senza neppure voltarsi, aveva precipitosamente fatto marcia indietro ed era sgommato via di gran carriera.
Un incidente di parcheggio normalmente non lascia che qualche modesta sequela dietro di sé, ma in quell’occasione quella beffarda noncuranza e quegli impressionanti occhiali neri inforcati in piena notte avevano talmente acuito in Herman l’altrimenti fisiologica reazione d’irritazione che questi, trasgredendo alla sua abituale indifferenza di circostanza, una volta raggiunti i saloni della mostra, si era dedicato con ostinata attenzione al censimento dei visitatori che gremivano ogni spazio tra le bacheche cariche di preziosi, certo che l’insolente biondo fosse uno di loro.

…Del resto, anche io avrei reagito nello stesso modo…, rifletté Horacio volgendosi a fissare il profilo cereo di Pamela nella speranza di farle in tal modo girare il capo e d’incontrare come prima il suo sguardo.
Già, perché a Pamela era toccato un ruolo cruciale, anche se del tutto inconsapevole, in quella vicenda.
Ma il profilo di lei rimase fisso in avanti e a Horacio non restò che scivolare di nuovo nella rievocazione.

…Al momento in cui la ricerca di Herman produceva finalmente l’atteso risultato, la localizzazione della chioma platino, il cui proprietario, defilato in un angolo poco illuminato, era concentrato in un colloquio molto confidenziale con una giovane donna.
Proprio lei, la mascotte della mondanità di Rio, Teresa Mandez-Costa. Universalmente nota come “Teresinha”, seducente quanto irrequieta creatura, uscita una trentina di anni prima dal grembo oscuro di una misera famiglia rurale e da questa allevata nella fame di beni materiali fino a riuscire ad approdare alla più profumata glassa sociale grazie al matrimonio con un pingue imprenditore, Manuel Mandez-Costa, che, ormai perfettamente padrona del ruolo d’instancabile frequentatrice e animatrice di tutti i più esclusivi circoli brasiliani, era un bel giorno pervenuta a quello di factotum dell’illustre manifestazione nazionale patrocinata dalla famiglia de la Rojas. Fin dall’inizio della vedovanza di Pamela, infatti, l’intraprendente giovane donna aveva generosamente offerto alla cara e affezionata amica la propria gratuita collaborazione per mantenere in piedi la faticosa organizzazione della mostra, con grande sollievo e riconoscenza da parte della madre di Herman che nel frattempo aveva imboccato il sentiero senza ritorno verso la contemplazione del mondo attraverso una lente ad alta gradazione alcolica.
…Senza contare poi che, abbastanza indietro nel tempo, “Teresinha” era anche stata la più intensa e travagliata passione giovanile di Herman…
…E ora erano quelle di lei le mani che lo speronatore di Mercedes tratteneva tra le sue mentre le parlava piano fissandola negli occhi…
Prevedibilmente quell’inaspettata intimità non aveva fatto altro che esasperare la curiosità dell’industriale e la sua intenzione di avvicinare l’uomo biondo, inducendolo così a intraprendere la traversata dell’agitato mare di persone che lo separava dal tranquillo angolo della coppia.
Per verificare, però, una volta guadagnata la sua meta, che sia l’uomo che la sua compagna si erano volatilizzati.
Avendo a questo punto preso la decisione di farsi chiarire le idee da colei che a suo tempo tanta fiducia aveva riposto e tuttora continuava a riporre in “Teresinha”, e cioè la sua stessa madre, già intravista in biblioteca in compagnia di una bottiglia di whisky, l’improvvisato detective si era senz’altro avviato in quella direzione.
Ma la sua attenzione era stata subitaneamente distolta proprio dalla ricomparsa di Teresa che, sola questa volta, con andatura rigida e un’aria insolitamente frettolosa, imboccava decisa il corridoio che conduceva all’ala privata dell’appartamento.
Rinunciando allora alla pista della biblioteca per seguire l’ex-fidanzata, che nel frattempo era entrata nel boudoir annesso alla camera da letto padronale, Herman vi era entrato a sua volta e, verificato che il salottino era deserto, aveva subito immaginato che Teresa si fosse chiusa nella toilette.
Congettura ovvia, che però aveva prodotto il risultato non altrettanto ovvio che qualcuno, giunto silenziosamente alle sue spalle e non desideroso che egli tenesse l’orecchio appiccicato alla porta del bagno delle signore, gli assestasse un colpo secco alla nuca, di gran lunga più doloroso di quello subito dalla sua Mercedes.
Quando infine, dopo alcuni minuti, l’industriale aveva ripreso conoscenza, la sua testa, oltre che di fitte lancinanti, pulsava di rabbiose domande.
Insomma, che cosa diavolo stava succedendo quella notte in Avenida Colòn?
Chi era quell’individuo sfuggente come un serpente e che relazione intratteneva costui con Teresa Mandez-Costa?
…Non poteva che essere stato lui a colpirlo così vigliaccamente…
E sua madre poi, soprattutto, quanto bene conosceva quell’uomo?
Pamela navigava in uno stato ormai etilicamente avanzato quando, raggiunta e interrogata sull’uomo biondo dal figlio inferocito per la traumatica esperienza del boudoir, aveva con barcollante tranquillità rivelato il nome del confidente di Teresa.
Il biondo? Personalmente l’ho incontrato solo qualche volta, credo si chiami Josè Pereiros, so che è un grande amico di Teresinha e so anche che viene considerato la nuova star della chirurgia brasiliana.
Perché, – aveva poi aggiunto con voce impastata, – gli è forse capitato qualcosa di poco gradevole?
Completamente frastornato, senza capire contro chi o che cosa poter sfogare la sua inquietudine e la sua rabbia, e per giunta col timore che l’imprudente e inebetita genitrice fosse inconsapevolmente esposta a qualche oscuro pericolo cui ancora non riusciva a dare un nome, in quel momento Herman non aveva saputo fare niente di meglio che rimontare sul suo insultato veicolo per correre nel suo rifugio campestre e cercare di riflettere su quegli avvenimenti.
Ripromettendosi, appena recuperata la calma, di presentarsi a Pamela per un colloquio chiarificatore.

Horacio sfiorò con lo sguardo l’immenso grigio-blu dell’oceano che ondeggiava in lontananza mentre l’autista faceva delicatamente ruotare lo sterzo intorno a un largo tornante.
…Chissà quale corso avrebbe potuto prendere l’intera vicenda se Herman, che solo molto tempo dopo lo aveva reso edotto di quei fatti, gli avesse accordato la sua fiducia fin dalla prima volta che si erano incontrati e gli avesse già allora riferito ogni particolare di quell’incomprensibile notte…
…Herman, che ancora non sapeva che, già a partire da quel 31 dicembre, la sua vita aveva cominciato ineluttabilmente a cambiare…
Giunta l’auto a destinazione, il commissario ne discese lentamente, alquanto riluttante all’idea di dover affrontare il pranzo funebre. Ma un’occhiata a Juanita che precedeva il piccolo gruppo con la sua inconfondibile andatura riuscì a fargli superare la propria incertezza. La magra figura dalle anche sottili fece strada all’interno dello spazioso appartamento fino a un salone dove ognuno sedette distanziato dagli altri, Pamela dopo essersi versata da bere, su uno dei numerosi divani color crema.
Ci fu assoluto silenzio fino alla ricomparsa di Irene.
La voce arrochita dall’età dell’anziana governante ne precedette l’ingresso nella quiete del largo ambiente.
– È tutto pronto, quando volete…
– Sì –, Pamela sollevò appena la testa per scambiare con lei un’occhiata di stanca intesa.
Le due madri di Herman, pensò Horacio.
Poi il suo sguardo fu ancora una volta attratto dalla giovane donna accoccolata sul divano di fronte a lui, colei che nella sua vita “precedente” era arrivata a uccidere e forse più di una volta, la stessa persona che ora, infantilmente abbracciata a un cuscino, inalava l’aroma amaro del proprio dolore, gli occhi fissi davanti a sé.
Infine il commissario si alzò dal divano e, buon ultimo rispetto agli altri, raggiunse il tavolo da pranzo.


Il tuffo

Il trillo lieve del campanello si fece sentire proprio mentre Irene sopraggiungeva col vassoio di lesso fumante.
– Nicolas… –, sussurrò Juanita.
– Buongiorno…
Il giovane esitava davanti alle porte aperte dell’ascensore privato, incerto se intraprendere l’attraversamento del fitto corridoio di cactus domestici che lo separava dal salone.
– Irene, ti prego di aggiungere un posto per Nicolas.
Pamela a capotavola guardava verso il nuovo arrivato senza vederlo.
– Ho iniziato la traversata della città troppo tardi e mi sono reso conto che non ce l’avrei mai fatta a raggiungervi al cimitero, così sono venuto direttamente qui.
Juanita gli fece cenno di avanzare, ma quando lui le fu accanto si limitò a stringergli frettolosamente la mano.
Il pranzo, funerale di funerale, fu celebrato nell’obliquo zigzagare di sguardi tra i commensali, mentre i piatti venivano svogliatamente vuotati e gli inevitabili rumori prodotti dalle posate risvegliavano improvvisi singulti di conversazione.
– Parlaci dell’ultima asta, Nicolas, – fu il volenteroso invito di Pamela che fissava di continuo il proprio anulare nudo, so che avete battuto un quadro anonimo del seicento spagnolo ad una cifra altissima.
– Sì, centomila dollari, ad un collezionista di Bahia che ne ha già la casa piena. Io stesso ho eseguito la perizia e provveduto al restauro, è stato il lavoro di questi ultimi sei mesi. La casa d’aste è molto soddisfatta di questo risultato e credo che sarò io d’ora in avanti ad occuparmi di tutte le opere di pittura. E probabilmente otterrò anche un contratto annuale.
Nicolas era pallido e teso e i suoi occhi scurissimi e cerchiati continuavano a scrutare febbrilmente Juanita.
– Ma io vorrei…, – aggiunse il giovane, – oggi vorrei proprio non dilungarmi troppo su questo genere di cose.
– E di che cosa vorresti parlare, “oggi”?, – scattò Juanita tremando impercettibilmente, il volto spigoloso inclinato come un giovane cobra pronto a mordere, – vorresti parlare di Herman, col quale, essendo sempre troppo occupato, a malapena hai scambiato qualche parola in queste ultime settimane e che “oggi” non hai neppure avuto il tempo di accompagnare al cimitero? Oppure preferiresti imbastire una conversazione sull’esito dell’ultimo intervento da me subito, quello che mi ha rimesso definitivamente in equilibrio su due piedi alla stessa distanza dal bacino?
In quel momento fu chiaro a Horacio che la seduta funebre stava finalmente per sciogliersi.
Sollevato dalla fredda furia della giovane donna, sospirò rumorosamente e ne approfittò per aiutare Pamela ad alzarsi e a tornare quietamente al tavolo dei liquori.
Nessuno dei due ebbe voglia di voltarsi indietro per valutare con uno sguardo l’entità del litigio in procinto di esplodere.
Il commissario si permise di restare ancora qualche minuto seduto accanto alla madre di Herman che sorseggiava la sua grappa mentre Irene parlottava piano con la cameriera che sparecchiava.
Tra non molto avrebbe potuto fare ritorno in ufficio per trascorrere qualche ora seduto alla scrivania, tra le sue carte, accanto al giallo cerchio luminoso della sua beneamata lampada da tavolo.
A ricordare.
Ovviamente, portando Herman con sé.

Herman e Horacio si erano conosciuti circa tre mesi dopo il peculiare incidente di parcheggio occorso all’industriale.
Il loro incontro era avvenuto in una stanza dell’Ospedale Santa Ana, nel reparto “Grandi Ustionati”, specializzato a ospitare delicati pazienti in prognosi riservata, destinati, se sopravvissuti al rischio di temibili infezioni, a una complicata trafila di interventi di ricostruzione plastica.
Herman de la Rojas vi era stato ricoverato in gravissime condizioni per un incidente verificatosi nella sua fabbrica qualche giorno dopo l’inizio del nuovo anno, incidente che aveva messo in serio pericolo la sua vita riducendo a rischiosamente basse le sue probabilità di sopravvivenza. Ma essendo ormai trascorsi tre mesi, a pericolo di morte apparentemente scongiurato (e questo grazie alla formidabile assistenza posta in atto dall’illustre professor Rosario Dellerguas, decano dei maestri della chirurgia brasiliana), la polizia era stata autorizzata ad avvicinare il paziente per i necessari accertamenti. In questo caso, dato il livello sociale dell’interrogando, era stato scelto un funzionario, così l’incombenza era stata girata al commissario Guimaraes il quale, una volta giunto al cospetto del suo interlocutore, si era trovato a dover sottoporre al suo questionario un uomo assorto nei propri pensieri, un individuo che attraverso i fitti bendaggi si era limitato a rispondere a monosillabi alle sue domande e aveva pervicacemente mostrato di non rammentare quasi nulla della sua spaventosa esperienza.
Facendo scattare in Horacio, come immediata conseguenza, la molla del sospetto.
Un sospetto peraltro già latente nel suo cervello a causa dell’assoluta peculiarità della disavventura capitata all’industriale che, invece che di una fatalità casuale, gli aveva da subito ispirato l’idea di un macabro tranello.
…Un uomo scivola dentro una piscina di caffè bollente come un moscerino intontito cade in una tazza di espresso sul bancone di un bar…
Perché si era trattato di un tuffo.
Un malaugurato tuffo da una pedana posta direttamente sopra la vasca di miscelazione del liquore al caffè, rinomato prodotto dell’azienda de la Rojas, avvenuto non un attimo prima né un attimo dopo il momento cruciale dell’operazione, cioè a vasca piena di spumeggiante e ribollente liquido nero.
Ai suoi consistenti sospetti Horacio non aveva però potuto dare seguito, poiché dagli accertamenti effettuati sul luogo dell’incidente e dalle interviste al personale della fabbrica non era riuscito a far emergere nulla che inducesse a ipotizzare che il micidiale capitombolo fosse stato l’esito di un potenziale intento omicida; l’assenza poi di un qualsivoglia altro elemento che potesse offrire lo spunto per far protrarre le indagini, e qui un ruolo decisivo aveva giocato la sterile intervista in ospedale, aveva infine, con buona pace del commissario, fatto chiudere il fascicolo de la Rojas con la prosaica dicitura “Incidente sul lavoro”.
Dovevano trascorrere altri quattro mesi perché il lunghissimo e sofferto soggiorno di Herman de la Rojas presso il reparto “Grandi Ustionati” giungesse a conclusione e il redivivo potesse finalmente prendere congedo per rientrare nel mondo.
Del quale redivivo solo il nome era rimasto identico, trattandosi per il resto di qualcuno fisicamente e psicologicamente profondamente cambiato, con un’espressione diversa sul volto e alle prese con la conoscenza di un nuovo se stesso.
E per questo, per una sorta d’incoercibile pudore rispetto alla sua nuova immagine, della sua uscita dal Santa Ana Herman aveva avuto cura di non informare nessuno, neppure sua madre, con cui, perennemente combattuto tra rimorso e rabbia, non era più stato capace di mettere in atto alcuna forma di contatto dopo la burrascosa notte di Capodanno.
Del resto neanche la stessa Pamela, sentendosi in qualche modo responsabile del tragico incidente del figlio, che le sembrava sia pure oscuramente collegato alla violenta reazione di questi nei confronti di Pereiros in quella medesima notte, aveva saputo trovare per tutto il tempo del ricovero il coraggio di avvicinarlo. Attendendo solo, giorno dopo giorno, che Herman, dissipando ogni ombra di sospetto, le offrisse l’occasione per riabbracciarlo.
Una persona, tuttavia, nonostante ogni precauzione, essendo evidentemente al corrente circa il giorno e l’ora della dimissione dell’industriale, era lì fuori ad aspettarlo.
Una persona a cui il pensiero di lui si era peraltro molto spesso rivolto durante quegli interminabili mesi. Teresa Mandez-Costa.
E ora proprio “Teresinha” era pronta a riceverlo e ad accoglierlo recandogli in dono il contagioso calore di un tempo ormai lontano, arrivando a proporgli, per celebrare la sua prima notte di uomo restituito alla vita, una generosa rimpatriata in una suite del più esclusivo hotel di Rio.
…A Herman era sembrato quasi troppo facile…
D’un tratto la possibilità di risolvere i dubbi che nel suo stato di sofferenza e incertezza lo avevano lungamente tormentato e di cui, per proteggere se stesso e la sua precaria genitrice, non aveva mai fatto cenno ad anima viva, meno che meno alla polizia, erano lì a portata di mano.
Sembrava gli si stesse offrendo su un vassoio d’argento l’occasione per ottenere finalmente tutte le spiegazioni di cui aveva assoluto bisogno, a partire dall’incidente di parcheggio, per poi passare al colpo in testa nel boudoir…e poi… soprattutto… a quella sensazione di una presenza, invisibile ma a lui molto prossima, che gli aveva fatto perdere l’equilibrio e lo aveva fatto precipitare nel caffè bollente.
L’inaspettata ricomparsa di Teresa aveva tutto il sapore di una tacita dichiarazione di colpa e aveva fatto sì che Herman non potesse rifiutare il suo invito.
Purtroppo, però, il giorno seguente qualcosa era bruscamente accaduto che gli avrebbe ineluttabilmente impedito di conseguire il suo obiettivo.
…Effetto dell’imperturbabile domino che, mentre Herman rientrava all’hotel dove poco prima per concedersi una breve escursione mattutina aveva lasciato Teresa addormentata, lo aveva reso testimone di un tremendo spettacolo…
Perché quella stessa mattina, sotto gli occhi sbigottiti del ripescato amante, la compagna notturna di Herman, precipitosamente abbandonati letto, suite e albergo nell’apparente e disperato tentativo di sfuggire, appunto, a “qualcosa” o a “qualcuno”, si era data alla più pazza e incontrollata delle fughe, una fuga tanto dissennata da farla finire a scapicollarsi come un cavallo imbizzarrito fin dentro il cuore convulso della trafficatissima Avenida di Copacabana, là dove la sua sconsiderata corsa si era infine conclusa.
Quando il suo destino aveva fatto sì che venisse raggiunta da una grossa moto che, dileguandosi poi velocemente, le era piombata addosso centrandola in pieno e ponendo fine alla sua vita.

Rientrato a casa alle sei e mezzo del pomeriggio, Horacio telefonò senza nessuna ragione alla sorella, la quale, sentendo all’altro capo del filo una sottile ritenuta inquietudine, a sua volta senza chiedergli nulla, lo trattenne con sagge notizie domestiche e di quartiere finché non gli sentì dire che adesso doveva salutarla.
Il commissario accese la radio e sedette davanti alla finestra guardando con ostinata attenzione il cielo che si oscurava.
L’idea di alzare di nuovo la cornetta del telefono non lo abbandonava.
Resistette ancora e ancora con gli occhi chiusi e una piccola smorfia sul volto, poi cedette.
– Perché mi telefoni a quest’ora? Che cosa ti ha preso? Non è un buon momento, non sono solo…
– Hai ragione, Jorge.
– D’accordo. Che cosa vuoi? Deve essere proprio urgente.
– Ma no… in realtà è solo per farti la solita domanda.
– Hai sprecato la telefonata. Non c’è nessuna novità, partenze e arrivi non segnalano niente d’interessante. È arrivato un aereo da turismo con degli americani due giorni fa, un industriale e due accompagnatori. Ma questo te lo avevo già fatto sapere.
– Sì, ma… forse oggi ho avuto una nuova idea.
– Ancora nuove idee… Lo sai che ti verrà a costare. Già mi basta appena quello che mi passi.
– Lo so. Piuttosto, non ti ho nemmeno chiesto come stai.
– Non c’è male, a parte ieri una sonora perdita. E se perdo, lo sai bene, niente informazioni.
– La prossima volta ti accompagnerò io e vedrai che la fortuna girerà…
L’altro chiuse prima che la telefonata si potesse concludere con quanto stava a cuore a Horacio.
Che a questo punto non avrebbe saputo nemmeno lui dichiarare che cosa “esattamente” gli stava a cuore.
Se delle rinnovate raccomandazioni al suo informatore, o forse qualche nuovo spunto d’indagine che, chissà, avrebbe potuto essere importante o addirittura decisivo, qualcosa su cui Jorge e lui stesso magari non avevano ancora mai ragionato.
Qualsiasi cosa, nonostante tutto, avesse potuto fare la differenza.

[continua]


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