Le radici del vento

di

Giovanni Caso


Giovanni Caso - Le radici del vento
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 96 - Euro 10,50
ISBN 978-88-6587-0679

Clicca qui per acquistare questo libro

Vai alla pagina degli eventi relativi a questo Autore


In copertina: «Marram grass» @Argus – Fotolia.com


Pubblicazione realizzata con il contributo de Il Club degli autori per il conseguimento del 1° premio nel concorso letterario «Olympia-Montegrotto Terme» 2010 e del 1° premio nel concorso letterario «Città di Monza» 2010


PAGINA D’AVVIO

È piuttosto insolito, o quantomeno singolare, imbattersi in una “Pagina d’avvio” scritta direttamente dall’autore, anziché in una prefazione che, come vuole consuetudine, affidi una raccolta di poesie al lettore, con molti richiami testuali, libera interpretazione dei contenuti, suggerimenti di rotte da seguire. Perché questo strappo alla regola? Perché intendo fornire una mia personale chiave di lettura, se non per l’intera raccolta, almeno per la comprensione del suo titolo.
Possiamo considerare la vita sia come movimento del corpo materiale in uno spazio circoscritto (non importa quanto grande, ma sempre limitato), sia come movimento dell’anima alla ricerca della sua identità, della sua vera sostanza, un’anima in cammino non verso le mete terrene, ambite e volute dall’uomo, ma verso l’invisibile, l’ignoto, il gran mistero che si spalanca oltre il visibile. L’anima in viaggio, sempre presente nell’uomo fin dalla nascita, si fa più sensibile nell’ora del tramonto che si affaccia sulla sera, e oltre la sera.
Questo il percorso tracciato in questo volumetto, pensato e scritto per il bisogno di comunicare a chi è sulla mia stessa lunghezza d’onde un’emozione in versi. I temi ricorrenti sono il ricordo, la memoria degli affetti e delle cose, l’inarrestabile cammino del tempo, il fluire delle stagioni che di sé non lasciano traccia se non in una ruga o una lacrima, l’accostarsi della sera e il mistero che in sé racchiude e per il quale viviamo un’intera esistenza nell’attesa di decifrarlo.
È sempre difficile dare un assetto definitivo alla raccolta che si affida alle stampe, difficile soprattutto per la scelta delle poesie da riporvi, che abbiano tra loro una connessione logica, un’armonia d’insieme, un nucleo compatto pur nella varietà dei contenuti. Ma poi, in fondo, non è che un percorso obbligato, si scelgono i brani che convincono di più, li si dispongono secondo un ordine ed una precedenza ritenuti più organicamente efficaci. A stampa fatta, si noteranno ancora cose che avrebbero meritato una sistemazione migliore. E se a volte la parola manca o appare insufficiente, saprà il lettore come colmarla.
Perché il curioso titolo “Le radici del vento”? Può il vento avere radici? Un mattino, passeggiando lungo un sentiero di campagna, noto un annoso albero quasi del tutto strappato dalla terra, con le radici divelte incrostate di zolle, frugate da un vento tenace e voglioso, quasi volesse esso stesso farsi parte di quelle radici. L’albero è vivo nonostante quel suo doloroso svellersi, il vento anch’esso è vivo, ora fugge ora s’arresta, turbinando tra radici e zolle, in una vertigine di moto e di improvvisa quiete. Nell’infinità varietà di voci, di sentimenti, di passioni, anche l’uomo ora fugge ed ora s’arresta, e le sue radici sono labili e inconsistenti come quelle del vento, perché come il vento attraversa il mondo e la vita senza che una sua impronta resti impressa sulla pietra.
Non ho che visioni di questo fuggire e sostare, immagini appena adombrate, metafore che si cercano e si rincorrono, come in un gioco di ombre e di luci. Non ho altro, non possiedo che queste scarne parole e i silenzi che le circondano.


Le radici del vento


Le radici del vento si protendono
in terre dilaniate, come l’anima
nel calice del cuore. E quante volte
ci chiediamo da dove giunga o vada
la tramontana che raggela le ossa
appena è inverno.

Sconosciuto è il luogo

dell’anima, e che sia noi non sappiamo,
se piccolo bagliore dell’immenso
racchiuso nella carne o corpo etereo
in un corpo dolente. Quando il giorno
si piegherà al tremore della sera
e sulla fronte avremo stelle e rughe,
allora, forse, capiremo ed ogni
enigma sarà luce.

Avrà quel vento

radici ancora forti, avrà freschezza
di teneri germogli? Come noi
respireremo il cielo? Allora certo
vedremo la sostanza di che è fatta
l’anima, indagheremo il suo infinito.


COME IL VENTO LA VITA

Il tempo ingoia uomini, popoli, civiltà,
resta solo una memoria a consolarci
prima della voragine. “Fortunato colui
che sulla vita plana e, sicuro, intende
la segreta lingua dei fiori e delle cose
mute” scrisse Charles Baudelaire.
E fortunato anche chi ammansisce il tempo
addomesticandolo alle voglie del cuore. Noi
non possiamo che udire i suoi infiniti schianti
percorrendo di corsa la nostra umana stagione.

Prendi lo zaino e mettici dentro i sogni
e i pavimenti delle vigne e le stelle
che cantano sul sentiero, mettici
i trastulli del mare e tutte le veglie
di Natale e le bianche mani della madre
che ricamava fiori sulle ferite del cuore,
mettici i desideri inespressi e quelli
espressi ma non esauditi, mettici il pianto
dei primi giorni di vita e l’erba
su cui sognavi e il frumento che ti abbagliava,
mettici il pozzo con le sue vertigini
e le parole che lasciasti sulla soglia
ad ogni partenza, e il fuoco del ritorno
che ti bruciava il viso, mettici il profumo
delle cose avute e non avute, la casa
tra i tralci che mai hai posseduto, e l’alba,
ah quell’alba che ti cercava il respiro,
che ti frugava la carne, che ti soffocava
con la sua bellezza di luce, quell’alba
di ogni tempo e di nessun tempo, radiosa
di perle e tremante di pensieri, enorme
e minuscola nella sua vastità di cielo.

Ecco, sei pronto per partire. Indossa
una giacca di vento, calza sandali
di tramonto, riponi lo zaino sulle spalle.
E cammina.

Non importa dove andrai,
né quante terre attraverserai, né quanti
popoli vedrai. Tu cammina, da solo, in silenzio,
con l’anima vorticante nella voragine del tempo.


Lungo quanto un sussurro

Lungo quanto un sussurro è questa vita.
Ho già raccolto i ferri, ho riordinato
lenze e mattoni, tolto i calcinacci
dai muri del cantiere.

Ora s’allunga

l’ombra del corpo sul selciato bianco
e già sconfina il passo oltre l’orgoglio
del cuore.

Lascia dunque che resista

ancora un poco il filo del racconto,
che corra al suo barlume senza fretta
bruciando nel lucignolo i suoi fuochi.

Cosa rimane della nostra storia?
Lontani cosmi di silenzi, il punto
d’arrivo d’ogni fragile cammino.
Appartenemmo al vento, alzammo lune,
non fummo che folate del mattino
in fuga verso il sogno d’un approdo.


In ombra quasi

La luna che vestiva i miei pensieri,
china sul letto, palpitante, altera,
ancora torna quando il cuore in pena
s’inebria di silenzio.

Ho già vissuto

i lunghi giorni delle mie emozioni
e l’erba, il grano, il prato delle veglie,
ho ripassato a mente le stagioni
dei primi accadimenti, a fior di labbra
germogli e tenerezze di parole.

Eppure non svelata sei, mia vita,
in ombra quasi, pallida lucerna
che sa il dolore e il sale del rimpianto
come un fanciullo senza più aquiloni.


Siamo così

Siamo così, non più d’un aspro suono,
d’un verso che s’allunga sopra il foglio
e poi, d’un tratto, trova il bordo, il vuoto
in cui precipitare.

Siamo spore

di carne dentro un fuoco di passioni
e il corpo s’abbandona al suo dolore
ed ogni passo è un grido e una speranza.

Resta l’impronta d’ogni nostro andare
quasi che il vento non cancelli il segno.
Così invecchiamo a sopportare il mondo
che cerca all’alba di stupirci ancora.


Luci ed ombre di vita

Le sere hanno silenzi impareggiabili
qui, dove il cuore fra due lune erranti
cerca una tregua all’affannoso andare.
Quei cieli levigati dalle nuvole,
le viole che cogliemmo col respiro,
le strade impolverate delle corse
sugli orli del tramonto, ecco, nessuna
cosa si perde al brulicante vento
della vita.

Non siamo che un sussurro

di bianche foglie al nascere dei giorni,
ombra d’un sogno che ci segna a pelle,
luce d’un’alba che ci fa germoglio.
E non c’è luogo, sasso, soglia, piazza
che non abbia di noi qualche dolore,
chissà, un’impronta, un segno, un’allegria
da custodire tra i quaderni e l’anima.

Pallidi lumi ai bracci del crepuscolo
andiamo senza posa oltre le fughe
di marciapiedi, vicoli, semafori.
Ed un groviglio di passioni e attese,
d’incantamenti, ed ansie, e fallimenti,
s’intreccia sul telaio dei pensieri.

Siamo fuggenti petali di sole,
barche di cosmi urlanti alla deriva,
ognuno mille dubbi e una speranza,
un mucchio d’ossa su cui appoggiare gli anni.
Come impedire al corpo di soccombere?
Non è che intrico immane d’ombre e luci
questa vita che grida, anela, implora.


Quanti errori in conto

E dici che l’età non ha dissolto
ancora i dubbi, le paure, i gridi
di tutte le battaglie combattute,
tu che conosci molte cose e vivi
il tempo e il suo declino, in questa età
vogliosa d’un germoglio, dopo i tanti
anni d’arsura.

Ed ora mi racconti

dei cosmi come fossero emozioni
a fil di pelle, e narri dell’eterno
come una dolce melagrana d’aria.
La carne voluttuosa dei risvegli
ha nuovi impulsi.

Quanti errori in conto

e i mille appunti sempre da rileggere
e i lunghi calendari da aggiornare.
Eppure non lo neghi, è ancora sogno
la vita, è un universo sempre in fuga,
un vento d’alabastro che percorre
i giorni della terra, icone bianche
stampate sullo schermo della sera.


I venti della vita

La luna che saliva ai cuori erranti
ora declina, incurva il suo cammino
sul bordo della sera, è quasi spenta
la lampada che apriva un varco al buio.
Perché serbare in fondo alla bisaccia
un pane di memoria, se il dolore
afferra i polsi e il passo si consuma
tra steli di semafori e portoni?

Li abbiamo in pugno i venti della vita
e le chimere, i sogni, le emozioni,
li conosciamo da un bisbiglio, un suono,
una beltà. La ciotola del tempo
ha rime di ferite da cui stillano
ombre e misteri.

Ma l’attesa è un foglio

su cui scriviamo aneliti e speranze.
E allora suggeriteci un sentiero,
diteci da che parte impazza il grillo
che ci fece partecipi del mondo,
quando spingemmo barche di giunchiglie
all’acqua dei fossati e la lucertola
saliva i fianchi a morderci la schiena.

Ora agli asfalti è arsura d’erba bruna
e ai marciapiedi ormeggiano illusioni.
Eppure c’è una luce in fondo al giorno
come d’un lume cosmico, un bagliore
che non svanisce. Antiche voci scorrono
con l’acqua del silenzio ai nostri cuori
cercando la favilla che non muore
in un redento grido d’infinito.


Le veglie e il sonno

Nessuno sa mai cosa ci sorprende.
Le veglie e il sonno che vivemmo allora,
le vesti di frumento che indossammo,
i sandali di luna che calzammo,
tutto è dissolto, alfine.

Resta un’ombra

nel giorno che s’avvia al suo declino.
Ed era così docile il mattino,
vento fanciullo sopra gli albicocchi
e la farfalla all’uva che sognava
il vino del domani.

Avrai il tuo fiasco di rubini e soli
e il fuoco dei tramonti, anima mia.
Le labbra sulla ciotola del tempo
sapranno il mosto antico.

Ecco, più bella

sarà l’aurora al davanzale d’ombre,
uccello con le piume un po’ arruffate,
sarà più dolce il latte del risveglio
che scioglie nel profumo ore di vita.


Se sei interessato a leggere l'intera Opera e desideri acquistarla clicca qui

Torna alla homepage dell'Autore

Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Per pubblicare
il tuo 
Libro
nel cassetto
Per Acquistare
questo libro
Il Catalogo
Montedit
Pubblicizzare
il tuo Libro
su queste pagine