POESIE
EMOZIONI
3 febbraio 2011
TRISTEZZA
Strali alberati ostentano paure animali
ultimi segnali di una umanità strana
dove se non appari non esisti.
Ancorata alla tristezza, mi approprio di una sofferenza
di donna verginale.
Sono io, tempio di un’anima che è solo mia.
Cammino, affino i sensi pronta a cogliere
muti commenti di persone che sopportano la vita.
Sono stanchi, pronti alla rinuncia;
niente può restituire loro il desiderio di combattere.
I ricordi si sfaldano in mille pezzi
accartocciati in mani tremanti,
unici movimenti vitali.
DONNE
Donne, essenze di papiro egiziano
Portano scritte sulla pelle migliaia di storie comuni.
Parcheggiate sotto un lampione
Si lasciano usare, ferire, violentare.
Codici a barre
varati da istituzioni etiche.
Ruoli definiti, imposti, mai scelti.
Sento la brezza marina accarezzarmi le spalle.
Rialzo la testa, mi riapproprio di me stessa,
accolgo in me l’intimità di tutta l’umanità femminile.
PAURA DI AMARE
Onde metafisiche aperte all’abbraccio,
mondi sotterranei si stringono
esalando profumi di vite americana.
Ramialghe soccorrono tartarughe evanescenti.
Dormo nell’incavo del tuo abbraccio
non sempre lieve come vorrei.
Soffoco, sento costretta la mia libertà.
Sospiri lenti, intervallati da pensieri fuganti
desideri di acqua di sorgente.
Il mio io grida, marchia la mia identità di donna.
A MIO PADRE
Seduta sulle tue ginocchia, mi hai viziata alla tenerezza.
Il tocco leggero della tua mano accarezza i miei capelli
ed io mi abbandono al suo tepore.
Sei per me camino acceso, vento di seta le tue dita
Chiara luce del mattino i tuoi occhi.
Curioso, scorgi negli altri la reciprocità di un contatto.
Sei voce presente che cattura e vince
lasciando chi ti ascolta pago di armonia soffusa.
Anima gentile di agresti origini,
sensibile alla concretezza plastica della terra
ti rifugi nel tuo io allontanando la sofferenza dagli altri.
Padre mio lasciami entrare nella certezza del tuo abbraccio,
fluire nella leggerezza onirica che cancella ogni tempo.
PROFUMO DI VIOLA
Esco in giardino, il profumo delle viole mi guida.
Sono le viole del paese natio di mio padre,
sono le viole del “Coleseo” piccola collina di Calvene.
Sono sinonimo di momenti felici all’aria aperta, di picnic sotto l’albero del tasso,
ma soprattutto dei giorni amorosi della vendemmia
quando tutti insieme raccogliamo i grappoli fragranti
come pane fresco, profumati di cabernet, vespaiola, bacò, uva fragola.
Sì, siamo tutti uniti, insieme, e tu, papà, sei artefice
di tanta serenità e bellezza.
Tu e la mamma, pronta a seguirti in ogni situazione.
Fattrice di ogni squisitezza culinaria, ma anche attenta ai bisogni degli altri.
È qui che si spande il profumo di viole, uniche di un unico colore
intenso, scuro viola, profumo di miele fruttato.
Scendendo per il sentiero verso la valletta con la fontanella,
le viole si fondono nel giallo delle primule,
nel verde dell’erba, nel marrone scuro della terra.
Mi fermo a bere l’acqua fresca, che sa di fragola golosa
respiro e ricordo i sassi arrotondati su cui balza l’acqua gentile
quasi muta soccorritrice del viandante stanco,
la lascio fluire tra le mani e lei racconta:
partiamo tutti insieme, sulla Topolino di seconda mano
stretti ma felici con un bottiglione d’acqua tra le gambe
pronti ad intervenire, noi
lo prendiamo come un gioco e litighiamo per avere ”l’onore” di versare l’acqua.
Mezzoretta di viaggio e raggiungiamo il paese;
d’obbligo la visita al cimitero dove riposano i nostri cari
Ecco la piccola casa costruita con i sassi del fiume Astico,
portati sulle spalle da nonno Giuseppe,
il tasso pieno di bacche rosse, il vigneto piantato da generazioni,
la piccola strada che ogni volta papà
deve liberare dagli sterpi e dai rovi.
Che pace! Che serenità salire lungo il bosco,
ffondando i piedi nella terra nera!!!
Chi va a prendere l’acqua? Io, io… Tutti insieme giù alla fontana…
SERA
Agio breve di vita raccolta in una mano
Ogni dito è il ramo che ci ha generato
Gemme e foglie, sorrisi e tristezze.
Soffusa di profumo di rosa antica,
prosegui verso la notte chiara portatrice
di antichi indugi, di timide esitazioni
in cui uomo e donna compiono il loro rito segreto.
Ammagliatrice di immagini prepotenti,
con un colpo di spugna annulli ogni certezza
e non ti importa che la lacrima scenda
da un viso acerbo o canuto.
Allontani l’uomo che ha cercato rifugio
Lo spingi con forza dentro se stesso.
VENEZIA E L’ULTIMO SQUERO
Dinamiche vele di cedri del Libano,
solcano le rotte disegnate da Tolomeo
Artigiani riportano sul viso
Linee dure, scanellature lignee
Dolorose per fatiche diurne e notturne.
Navigatori assimilati agli artigiani
Nella ricerca di luoghi sconosciuti.
Fiumi neri, propaggini impetuose
Case bruciate intersecate di assi
A lungo piallate, fanno dimenticare
L’attitudine alla vita. Boschi cedui ramificano
Oltre la luce sorgenti fluenti, sorsi affrettati
Di gente in fuga da posti natii
Massacrati da bianche mani
Responsabili di una civiltà dominatrice.
Lamenti altalenanti segnano i territori
SINDROME DA PALCOSCENICO
Incredibili incroci di vite vissute.
Abbagli, sospiri, mete intriganti.
Ora giovani amanti, cavalieri medievali,
pulzelle lacrimose, regine politiche.
Mondo antico e contemporaneo rivivono
In scenografie accurate.
I dialoghi delle sceneggiature
Sono scaltri strumenti di inserimenti nel tempo.
Mi avvicino, sfioro con la mano
Le altre mie donne: è un brivido leggero
Che ci comunichiamo silenziose.
Il richiamo è partito, sibilante e forte
Colpisce al cuore, Non ci permette di eluderlo.
Sdraiate sul palcoscenico cominciamo a vivere.