In copertina fotografia di Elisa Lirussi
Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’opera è finalista nel concorso letterario Jacques Prévert 2013
PREFAZIONE
Perché la poesia dà piacere? Perché è confessione di follia…
La poesia riesce a dire l’ineffabile, tocca le corde più profonde ma è inafferrabile, vola via libera, sospesa tra gli opposti. È un ossimoro – appunto, lucida pazzia – è duale, ambivalente, fa parlare l’animus e l’anima, costantemente in bilico tra equilibrio e disequilibrio: si serve del linguaggio, prodotto fondamentale della razionalità umana, per leggere e tradurre ogni cosa in espressione artistica dando voce a quegli strumenti di conoscenza che eludono la ragione stessa, ovvero l’intuizione, l’emozione, la sensazione…
La poesia usa le regole per contraddirle, è libertà.
E qui Ilaria è una giovane anima che utilizza ciò che ha appreso con l’intelletto e con la frequentazione delle opere del passato – lo si avverte dagli echi letterari e dall’uso delle tecniche retoriche – per esprimere libertà ed istinto.
La sua “opera prima” pare un viaggio in un labirinto di visioni ipnotiche di fiaba e incubi grotteschi da film horror, fra sapori, odori, suoni, colori che si materializzano vividi davanti agli occhi dell’immaginazione, fin dalla prima lettura.
E viene voglia di dipingerli quei versi, di farne musica, un teatro a 3D di analogie e sinestesie che si intersecano in una festa di impressioni e stimoli…
Sono mille le immagini che rimangono incise nella mente del lettore: da quelle allusive e surreali (i fiori gialli profumati di leggerezza macinati dalle zampe di un pachiderma in Sotto un elefante) a quelle più narrative ed epiche (i popoli mediorientali senza patria alla ricerca della libertà di In fuga); dalle occasioni quotidiane (la delusione di una amicizia tradita, che ha la vena malinconica del tempo che tutto consuma in Buchi neri) alla riflessione sui grandi temi dell’esistenza, filo sottile che percorre sotterraneo ogni testo – ovunque infatti aleggia lo spettro della morte sotto forma, spesso, di un angelo nero – ma che talvolta viene a galla palesemente, come nel caso del lapidario finale di Un posto prenotato: “…l’opposto della morte è il desiderio / l’opposto della vita è l’eternità / tanto c’è un posto che ci attende dentro ogni attimo / un posto, dove nessuno ci attende”.
Altre volte è la vita contemporanea a far da protagonista, il mondo dell’immagine, della tecnologia e della plastica, con le sue ossessioni: cellulare, celluloide, cellulite… (mi permetto di divertirmi anch’io giocando con la paronomasia, come fa efficacemente l’autrice in China dolls, per descrivere con sonorità futuristiche certi ambienti finti di oggi, in cui il look è tutto). E ancora mi piace ricordare – più o meno sulla stessa tematica, o comunque sull’impossibilità di comunicare nel mondo della superficialità odierna – l’atmosfera vacua del locale notturno in Visione lunare: quel che rimane di un luogo che in un primo tempo appariva carico di promesse – antiche come cattedrali gotiche, sogni costruiti su un possibile “amore di lontano” – è ora uno spazio diafano, che è insieme vuoto interiore, un silenzio riempito soltanto dai ticchettii delle unghie frivole sulle tastiere e dai ronzii degli stessi telefonini…
Ilaria Abbo affronta anche temi scomodi e apparentemente poco lirici, come quello della malattia mentale in Fosca e in La Bella e la Bestia, dove la belva pare piuttosto un serial killer, che seziona la sua vittima tra sguardi inespressivi di bambole, che sono le sue colpe, la sua follia… Ma parla anche, semplicemente, di passione, in Fatalità elettiva, in cui un incontro amoroso è un turbinio di immagini potenti e trasudanti energia colorata e roboante. E, per finire, vorrei soffermarmi su Ombre: la magia di un appuntamento sulla banchina di un porto fra due giovani vite – lei, vestito rosso e lunghe gambe bianche… al contatto, “i granchi del desiderio salgono sopra gli scogli”… – acquista eleganza, leggerezza e profondità proprio perché descritta dal punto di vista di un vecchio pescatore stanco, che non ha perso però la voglia di nutrirsi della linfa preziosa di quelle istantanee di vita.
Bello vedere che i ragazzi non sono solo Facebook e banalità e che l’amore per i libri e le suggestioni letterarie – qui evidenti nei frequenti richiami testuali, mai gratuiti o sterilmente esibiti ma senza dubbio sentiti ed interiorizzati – costituiscono l’impulso a liberare la creatività, sono cioè ingrediente primario, ma non unico, della ricetta che conduce all’espressione della propria cifra personale.
Felice esordio poetico, quello della mia cara allieva! Mai avrei immaginato – dietro tanta riservatezza, precisione, serietà – una tale fantasia la cui ricchezza barocca appare tuttavia disciplinata da un certo gusto per l’equilibrio che viene da lontano, dall’“armonia che vince di mille secoli il silenzio” (visto che ami le citazioni, Ilaria…). Grazie per questa sorpresa!
Ines Aliprandi