Lampedusa
Luce amara nel vento d’oriente
All’altra nuda sponda un passo breve
porta la fronda verde franta anzi tempo
Fardelli di sale arrivano come rena
dai confini del mondo nella notte gelida
priva di memorie
a cercare compagni di pianto
a raccontare fame e tempesta e fiabe di silenzio
alle rive nebulose di un ingannato orizzonte
Sfoglia ritmico il mare corpi passati
Sciabordio di fame inquieta l’onda
All’altra nuda sponda un passo breve
porta la fronda verde franta anzi tempo
Hanno perduto occhi d’argento
le ragazze dai cespugli neri
sfumano nell’aria asfittica focolari
e sorsi di sollievo
Se ne va nel vento del presente
l’armonia di una vita vissuta appena
come nuvola d’estate che passa e impallidisce
prima di farsi azzurra
L’illusione fende il mare e porta nel lontano cielo
con l’eco della paura i disegni del pianto
Non ci sono nazareni nel mare della notte
nessuno sente più la voce delle stelle
canta il corvo litanie sulla punta del faro
che osserva foglie e piume
arrendersi al vento del mare
Fiori di mezzaluna persi nel lungo sonno
tra buia solitudine accanto al nulla
sotto la grande madre ogni giorno più greve
Il ricordo non ammaina la vela
ma porta via l’onda e cancella
musica e cristalli
Sparge la luna d’argento a rischiarare il fondo
spine e chiodi neri
Si ritrova nel poi dopo la sorte
l’infausta conseguenza di un faticoso vivere
Nessuno sente più la voce delle stelle
luci spente sul fondo dove non arrivano sogni
dove c’è solo notte
Sfoglia ritmico il mare cadaveri passati
Non piangono croci né cipressi
là in fondo al limitare delle attese e del pianto
Pietà nell’argento di luna
più non risponde il sole
niente fiori né amici né suono di campane
ma buia solitudine accanto al nulla
Sotto la grande madre ogni giorno più greve
Dietro i cancelli del porto c’è una città che soffre
dentro i suoi partoriti labirinti di pena
La vita rientra nel suo mare
e la pietosa terra aspetta un seme
da cui non nasce un fiore
Vagano senza volto perduti nell’aria e nel sale
i singhiozzi del vento
Lampedusa, ottobre 2013
(Tratta da “L’armonia del silenzio” ed. Leonida, Reggio Calabria)
I sassi verdi delle mie colline
Voglio varcare questi muri neri
dove crescono cespugli di cemento
non respirare polvere
d’illusioni sgualcite
tornare dove non si ascolta il pianto
dove c’è musica di bosco
tra i sassi verdi delle mie colline
dove ginepro e tortora
covano tra i rovi
dove la fonte apre le braccia
e lo sciacquio nasconde
spigoli di silenzio
dove anche il male è dolce
dove la solitudine si consola
nel verde e nel giallo delle ginestre
dove si sente il profumo del mondo
dove il vento salmastro del mare
accarezza i fianchi della mia collina
e porta messaggi e promesse
dove il soffio verde di collina
rende effervescente il mio passare
tra luci fontane
e intimi occhi di cielo
collegati con le stelle
voglio slegare i sogni
sotto lenzuola bianche
rose calde attendono l’autunno
Catania, gennaio 2012
Senza nome
Orizzonte nascosto
osserva da lontano
la fuga inesistente
da un faticoso vivere
Dietro persiane chiuse
si guarda il tempo
e si può piangere
Firenze, aprile 2016
Potendo
Voglio fermare i miei passi
nella valle buona
dove il cielo è retto
dove le zolle attendono
commozione di nuvole
Voglio lasciare le scarpe
laddove si seminano i sogni
si scrivono prodigi
e si attendono certezze
Voglio riposare i miei fianchi
sulla sabbia calda
dell’io bambino
nell’azoto del tempo mio
Voglio avere occhi presenti
per leggere le pagine del vento
per rivedere l’acqua linda
dove anche l’ombra si specchia
Voglio andare oltre orizzonte
a rintracciare nella terra amica
l’albero di casa mia
Mascali, maggio 2014
Lamento d’estate
Crepitio sepolcrale di fuoco
spegne brusio di pensieri
insieme a verde voli canti
e al vivo delle tane.
Porta l’eco del vento
la paura nel bosco
Gelo di pianto
fonde luce e tenebra
Volute di fumo vanno verso il cielo
a portare messaggi agli Dei
al paradiso degli alberi
a raccontare il massacro dei sogni
e i ricordi di un tempo
Vedo dall’argine presenze morte
nell’acqua emorragia di linfa cupa
pallide ninfe piangenti sfollano il bosco
Soffocate chimere giacciono senza risposte
nel greto del fiume inquinato
da domande angosciate
e da risposte inutili.
Nell’alba rovente trabocchi di pianto
si mescolano al fumo delle cose spente
insieme al tramonto del sogno dei fiori
Non più lacrime di rugiada
dal muschio dall’erba verde
e dal germoglio che parte
ma dolore incandescente
della linfa del sangue e delle piume
La cenere non dà speranza
ma sotterra domani
Restano nel seno del bosco
speranze coperte da cielo scuro
D’intorno nell’aria eco di pensieri
sperduti in una nebbia di cenere
chiusi nel grande silenzio
corrono senza posa
Cadaveri senza volto
uccidono lo spirito
e seppelliscono le attese
Nel pianto dell’intorno
si confonde l’angoscia del vento
coi fitti clamori muti
di tante vite spente
Il cielo nasconde la sua pena
sotto nuvole nere
la fragranza precipita nell’ombra
il sole che si leva è già vecchio
Non c’e canto di roccia
non sorride la luce del giorno
Sul castagno lontano
il fringuello non canta
Vesuvio, agosto 2017
Carretto siciliano
Carretto sgangherato
umile avanzo di stenti
fatica nelle sponde
grovigli di sudore
nei disegni del sole
stai scolorito
abbandonato
nel selciato roso
da miliardi di zoccoli
e chiodi e ruote
appoggiato nell’angolo
rughe tarli e polvere
una vita scordata
strada senza ritorno.
Da te silenzioso
come effluvi
escono rumori:
ritmo di zoccoli
violini di ruote
canti rotondi
dell’uomo a cassetta
che maltratta il cavallo.
Col tuo sangue di legno
scrivi la storia
di un’isola triste.
Filosofia di un inganno
Il freddo destino
sommerge nel tempo
il diario dei giorni
ed attende paziente
la barca che affonda
nell’ultimo abisso.
Hai patito il viaggio
di tutta una vita
per scoprire l’inganno.
Il buio
L’architetto della notte
scese nella stanza
e accarezzò la tunica
del giorno sconosciuto.
Ritorno al paese
Torno stasera
nello spazio presente
a rivedere
cose dimenticate.
Crepuscolo
di un giorno triste
sotto muri di cielo
la valle canta
rivoli di letizia
e fiumi di malinconia.
Oltre confine
Porta il vento l’idillio
oltre confine
immagini nel fondo
sassi rotondi
foglie
passi sgualciti
solitudine.
Rompe l’estasi
il cammino che muore.