All’ombra dei sogni
si rischiarano desideri
sgranati d’oltre.
La coscienza del tempo
non sfiamma gli impeti.
Le utopie si disarmano
nell’oltraggio e induriscono
con la salsedine asciutta
nell’ora che il sole
discioglie con le sue lance
i sospiri.
Cosa indosserò stamane?
È un giorno nuovo questo,
un nuovo respiro.
Buongiorno mattino,
stamane mi vestirò d’entusiasmo,
riempirò l’anima di grazia
perché di nuovo il cielo è dono
come la voglia di distendermi
nell’aria leggera.
Non consentirò all’abitudine
di essere padrona dell’attimo.
Stamane voglio stupirmi
per credere che ogni nascita
combatte la morte,
ogni seme avvalora la storia,
ogni fiore è promessa
per un rinnovato amore.
Il mio spirito
ripropone inni d’amore
ora che sente mormorare le viole.
Il cielo con le sue dita
di piuma
mi abbraccia leggero,
mi regge lo spazio
con la sua linea di fuoco.
Il tempo non garantisce
domani
il tuo alito blu.
Dirò di sì
alla mimosa in fiore.
Da qui oltre l’infinito,
sconfina l’orizzonte,
palpita l’azzurro,
volano farfalle.
Nessuna parola vige,
tutto è movimento.
Ma nella dimensione
dove il cielo bacia la terra
e la rivolta è in fiore,
dove la vita macina sorrisi
e attese e al sole
la risposta è un grido e amore,
scivola il sussurro
unanime
della speranza.
Il tempo ha disteso la notte
descrivendo una parabola immaginaria
quasi a racchiudere
città egocentriche,
i bagliori mondani,
i valori malati,
la coltre degli interessi
che si estende e attanaglia gli umili
quasi a promettere
un cielo smaltato,
un sospiro d’aria pura.
Ma come una malattia
l’uomo corrode l’ellisse
e l’alba
indietreggia impotente.
Il mattino è ora di piombo.
L’orizzonte dimena estasi al giorno,
come filo d’acciaio
si stende la consapevolezza del tempo.
È falce tagliente nelle vene
la luce e la lotta,
l’inquietudine di popoli
che, lacerata la semplicità,
intreccia inamidati sogni
al progresso.
Uomo dei miei giorni,
ti vedo correre
nell’uragano del tempo
con la tua anima inquieta,
graffiata da mille perché.
Mi avvinco alle primule
consapevole della furia che ti percuote,
mi riconosco in esse
come l’umiltà.
Il tempo non ferirà l’impeto
che leggerò nel mio trasporto
e stenderò sui petali come una carezza.
Ti muovi fra albe
spezzate dalla rivolta,
fremiti di notti contuse.
Cozzeranno forse la pietra e l’azzurro
ma nel futuro,
dimensione totalmente umana,
va l’offerta della mia disponibilità.
Danzano i silenzi
del già plenilunio,
le remote canzoni,
l’atavica armonia
del tempo del melograno in fiore.
Non più girasoli
sotto il sole.
Ora il giorno
ha la facciata opaca e trascorre
tra un sorso ed un sospiro.
Mi restituisci o sera
il tuo viso consunto,
il sapore del tempo inesorabile,
la consapevolezza estrema
d’essere creatura impotente
sotto le stelle.
Noi abbiamo il freddo nelle ossa
e il fremito dell’ultima speranza.
Il fabbro non forgia più
il ferro sull’incudine:
mille rombi hanno sfibrato il suo udito
e il ritmo della battuta
non ha più tempo.
Di questo giorno sfatato
resta il rifugio
nel primo Amore.
Il sogno oltrepassò i sepali del fiore
e fu lancia
nell’ora della lacrima
che scivolò fredda lungo il viso.
Il viso era il mio giorno vuoto,
era il pianto del cielo
invaso dalla fuliggine,
il gemito della terra
invasa dai veleni.
Era la solitudine
che amara gramigna
ruminava gli spazi ebbri
del pensiero perplesso,
imbrigliando alternative
libratesi all’orizzonte
del domani nuovo.
Quando il deserto
prosciugò il pianto dei bimbi
ed il mare
ingoiò il seme della speranza,
i miei occhi s’eguagliarono
al vuoto dell’anima
e più non piansi.
Non ebbe più fremito
il motivo imprescindibile della lotta,
della salvezza,
della giustizia.
I fiori reclinarono tutti il capo
e mi convinsi
che a nulla
sarebbe valsa la denuncia
orfana
dello scettro del potere.