«Mi vóo domà a sgnepp» io vado solo a beccaccini! Così aveva detto quel giovanotto portato a casa mia, nel lontano 1953, da un amico cacciatore e che io ascoltavo con tanto interesse; parlava di beccaccini ed io non sapevo neanche cosa fossero ma già, soltanto il sentirne parlare, suscitavano in me una grande attrazione!
Ma cominciamo “ab ovo” (da principio): sono nato a Milano e sono vissuto da sempre a Porta Venezia, quasi in centro della mia amata città. Nessuno in casa mia nutriva interesse per la caccia o la pesca; prati e boschi dove vivevo non ce n’erano, eppure io ho sempre provato una grande attrazione per loro e quando, durante le vacanze scolastiche, allora frequentavo le scuole medie, i miei genitori, mi mandavano da mia nonna in Brianza, provavo immensa gioia nel passeggiare per i prati in compagnia della mia piccola cagnolina e altrettanto piacere ad inoltrarmi nei boschetti prospicienti il fiume Adda che scorreva vicino ad Imbersago, dove abitava la nonna.
Fu proprio durante una di queste vacanze che il fratello di una signora che abitava vicino a mia nonna, venne a trascorrere alcuni giorni da sua sorella e, meraviglia delle meraviglie, questo signore era un cacciatore, e il suo intendimento era proprio quello di poter trascorrere quei pochi giorni, presumo di ferie, andando a caccia. Giudicato oggi, devo dire che non era un gran cacciatore; si accontentava di passeggiare per le campagne della Brianza alla ricerca di modeste prede: passeracei, qualche merlo, e qualche altro uccelletto che aveva la disgrazia di passargli a tiro. Ma per me era “Buffalo Bill” in persona!!
Ottenuta l’autorizzazione da mia nonna di poter andare in giro con codesto signore, il quale molto gentilmente si era dimostrato disponibile ad avere nelle sue “battute di caccia” un cane a due gambe, il gioco era fatto. Notti un po’ insonni per ciò che mi aspettava al mattino, ma nessuna remora ad una alzata per me insolita all’alba e poi la grande avventura, durata ahimè solo pochi giorni ma che mi aveva per sempre contagiato!
Ma il paesino dove abitava la nonna aveva ancora qualcosa in serbo per la mia nascente passione: un paesano, non ricordo come l’ho conosciuto, un giorno mi disse di avere un capanno in muratura e che, con dei richiami appositamente addestrati al canto, si poteva cacciare, direi meglio sparare, a vari tipi di uccelli. Non mi feci sfuggire l’occasione e riuscii a farmi invitare nel capanno per una intera mattina, dove ho assistito, da una delle feritoie, all’arrivo dei malcapitati uccelli e alla loro tragica fine. Ma ciò che ne ricavai fu una immensa passione per tutto ciò che per me era CACCIA.
Ma si torna a Milano, si ricomincia a studiare, si entra al Liceo e di prati e boschi non se ne parla più. Purtroppo nel frattempo la nonna è morta e quindi neanche più passeggiate brianzole in quel di Imbersago né in altri luoghi ove boschi e prati la facciano da padroni. Ciò nonostante il mio pensiero ricorreva frequentemente a tutto ciò che era Caccia; avevo cominciato a leggere libri sull’argomento, seppure assai impegnato con i libri di scuola.
Finalmente mi avvicino al sedicesimo compleanno e, ottenuto il consenso da mia mamma, mi documento su tutto ciò che devo fare per ottenere la licenza di caccia: iscrizione al tiro a segno nazionale e relative prove di tiro, pagamento della relativa tassa per l’esercizio venatorio, fotografie ad hoc, infine il tutto consegnato alla stazione dei Carabinieri di Porta Venezia e quindi la febbrile attesa.
Era il 14 marzo e i carabinieri mi mandano a chiamare; figuriamoci l’emozione che ho provato durante il breve tragitto da casa mia alla stazione dei CC, e finalmente con le mani che tremavano come quelle di uno affetto dal morbo di Parkinson, tocco la mia prima licenza di caccia. Non ricordo bene ma credo che la tenessi sotto il cuscino durante la notte per essere certo che non stessi vivendo un sogno. Ma succede una cosa incredibile! Il giorno seguente verso le tre del pomeriggio suona il campanello di casa, mia mamma, prima di aprire chiede chi sia alla porta; risposta: Carabinieri! Allarmata non poco, apre la porta e si sente chiedere se Lorenzini Giovanni, ossia il sottoscritto, abitasse lì e se fosse in casa. Vi potete immaginare cosa pensa un genitore nel sentirsi fare quelle domande!! Ma la mamma, appena riacquistato un attimo di calma conferma che era casa mia, e che al momento ero assente ma soprattutto chiede ansiosamente cosa avessi combinato. Ed ecco la risposta: «Cara signora, non si preoccupi, suo figlio non ha fatto nulla, siamo noi che abbiamo commesso un grave errore: gli abbiamo rilasciato il porto di fucile per uso caccia il giorno 13 marzo senza accorgerci che il suo figliolo i sedici anni li compirà il giorno 17 marzo e quindi non può assolutamente essere in possesso di tale documento che siamo costretti a requisire. Dica a suo figlio Giovanni di tornare da noi fra tre giorni e glielo ridaremo.» Grande sospiro di sollievo da parte di mia madre e una piccola delusione da parte mia, quando tornai a casa, anche se tre giorni più o meno non avrebbero fatto tanta differenza. Infatti io non ero ancora a conoscenza che la caccia primaverile era ancora in atto in quel momento, pertanto ero mentalmente proiettato verso la prossima apertura che sarebbe stata nel seguente mese di agosto.
Certamente per andare a caccia mancava ancora qualcosa, non di scarsa importanza: il fucile! Ma la cosa non mi preoccupava più di tanto in quanto mia mamma mi aveva promesso che il fucile sarebbe stato il regalo per la promozione scolastica. Non mi rimaneva che attendere. Infatti, risolto il problema promozione andammo a comperare il benedetto schioppo. Calibro 12 ma canna unica; al momento ero felicissimo ma in seguito mi dovetti purtroppo ricredere perché un fucile di tale fatta non può essere adeguatamente pesante per poter sparare cartucce del cal 12 senza avere uno spaventoso rinculo. Licenza, fucile, ma per andare a caccia non ci voleva anche un cane?
Durante le vacanze, vado a trascorrere una ventina di giorni da mia zia a Genova; ovviamente tanto mare, spiaggia, nuoto, pesca dalla barca e tante altre belle amenità. Un tardo pomeriggio, mentre rientravo a casa della zia con i mie amici, incontro in corso Italia, magnifico viale che costeggia il mare, un signore che portava a spasso una bella pointer e il suo cucciolo, un pointerino bianco nero di una quarantina di giorni. Premesso che ogni volta che sfogliavo una rivista d’argomento venatorio, fra le immagini di cani che mi scorrevano sotto gli occhi, quelle che rappresentavano un pointer riscuotevano, più delle altre, la mia attenzione; ora trovarmi lì a contemplare questo cucciolo dal vero mi mandò in estasi. Chiedo se la mamma pointer va a caccia e mi sento rispondere che: sì, va a caccia ed è molto brava a starne come pure il padre del cucciolo, che io continuavo a contemplare e desiderare: «Ma quel pointerino lì è puro ed ha il pedigree?» chiedo ancora al cacciatore genovese: «Sì è un cane di razza, i suoi antenati sono tutti dei bravi e bei pointer ma purtroppo non tutti sono iscritti e così anche lui non ha documenti!» Mi preparo a fare l’ultima fatidica domanda: «Ma lei quello lì lo venderebbe?» Qualche incertezza nella voce, però mi risponde in modo affermativo.
A questo punto devo sapere tutto per poi pensare alla realizzazione del mio sogno: «E quanto vorrebbe?» Onestamente oggi non ricordo più quanto mi chiese, mi pare di ricordare cinquemila lire ma non ne sono poi tanto sicuro, ma non è importante; ciò che era a questo punto importante era convincere mia madre a tenere un altro cane in casa, dove da vari anni la faceva da padrona la mia Lea, una piccola toy-terrier, e problema di non trascurabile difficoltà: trovare i soldi! «Senta: io devo parlare con mia mamma, possiamo rivederci qui domani sera a quest’ora, così le dirò se posso fare l’acquisto del cagnolino!» Il mio interlocutore si mostrò molto disponibile e pertanto ci demmo appuntamento per la sera seguente allo stesso posto.
Convincere la mamma, rimasta vedova da non molto, papà ci aveva lasciati per sempre, di poter portare a casa un altro cane fu meno difficile del previsto. Infatti lei amava molto gli animali e probabilmente il pensiero di coccolarsi un cucciolo la entusiasmava quanto me! Tramite la zia ebbi la possibilità di avere i soldi necessari e così dopo una giornata che non finiva mai di passare, mi recai all’appuntamento con il padrone del pointerino che fu ben contento di cedermelo, forse anche perché vedeva i miei occhi sprizzare di gioia al solo pensiero che da lì a poco avrei potuto coccolare il mio cagnolino. Questo, come vi racconterò in seguito, è stato il cane più bravo, in senso assoluto, fra tutti quelli che ho avuto nel corso della mia vita venatoria.
Adesso avevo tutto: licenza, fucile e cane, mi mancava però completamente la conoscenza pratica della caccia, non avendo nessuno, come normalmente succede, che mi facesse da maestro, e l’aver letto attentamente libri e pubblicazioni di carattere venatorio non era sufficiente, mancava la pratica sul campo.
Inoltre allora non si doveva fare l’esame per poter avere la licenza e quindi anche questo era un punto a sfavore della conoscenza venatica; infatti ciò che io leggevo con tanta passione non erano le caratteristiche morfologiche degli uccelli o dei vari mammiferi possibili oggetto di caccia, ma leggevo principalmente racconti di battute di caccia dove una descrizione accurata della selvaggina era assolutamente assente.
Finalmente arriva l’agognato giorno dell’apertura e in compagnia dell’amico, Manlio, mio partner per le battute di pesca, a bordo della mia potentissima MV Agusta 125, ci dirigiamo verso le campagne a sud di Milano alla ricerca “praticamente di tutto ciò che volava” sparando rigorosamente da fermo. Proprio qui cominciano i guai: dopo dieci, dodici fucilate la mia gracile spalla cominciava a farmi vedere le stelle ad ogni colpo sparato, al punto di dover abbandonare, molto a malincuore, la nostra prima battuta di caccia. Ovviamente alla sera di quella giornata, un bel blu carico adornava la mia spalla destra, ma silenzio assoluto con mia madre per il timore di vedermi vietate altre giornate venatorie. Imperterrito, in ogni momento disponibile, non perdevo l’occasione di riprovarci ma riscuotendo comunque sempre lo stesso risultato, anche se mi ero fissato sulla spalla dolente, con del cerotto, una imbottitura di fortuna che mi consentiva di fare qualche fucilata in più prima di abbandonare, sempre più deluso, il terreno di caccia.
Dopo un mesetto di questo calvario, né era pensabile chiedere di avere un fucile diverso, un favoloso colpo di fortuna mi aiuta a risolvere il mio problema. Ogni tanto giocavo al Totocalcio, in società con la mamma, anche se i soldi per la schedina li metteva lei, ma la compilazione era di mia competenza. Succede che riesco a centrare un tredici di 316.000 LIRE!! A questo punto fu facile chiedere di potermi comperare, con una parte dei soldi della vincita, un nuovo fucile: questa volta una meravigliosa doppietta cani interni della Franchi. Sparare con questo fucile era tutta un’altra cosa; finalmente potevo cacciare, si fa per dire, un’intera giornata e sparare quanto volevo senza sentire quel maledetto rinculo che mi sfasciava la spalla. Oltre ai soliti uccelletti che costituivano il mio usuale carniere, un giorno durante una chiacchierata nel negozio dell’armaiolo che mi aveva venduto il fucile, sento parlare di allodole! Mi faccio spiegare come si deve fare per prendere questo uccello e così, dando fondo a tutti i miei risparmi, mi procuro una civetta finta, meccanica, che, però mi garantiscono, avrebbe fatto faville. Era novembre, il mese giusto per cacciare le allodole, così sempre con l’amico Manlio, la domenica seguente all’acquisto della civetta, ci rechiamo a Sud di Milano, verso Chiaravalle e, preparato un acconcio capanno con frasche raccolte presso una vicina “gabata” (filare di piante), ci mettiamo in fremente attesa delle decantate allodole. Dire che avevamo comperato anche un fischietto di richiamo e che gli davamo fiato, mi sembra inutile, non sapendo neanche che tipo di canto facessero le allodole. Ma dopo poco tempo avevamo cominciato a distinguerle dagli altri uccelli e, qualcuna che si era lasciata ingannare dalla nostra civetta ed era venuta a giocare sulla nostra testa, siamo anche riusciti ad impallinarla; sparavamo una volta per uno, avevamo un solo fucile, il mio. Cacciando o meglio, sparando e uccidendo le allodole, sentivamo di aver fatto un deciso salto di qualità! Ovviamente da quella domenica, ogni momento di tempo libero disponibile, per la verità molto poco, perché io andavo a scuola e il mio amico Manlio, più anziano di me di un paio d’anni, lavorava, veniva dedicato alle allodole, alle quali, avevamo capito, si poteva sparare anche alla borrita.
L’arrivo dell’inverno e di qualche nevicata sospesero la nostra attività venatoria, né ricordo se al sopraggiungere della primavera, la si sia ripresa; forse no: ormai il nostro obbiettivo erano diventate le allodole che, mi avevano detto, c’erano solo in autunno e quindi che fare?
Non perdevo, comunque nessuna occasione per parlare di caccia, di selvaggina e di cani ogni qualvolta mi trovavo con qualcuno come me appassionato cacciatore, magari con più esperienza di quanta ne avessi io, cosa abbastanza probabile. Fu proprio durante una di queste piacevoli conversazioni che il mio interlocutore, un anziano cacciatore, quando gli dissi che avevo in casa un cucciolone di pointer e che ovviamente volevo iniziarlo alla caccia, mi disse che verso aprile-maggio avrei potuto trovare in vendita delle quaglie di cattura e con quelle avrei potuto iniziare l’addestramento del cagnolino. Mi spiegò come avrei dovuto fare e così ricominciò la fervente attesa dell’arrivo delle quaglie. Finalmente qualche, interminabile, tempo dopo, sempre per informazioni raccolte qua e là, riesco a sapere che in via Larga c’è un negozio che vende uccelli di ogni tipo e qualità, quaglie di cattura comprese (le quaglie di allevamento, dette giapponesi, non esistevano ancora) gestito da un certo signor Grasselli. Una telefonata e ho la conferma che le quaglie ci sono. Il sabato seguente, perché dovevo aspettare che il mio amico Manlio non lavorasse, andiamo dal Grasselli, comperiamo due quaglie, e poi a tutta birra, a casa a prendere l’alunno, e quindi, in moto, con il cagnolino in braccio a Manlio, ci rechiamo verso l’Idroscalo dove, individuata una campagna di ampie dimensioni, decidiamo di dare inizio all’addestramento. Ne sapevamo ben poco sul da farsi per cui ci mettemmo tanto del nostro; alla luce dell’esperienza di oggi, devo dire che non commettemmo dei grossolani errori.
[continua]