Euforia del giorno eterno

di

Giovanni Tavcar


Giovanni Tavcar - Euforia del giorno eterno
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 92 - Euro 9,00
ISBN 978-88-6587-6688

Libro esaurito

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In copertina: «Spiral galaxy in universe» @dracozlat – Fotolia.com


Giovanni (Ivan) Tavcar è una singolare personalità poetica, che sarebbe più giusto definire un “poeta solitario”, lontano da qualsiasi corrente postmodernistica, ma anche staccato dai centri poetici che costituiscono l’area letteraria ufficiale.
La poesia significa per lui espressione del suo io più intimo, personale confessione del suo sentire, rifugio nel mondo spirituale davanti al frenetico e spesso incomprensibile ritmo della vita, alleggerimento dagli affanni e dai dilemmi quotidiani.
C’è poi ancora un’inconfondibile specificità che emana dai suoi versi: la sua personalità pienamente radicata nel più ampio spazio mitteleuropeo, sapendosi egli esprimere con eguale cognizione, finezza e acutezza sia nella lingua italiana, che in quella slovena e tedesca. I mezzi linguistici non rappresentano per lui nessun ostacolo; nella sua espressione poetica è importante solo la sensibilità del suo cuore e della sua anima.
La sua poesia è una continua rotazione intorno all’albero della parola, all’assaporamento dell’indicibile, che si rivela nello specchio della natura e della bellezza. Egli vede la responsabilità verso la parola, e perciò verso la poesia stessa, nella relazione intensa con la vita.
Dal suo complesso e profondo mondo interiore traspaiono una severa visione esistenziale e un intenso sentire poetico. Una poesia profondissima, impalpabile e nello stesso tempo molto forte, che scava nelle coscienze e fa sorgere interrogativi enormi, trascendentali, spesso irrisolvibili.
Il suo percorso poetico ha ormai una fisionomia a dir poco inconfondibile e pregnante: per la nitidezza del suo pensiero, per la gioia che dimostra nell’osservare quanto gli si agita intorno, per gli stati d’animo che lasciano il segno e che danno lo spunto per andare oltre l’immagine che egli offre.
Con versi brevi ed essenziali egli riesce a mettere in movimento rigeneranti abbandoni e smarrimenti, a tutto beneficio di un vibrare costante di note in crescendo e di subitanei ripiegamenti su se stesso.
La sua lirica non scivola tuttavia mai in freddo filosofare intellettuale, ma è costantemente impregnata di un forte sentimento, condito perfino da ardenti aneliti passionali, che sono però sempre controllati dall’acutezza del pensiero.


Prefazione

Giovanni Tavcar interpreta con struggente e scorato anelito l’eden perduto, tutta la sua tensione verso l’infinito sconosciuto, la trascendenza irraggiungibile che trascolora in una miriade d’immagini liriche intimistiche o naturalistiche, volte a raffigurare mirabilmente il vagare del poeta nello sconforto dell’impermanenza terrena e nella tristezza di un’impossibile certezza.
È Kronos, il dio crudele del tempo, a dominare la vita del mondo, quel dio che Esiodo nella sua Teogonia definisce il castratore, colui che amputa con il suo dominio ogni speranza di eternità.
E nei versi di Giovanni Tavcˇar, troveremo spesso questo inderogabile e assoluto tiranno: il tempo.
Questo non senso, accompagna i versi del poeta, in una foscoliana e disperante consapevolezza del buio oltre la siepe, e tuttavia con raggi di speranza universali che s’irradiano verso un paradiso miltoniano perduto.
È un continuo sentirsi scacciati dalla pienezza, un ininterrotto dialogo tra i propri ideali e la pochezza avara del mondo, che, anche se appare in tutta la sua bellezza, ha in sé le sembianze nascoste della morte.
I temi cari a Marcel Proust, le rimembranze, le fragranze, i colori del passato spingono Giovanni Tavcˇar in una rècherche che però smarrisce la meta.
Il senso del male del mondo, nella sua feroce efferatezza compare vivido, realistico, senza appello: in una considerazione sartriana, il poeta sa che nulla può cambiare destinicamente il dolore umano, né il male a cui si assiste quotidianamente.
Ciò che per i credenti è il peccato originale e per i laici la coscienza dell’esistenzialismo, diviene nel poeta paradossalmente l’elan vital che nell’intuizionismo di Bergson è all’origine dell’intera esistenza del cosmo.
Per il poeta Giovanni Tavcˇar è dal dolore che nasce questo grido catartico verso la vita, questo furor creativo artistico che maledice i numi impietosi, ma colma di bellezza la terra, il cielo, le creature.
E questo suo cantico, a tratti reca in sé quella pace e quella quiete atemporali, al di fuori del tempo e dello spazio, che gli danno ali poderose e selvagge per volare sopra il clangore delle armi, le tenebre della vita.
Così il poeta si raccoglie in un divino rifugio nel quale tutto può essere possibile, anche se cronologicamente precario e breve.
È in quei momenti di dolce tregua che il poeta s’illumina di eternità, e spera: spera nel miracolo, nella comprensione assoluta, nell’epifania definitiva e chiarissima, fino al ricomparire del reale.
Perché Kronos, il tempo feroce e implacabile, tutto ghermisce senza pietà, anche i rari attimi celesti che il poeta gli ruba come Prometeo, innalzando una fiaccola che però ha in sé il seme dell’immortale, un fuoco inestinguibile e soave: la poesia.

Alessandra Crabbia


Euforia del giorno eterno


Non mi resta che scavare
nelle profondità del mio essere
e modellare il canto
che mi porterà a sicura salvezza.


NON HO PIÙ TEMPO

Non ho più tempo alcuno
per decifrare gli aridi messaggi
che il tempo mi pone davanti
con apatica indifferenza.

Ora vivo una stagione onerosa,
cosparsa di fardelli e di fughe,
intrisa di tremuli tentennamenti,
contrassegnata da vuote armonie.

Prego gli angeli della speranza
che mi mandino raggi di luce,
perché anche il dolore ha un senso,
anche l’inquietudine è matrice di vita.


PERDONATE

Perdonate se la mia parola
non sa favoleggiare
di roveti ardenti,
di canti purissimi e armoniosi,
di polle e di sorgive,
di petali vellutati e odorosi,
di sogni consolanti,
di semine di stelle,
di francescane trasparenze marine,
di giacinti ondeggianti,
di grovigli pulsanti di luce,
di bianchi risvegli,
di voluttuosi rivoli d’amore,
di richiami echeggianti,
di iridescenti e spumeggianti cascate,
di favolose isole dorate.

Perdonate se la mia parola
è così povera, scarna e scialba.


TALVOLTA

Talvolta
anche il cielo è desolato
e vuoto.

Una luce addolorata
e triste
lo avvolge con balenii
di forme
disuguali e sofferte.

Un’ansia serpeggia
nelle sue fibre stupite.

Un’ansia
di amare sconfitte,
di sortilegi oscuri,
di giorni corrosi.

Anche il cielo corre,
talvolta,
senza scie di luce,
nel vuoto abbraccio
di un’ombra
risucchiante e densa.


OH, LE PAROLE

Oh, le parole…

Per quanto belle,
importanti,
poeticamente illuminanti,
incominciano
prima o poi, lentamente,
a sbiadire,
a dolorosamente svanire,
per poi
definitivamente sparire.

Restano
nel profondo del cuore
solo le parole non dette,
mai pronunciate,
mai svelate.

Esse continuano
a essere alimentate
dalla musica delle aurore
e delle fresche rugiade,
dal tintinnare degli astri,
dalle orbite
dei frammenti solari.

Esse mi salveranno
dai vortici
delle angosciose sterilità.


MA FORSE È TARDI

Ma forse è tardi.

La ruota della vita
ha preso a girare troppo in fretta.

Non riesco più a starle dietro.

Ogni certezza
viene subito ridotta in frantumi.

Tutto si complica,
tira aria di tempesta
e il buio, ambiguo, s’addensa.

Le strade non hanno più orizzonti,
tartassate da lampi di acida nevrosi.

C’è poco tempo
per riuscire a parlare con l’aldilà.

Ma forse è tardi.


LA VITA ENTRA ED ESCE

Sono veramente
quello che vorrei essere
o mi diverto
solo a sembrare tale?

Imitare la libertà
mi confonde enormemente,
come chi legge
fantasiose storie inventate.

Nell’anima l’autunno
s’adagia in macchie rossicce,
illuminate da un sole
debole e malatticcio.

Nel labirinto consunto
la vita entra ed esce,
senza avere più nulla da dire.

Dai numeri tento di capire
le possibili coincidenze,
prima che il giorno declini.


CIECA VIOLENZA

Viviamo
in una tempesta di cieca violenza
che ci lascia attoniti e sgomenti.

Violenza
che ha come scopo dichiarato
di cancellare il mondo
e la sua cultura
con una ferocia che ci lascia smarriti.

A vedere
certe abominevoli scene
come non sentirsi spinti a odiare
a nostra volta
e a progettare disegni
di vendetta e di morte?

Ma la nostra salvezza
sta nel credere alla vita,
nel godere delle bellezze della natura,
nel rimanere incantati
davanti a un’alba o un tramonto,
nell’ascoltare il suono del vento
nel silenzio del bosco.

Solo così ci salveremo dalla distruzione,
dalla tentazione alla violenza,
dalla logica della morte.


E NOI?

Inutile aspettare,
il treno previsto non arriverà mai.

Nessuno più giungerà
lungo i binari scavezzati,
nessuno più attraverserà
i ponti scassati.

Le strade rimarranno vuote,
le piazze deserte.

E noi?

Degli alberi senza radici,
senza speranza di rigenerazione.


STANCHEZZA

Mentre la pioggia scorre
con ventate di tristezza,
l’anima mia si tinge
di un’opprimente stanchezza.

La stanchezza
degli squilli dissolventi,
delle travagliate atmosfere,
delle tragiche realtà.

La cella della mia solitudine
risuona di accenti lamentosi,
orfani di speranze.

Il cielo tuona
nel suo grigio isolamento
e scolpisce il vuoto
dei miei scoloriti sentimenti.


TURBAMENTO

Combattere
il feroce drago del desiderio
è un’impresa faticosa
e non sempre vittoriosa.

A volte però
dal desiderio nasce
un ordine nuovo,
dall’amarezza salgono
cose buone,
dalla debolezza emergono
impreviste vittorie.

La nostalgia
del tempo perduto
mi rode comunque
con turbamento incandescente.

[continua]


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