Le radici del vento si protendono
in terre dilaniate, come l’anima
nel calice del cuore. E quante volte
ci chiediamo da dove giunga o vada
la tramontana che raggela le ossa
appena è inverno.
Sconosciuto è il luogo
dell’anima, e che sia noi non sappiamo,
se piccolo bagliore dell’immenso
racchiuso nella carne o corpo etereo
in un corpo dolente. Quando il giorno
si piegherà al tremore della sera
e sulla fronte avremo stelle e rughe,
allora, forse, capiremo ed ogni
enigma sarà luce.
Avrà quel vento
radici ancora forti, avrà freschezza
di teneri germogli? Come noi
respireremo il cielo? Allora certo
vedremo la sostanza di che è fatta
l’anima, indagheremo il suo infinito.
COME IL VENTO LA VITA
Il tempo ingoia uomini, popoli, civiltà,
resta solo una memoria a consolarci
prima della voragine. “Fortunato colui
che sulla vita plana e, sicuro, intende
la segreta lingua dei fiori e delle cose
mute” scrisse Charles Baudelaire.
E fortunato anche chi ammansisce il tempo
addomesticandolo alle voglie del cuore. Noi
non possiamo che udire i suoi infiniti schianti
percorrendo di corsa la nostra umana stagione.
Prendi lo zaino e mettici dentro i sogni
e i pavimenti delle vigne e le stelle
che cantano sul sentiero, mettici
i trastulli del mare e tutte le veglie
di Natale e le bianche mani della madre
che ricamava fiori sulle ferite del cuore,
mettici i desideri inespressi e quelli
espressi ma non esauditi, mettici il pianto
dei primi giorni di vita e l’erba
su cui sognavi e il frumento che ti abbagliava,
mettici il pozzo con le sue vertigini
e le parole che lasciasti sulla soglia
ad ogni partenza, e il fuoco del ritorno
che ti bruciava il viso, mettici il profumo
delle cose avute e non avute, la casa
tra i tralci che mai hai posseduto, e l’alba,
ah quell’alba che ti cercava il respiro,
che ti frugava la carne, che ti soffocava
con la sua bellezza di luce, quell’alba
di ogni tempo e di nessun tempo, radiosa
di perle e tremante di pensieri, enorme
e minuscola nella sua vastità di cielo.
Ecco, sei pronto per partire. Indossa
una giacca di vento, calza sandali
di tramonto, riponi lo zaino sulle spalle.
E cammina.
Non importa dove andrai,
né quante terre attraverserai, né quanti
popoli vedrai. Tu cammina, da solo, in silenzio,
con l’anima vorticante nella voragine del tempo.
Lungo quanto un sussurro
Lungo quanto un sussurro è questa vita.
Ho già raccolto i ferri, ho riordinato
lenze e mattoni, tolto i calcinacci
dai muri del cantiere.
Ora s’allunga
l’ombra del corpo sul selciato bianco
e già sconfina il passo oltre l’orgoglio
del cuore.
Lascia dunque che resista
ancora un poco il filo del racconto,
che corra al suo barlume senza fretta
bruciando nel lucignolo i suoi fuochi.
Cosa rimane della nostra storia?
Lontani cosmi di silenzi, il punto
d’arrivo d’ogni fragile cammino.
Appartenemmo al vento, alzammo lune,
non fummo che folate del mattino
in fuga verso il sogno d’un approdo.
In ombra quasi
La luna che vestiva i miei pensieri,
china sul letto, palpitante, altera,
ancora torna quando il cuore in pena
s’inebria di silenzio.
Ho già vissuto
i lunghi giorni delle mie emozioni
e l’erba, il grano, il prato delle veglie,
ho ripassato a mente le stagioni
dei primi accadimenti, a fior di labbra
germogli e tenerezze di parole.
Eppure non svelata sei, mia vita,
in ombra quasi, pallida lucerna
che sa il dolore e il sale del rimpianto
come un fanciullo senza più aquiloni.
Siamo così
Siamo così, non più d’un aspro suono,
d’un verso che s’allunga sopra il foglio
e poi, d’un tratto, trova il bordo, il vuoto
in cui precipitare.
Siamo spore
di carne dentro un fuoco di passioni
e il corpo s’abbandona al suo dolore
ed ogni passo è un grido e una speranza.
Resta l’impronta d’ogni nostro andare
quasi che il vento non cancelli il segno.
Così invecchiamo a sopportare il mondo
che cerca all’alba di stupirci ancora.
Luci ed ombre di vita
Le sere hanno silenzi impareggiabili
qui, dove il cuore fra due lune erranti
cerca una tregua all’affannoso andare.
Quei cieli levigati dalle nuvole,
le viole che cogliemmo col respiro,
le strade impolverate delle corse
sugli orli del tramonto, ecco, nessuna
cosa si perde al brulicante vento
della vita.
Non siamo che un sussurro
di bianche foglie al nascere dei giorni,
ombra d’un sogno che ci segna a pelle,
luce d’un’alba che ci fa germoglio.
E non c’è luogo, sasso, soglia, piazza
che non abbia di noi qualche dolore,
chissà, un’impronta, un segno, un’allegria
da custodire tra i quaderni e l’anima.
Pallidi lumi ai bracci del crepuscolo
andiamo senza posa oltre le fughe
di marciapiedi, vicoli, semafori.
Ed un groviglio di passioni e attese,
d’incantamenti, ed ansie, e fallimenti,
s’intreccia sul telaio dei pensieri.
Siamo fuggenti petali di sole,
barche di cosmi urlanti alla deriva,
ognuno mille dubbi e una speranza,
un mucchio d’ossa su cui appoggiare gli anni.
Come impedire al corpo di soccombere?
Non è che intrico immane d’ombre e luci
questa vita che grida, anela, implora.
Quanti errori in conto
E dici che l’età non ha dissolto
ancora i dubbi, le paure, i gridi
di tutte le battaglie combattute,
tu che conosci molte cose e vivi
il tempo e il suo declino, in questa età
vogliosa d’un germoglio, dopo i tanti
anni d’arsura.
Ed ora mi racconti
dei cosmi come fossero emozioni
a fil di pelle, e narri dell’eterno
come una dolce melagrana d’aria.
La carne voluttuosa dei risvegli
ha nuovi impulsi.
Quanti errori in conto
e i mille appunti sempre da rileggere
e i lunghi calendari da aggiornare.
Eppure non lo neghi, è ancora sogno
la vita, è un universo sempre in fuga,
un vento d’alabastro che percorre
i giorni della terra, icone bianche
stampate sullo schermo della sera.
I venti della vita
La luna che saliva ai cuori erranti
ora declina, incurva il suo cammino
sul bordo della sera, è quasi spenta
la lampada che apriva un varco al buio.
Perché serbare in fondo alla bisaccia
un pane di memoria, se il dolore
afferra i polsi e il passo si consuma
tra steli di semafori e portoni?
Li abbiamo in pugno i venti della vita
e le chimere, i sogni, le emozioni,
li conosciamo da un bisbiglio, un suono,
una beltà. La ciotola del tempo
ha rime di ferite da cui stillano
ombre e misteri.
Ma l’attesa è un foglio
su cui scriviamo aneliti e speranze.
E allora suggeriteci un sentiero,
diteci da che parte impazza il grillo
che ci fece partecipi del mondo,
quando spingemmo barche di giunchiglie
all’acqua dei fossati e la lucertola
saliva i fianchi a morderci la schiena.
Ora agli asfalti è arsura d’erba bruna
e ai marciapiedi ormeggiano illusioni.
Eppure c’è una luce in fondo al giorno
come d’un lume cosmico, un bagliore
che non svanisce. Antiche voci scorrono
con l’acqua del silenzio ai nostri cuori
cercando la favilla che non muore
in un redento grido d’infinito.
Le veglie e il sonno
Nessuno sa mai cosa ci sorprende.
Le veglie e il sonno che vivemmo allora,
le vesti di frumento che indossammo,
i sandali di luna che calzammo,
tutto è dissolto, alfine.
Resta un’ombra
nel giorno che s’avvia al suo declino.
Ed era così docile il mattino,
vento fanciullo sopra gli albicocchi
e la farfalla all’uva che sognava
il vino del domani.
Avrai il tuo fiasco di rubini e soli
e il fuoco dei tramonti, anima mia.
Le labbra sulla ciotola del tempo
sapranno il mosto antico.
Ecco, più bella
sarà l’aurora al davanzale d’ombre,
uccello con le piume un po’ arruffate,
sarà più dolce il latte del risveglio
che scioglie nel profumo ore di vita.