Pierrot era un ragazzo che in passato aveva molto sofferto. Quando era ancora bambino aveva perso entrambi i genitori. Era un bel giovanotto con gli occhi chiari, i capelli neri brizzolati e un viso rotondo come quello di suo padre. A Pierrot piaceva vestirsi con jeans e una maglia di lana beige fatta da sua madre.
Al contrario dei ragazzi della sua età, Pierrot era coscienzioso, senza grilli per la testa, come si usa dire per una persona che sa affrontare con estrema risoluzione ciò che capita nella vita.
Ora vive da sua zia Elena che è molto severa, forte di carattere e meticolosa nello svolgere il suo lavoro quotidiano.
Dopo la morte del marito Franco, lei aveva trovato un lavoro stabile come badante presso una persona bisognosa, non lontano dallo stabile in cui abitava. Inoltre, s’impegnava a stirare anche la biancheria della sua vicina di casa Pia per arrotondare il suo salario perché non era così cospicuo da permetterle di arrivare agevolmente a fine mese. Per sua fortuna, Elena aveva potuto comprare, quando era ancora sposata, un discreto appartamento di tre locali a Nemi, un piccolo paese sul lago vicino a Roma.
Prima di morire, sua sorella Caterina le aveva detto con un filo di voce:
“Ti affido il mio caro figlio Pierrot… desidero che tu ne abbia cura, mi raccomando!”
“Sì, te lo prometto!”, aveva risposto Elena, afflitta.
Poi Caterina le disse:
“Sai, è un bravo figliolo, ma ha ancora bisogno d’essere seguito per arrivare a una certa maturità quindi cerca d’essere un’amabile madre per lui… inteso?”
“Non ho molto esperienza in merito, tuttavia farò il possibile affinché egli abbia le stesse premure che gli avresti offerto tu… te lo assicuro!”, rispose delicatamente Elena.
“Grazie… grazie e che Dio ti benedica!”, sospiro amorevolmente Caterina.
Qualche istante dopo, chiudendo lentamente gli occhi, Caterina spirò.
Elena, che era rimasta senza figli, dopo la promessa fatta a sua sorella, il giorno stesso andò a prendere il nipote e gli disse:
“Tua madre è morta per un tumore al seno. D’ora in poi verrai a vivere con me!”
“Va bene zia” rispose piangendo amaramente Pierrot.
Elena fu felice d’accoglierlo anche perché, poco tempo prima, aveva perso anche suo padre Salvatore.
Il giorno dopo ci furono i funerali, senza fiori sulla bara, per espresso desiderio di Caterina, che aveva deciso di dare in beneficenza questa consueta spesa. Seguendo la messa in chiesa, Pierrot piangeva insieme a sua zia che cercava di consolarlo. Dopo la funzione funebre, con la presenza solo di amici intimi, andarono a casa. Nel frattempo, Pierrot aveva pensato che sarebbe andato spesso al cimitero per pregare sul modesto loculo di sua madre proprio accanto a quello del marito Gianni come lei aveva chiesto.
Siccome Pierrot era figlio unico, aveva ereditato tutto il patrimonio lasciato dai suoi genitori per un ammontare di circa 78.000.000 di Lire, che con l’aiuto di sua zia, depositò su un libretto postale intestato ad entrambi.
Nei giorni seguenti, nel cuore di Pierrot s’era insinuata una forte malinconia perché, logicamente, aveva ricevuto minori attenzioni dalla zia, a differenza di sua madre Caterina che era piuttosto comprensiva, al contrario, sua zia Elena faceva fatica ad esprimere i suoi sentimenti. Mentre passavano i giorni, Elena cercava d’addolcirsi nei confronti del nipote che, a suo dire, considerava come suo figlio. Lei desiderava educare il nipote nel miglior modo possibile, perché non voleva che Pierrot incontrasse delle difficoltà per inserirsi nel mondo e pensava che toccasse a lei impegnarsi per offrirgli tutto ciò.
Da parte sua, Pierrot non vedeva, in sua zia, la figura di sua madre e, spesso, entrava in conflitto con lei, nonostante il fatto che lui rispettasse le sue idee anche perché al mondo non aveva nessuno a parte il suo compagno di classe Giorgio.
Così, un giorno di pioggia, mentre passeggiava nel viale vicino a casa, si accorse di un gattino grigio che miagolava. Aveva dei baffi pronunciati e delle piccole orecchie. Anche lui era orfano e così lo accolse tra le sue braccia perché pensava potesse essere un modo per ritrovare un senso di felicità.
Pierrot non dimenticava mai di recitare le sue preghiere, soprattutto la sera, prima di coricarsi poiché pensava a sua madre che le chiedeva, ogni tanto, sotto voce, d’aver pazienza. Lui sentiva una devozione particolare per la Santissima Maria, perché sentiva che, tramite lei, assimilava la tenerezza di sua mamma. Questo raccoglimento gli ricordava l’affettuosità dei suoi genitori quando era ancora piccolo.
Era un ragazzo molto sveglio ma, per farcela, capiva che doveva fare delle scelte da solo, e la sua voce interiore gli comunicava d’essere pronto ad accogliere ogni felicità, mentre quel presentimento gli diceva che era la sola via da seguire.
Quando raggiunse la porta d’ingresso dell’appartamento, la zia stava innaffiando i suoi gerani. Quando entrò, vide il gattino tremante tra le mani di Pierrot ed esclamò:
“Dove hai preso questa bestiola? Sai che non posso sfamare un’altra bocca per cui ti suggerisco di portarlo dove l’hai trovato?”
Pierrot, indignato e rattristato dal suo tono di voce, ci pensò un attimo e poi annuì:
“Senza di lui, non posso essere felice!”
Elena replicò:
“Cosa ne sai della felicità, tu che non sai fare altro che giocare, farmi dei dispetti e sei arzillo solo quando ti preparo da mangiare!”
A questo punto, Pierrot le rispose:
“Non sono i regali che mi fai la vera felicità, bensì il tuo affetto che mi manca!”
Elena tacque perché lui aveva colpito il suo lato debole. Lei faceva del suo meglio per attirare l’attenzione e l’affetto di suo nipote ma, nella sua mente, rimaneva sempre forte l’immagine di suo marito Franco. In verità, faceva fatica a vedere in Pierrot e lei, l’immagine di una famiglia. Con il passare del tempo, Elena s’adoperava per rimediare a tutto ciò anche se capiva sempre più i suoi sbagli come madre adottiva. Così mentre passavano i mesi, lei accarezzava sempre più volentieri la testa di suo nipote, anche se lui faceva ben poco per ricambiare queste attenzioni. Piuttosto si consolava accarezzando il suo gattino Micio che spesso faceva le fusa e Pierrot sorrideva perché vedeva in lui la dolcezza di sua madre. Alla zia, tutto ciò, procurava rancore perché il gattino Micio scombussolava la casa infatti non stava mai fermo e, poi, dormiva poco. Malgrado ciò i diverbi fra loro s’attenuavano ma la situazione rimaneva la stessa, ossia entrambi rimanevano chiusi gelosamente nell’amore proprio e ciò non migliorava le cose.
Il tempo passava velocemente, Pierrot ora aveva dodici anni, mentre la zia, con i suoi trentacinque anni, era ancora una donna attraente, anche se, nessun uomo era entrato nel suo cuore per condividere con lei l’esistenza. Infatti Elena teneva stretti i magnifici ricordi dei momenti passati insieme a suo marito.
Un giorno di primavera, mentre si recava di buon mattino in chiesa, Pierrot accompagnato da sua zia, s’accorse della presenza di Francesca. Lui l’aveva vista nella sua scuola al piano superiore, ma non l’aveva notata particolarmente perché, sovente, era raccolto e chiuso in se stesso.
Quel giorno Francesca era splendida e raggiante, portava un foulard di seta color rosa, una gonna a pois e una camicetta anch’essa rosa che le donava molto con i suoi capelli color del grano insieme ai suoi piccoli occhi celesti. Lei era accompagnata dal padre Giuseppe che aveva l’apparenza di un uomo benestante perché osservava tutto con aria indifferente. Pierrot era troppo occupato a guardare Francesca, per cui non s’accorse che il padre le teneva la mano sinistra. Nei suoi pensieri spuntò la voglia di avere un’amica particolare. Mentre la guardava, Pierrot si era dimenticato d’essere orfano e, in lei, vedeva tanta grazia femminile. Qualche attimo dopo, Pierrot si fece coraggio e le disse:
“Non ti avevo mai notata in questo modo, forse è l’aria primaverile che ti fa sorridere?”
“Non è l’aria primaverile che mi fa contenta, ma il modo in cui sai esprimerti con gentilezza!”
In quello stesso momento, Pierrot arrossì e non sapeva più cosa dire perché, fino ad allora, non aveva mai ricevuto un complimento così cordiale, ma, dopo aver riflettuto, le disse ancora:
“Quasi tutti i ragazzi mi dicono che sono antipatico perché, talvolta, sono chiuso in me stesso, ma tu mi trovi simpatico, come mai?”
“A me piaci, perché sei come sei, senza darti arie come tanti giovanotti e questo mi piace” gli rispose Francesca.
Da quel momento, Pierrot sapeva che poteva vincere la sua timidezza e, forse, anche ottenere le attenzioni di sua zia perché adesso quel denso calore avvertito gli aveva cancellato tutta l’ipocrisia provata e quindi chiese a Francesca:
“Ti posso accompagnare in chiesa?”
“No! Mio padre è di sangue nobile e quindi frequenta persone per bene al contrario di voi che siete, come dire… gente primitiva” replicò decisamente lei.
“Ma io ti difenderò da tutte le invidie altrui!” esclamò orgoglioso Pierrot.
Poi la bacio per conquistare il suo cuore.
“Questo finora non lo aveva mai fatto nessuno sicché ti concedo l’opportunità di sedermi accanto in chiesa” rispose, sorpresa, Francesca.
Ascoltando quelle parole, Elena intervenne e disse:
“Che faccia hanno i ragazzi d’oggi, io mi ricordo che, ai miei tempi, non si poteva salutare un ragazzo senza essere compromessa!”
Il padre di Francesca replicò:
“Vede, gentile signora, mia figlia voleva solamente essere cordiale con suo nipote, ma io non le acconsento di più a causa del nostro rango che è superiore al suo.”
Costernata, Elena rispose:
“Come può conoscermi, proprio lei che cerca sempre d’evitarmi?”
“Ho un ottimo rapporto con la sua amica Pia, ma per quello che mi riguarda lei ha una misera cultura” replicò lui con un tono secco.
“Se la pensa in questo modo, non vedo perché mio nipote deve sedersi accanto a sua figlia” replicò Elena, infastidita per la mancanza di rispetto.
“Sono ragazzi e anch’io da giovane facevo qualche gaffes” aggiunse Giuseppe.
“Se le faceva lei, non vedo perché Pierrot la deve imitare” replicò seccamente Elena.
“A questo punto, la devo salutare cara signora, le campane suonano e devo andare al mio solito posto accanto a persone meno rozze” sentenziò, innervosito, Giuseppe.
“Anch’io devo prendere il mio posto e avrò sicuramente qualcosa su cui riflettere per non perdere la pazienza” rispose Elena.
Dopo questo colloquio Pierrot prese posto accanto a sua zia e Francesca si sedette vicino a suo padre.
Quel giorno, Pierrot ascoltò distrattamente l’omelia dell’anziano prete Don Nicola perché era troppo intento a guardare Francesca e, per la prima volta, si sentiva innamorato. Pensava anche a sua zia che, dopo il diverbio con Giuseppe, sentiva meno antipatica perché ora sapeva che poteva contare su di lei che voleva difenderlo ed ora ne aveva avuto la prova. Per cui, piano piano, in cuore suo cresceva il dono dell’amore e pensava già d’ammettere d’aver rubato qualche caramelle a sua zia che, nonostante un rimprovero, lo avrebbe certamente perdonato.
Quella domenica il sermone parlava della beatitudine e quando senti dire da Don Nicola: “Beati i poveri perché di essi è il Regno dei cieli…”, Pierrot sussultò di gioia perché capì che non è la ricchezza bensì la semplicità del cuore la vera salvezza dell’uomo.
Sua zia, talvolta, era un po’ avara ma agiva così per il bene di suo nipote perché sapeva perfettamente cosa voleva dire far fatica per guadagnare un pezzo di pane anche perché la sua retribuzione non aumentava secondo il carovita. In sogno si vedeva vestita elegantemente con un tailleur di Versace e questo, anche se era solo un vagheggiamento, la rendeva ugualmente contenta.
Elena era molto soddisfatta del suo lavoro perché, grazie al suo ottimismo, riusciva ad accontentarsi con le cose semplici e poi godeva di buona salute. Ogni tanto si comprava un paio di scarpe o un vestito nuovo, ma quello che l’appagava di più era poter esaudire le esigenze di suo nipote e riuscire a comprare qualche vestito per lui che, più passava il tempo, più assomigliava ad un bel giovane grazie al suo fisico slanciato.
Quello che dava più fastidio ad Elena, era il gattino Micio perché, ogni volta che tornava a casa, trovava l’appartamento in disordine e i suoi bisogni sparsi un po’ dappertutto, e così s’arrabbiava ma non s’infuriava più di tanto per dare una giusta educazione a Pierrot.
Un giorno capitò che trovò il gattino disteso sul suo letto, lo prese per il collo e lo portò fuori della porta di casa nella speranza di non vederlo mai più.
“Povero Micio, cosa ti hanno fatto?” pensò Pierrot al ritorno da una passeggiata tra le vie di Nemi. In quel momento voleva dire a sua zia: “Come hai osato mettere Micio fuori dalla porta?” ma, per rispetto nei suoi confronti, le disse:
“Zia, perché hai messo Micio fuori, cosa ti ha fatto di male?”
Elena rispose:
“La prossima volta che fa pipi sul mio letto l’ammazzo!”
“Non farlo zia! Ho bisogno di lui per farmi compagnia, inoltre, finché non sarò grande, Micio resterà con me. Per cui ti prometto d’abituarlo affinché faccia i suoi bisogni su questo lettino di ghiaia che ho preparato appositamente per lui.”
“Va bene… va bene! Ora spero che ci siamo capiti, nondimeno mi è difficile accettare una bestiola come il tuo gatto e tu lo sai, non è vero?” disse Elena persuasa da quelle parole.
“Sì… sì zia, ti prometto d’essere più attento e se, per caso, non lo faccio, ti do il permesso di sculacciarmi.”
A queste parole Elena s’intenerì e gli rispose:
“Ho capito… adesso che stai diventando un signorino vuoi la mia comprensione oltre al mio affetto!”
“Sì zia… è proprio così” annuì Pierrot.
Da quel giorno, Pierrot si accorse che, nel suo cuore, poteva coabitare sia l’affetto che la cordialità nei confronti di sua zia, ma non era ancora un amore profondo, perché non vedeva ancora in lei, le dolci attenzioni di sua madre.
Pierrot vedeva spesso Francesca a scuola e, quando usciva, la guardava con i suoi teneri occhi e desiderava che anche lei lo notasse, ma lei aveva una cotta per Vittorio, un ragazzo di un anno più grande di lei, che la trovava carina e poi, in lei c’era sempre la voglia di preservare la sua posizione sociale come le aveva insegnato suo padre. Tuttavia, malgrado ciò, un giorno accettò di uscire con Pierrot che provava per lei un’amorevolezza senza eguali.
Il giorno dopo, Pierrot si vestì di tutto punto e mise, per la prima volta, un papillon rosso, una camicia blu chiara, un maglione di colore marrone chiaro e un pantalone di velluto beige per far colpo sul suo primo amore o almeno così credeva.
Come sempre, Francesca era stupenda. Il suo viso sembrava bellissimo agli occhi di Pierrot e il suo corpo snello gli pareva quello di una fata.
Un giorno ai primi di maggio avevano deciso di fare un pic-nic quindi, di nascosto, Pierrot aveva preso la cesta di paglia di sua zia per depositare saporiti panini al prosciutto e una bottiglia di Coca Cola. Per l’occasione, Pierrot aveva spaccato il suo salvadanaio e contato fino all’ultima lira, per vedere se poteva acquistare il necessario per far bella figura di fronte a Francesca. Sua zia gli dava solo 2.000 Lire alla settimana come paghetta, quindi doveva attendere il momento propizio per far colpo sulla sua innamorata. Si erano dati appuntamento sotto una vecchia quercia che entrambi conoscevano bene perché il sinuoso sentiero per andare a scuola passava da lì. Pierrot non aveva informato sua zia di questa scappatella perché sicuramente lei avrebbe proibito questo incontro dopo il diverbio avuto con Giuseppe, il padre di Francesca.
Alle quindici in punto, Pierrot si presentò all’appuntamento. In mano aveva un piccolo mazzo di violette, raccolte lungo il sentiero che lo potava alla sua beata o almeno così s’immaginava. Quando la vedi le disse:
“Come stai? È già da venti minuti che t’aspetto, non ti ricordavi del nostro appuntamento?”
“Sto bene, ma ho dovuto raccontare una bugia a mio padre per uscire con te!”
“Ah… io ho fatto tutto di nascosto!” rispose, un po’ meno euforico, Pierrot.
“Come mai?” chiese Francesca.
“Sai, è difficile essere leale dinanzi alla proposta che ti ho fatto soprattutto alla mia età perché talvolta costa essere onesto senza essere sgridato, mi capisci? Ora che ho chiarito questo discorso credo che possiamo andare, conosco un posto che spero sarà di tuo gradimento.”
Pierrot aveva in mente un prato vicino ad un bosco di betulle a qualche centinaio di metri dalla famosa quercia.
Arrivati nel luogo prescelto si distesero su una tovaglia di rose che lui aveva preso da sua zia in un cassetto, poi tirò fuori due bicchieri di plastica con la bottiglia di Coca Cola, i quattro panini e altrettanti tramezzini che aveva preparato in segreto per risparmiare.
Dopo essersi sdraiata, Francesca gli disse:
“Che posto meraviglioso. Si vedono il lago e le colline tutto intorno. Quando hai scoperto questo posto?”
“Un giorno che ero disorientato e, da allora, vengo qui a meditare perché mia madre mi manca moltissimo. Tu non sai quanto sei fortunata ad avere ancora entrambi i genitori?” rispose subito Pierrot.
“Beh… è vero, ma è anche importante essere benestanti!” rispose Francesca.
“Per te, è veramente necessario possedere tanti soldi?” chiese ancora Pierrot.
“Sai, con i soldi si può avere molto e, al momento, è ciò che desidero. A scuola ti vedo spesso con gli stessi abiti, invece a me piace cambiarli ogni giorno” affermò lei, convinta.
“Mia zia è povera. E questo mi permette d’apprezzare di più i soldi, di conoscerne il valore, non ti pare?” replicò, fiero, Pierrot.
Dopo queste parole, Francesca si senti avvilita e gli disse in tono deciso e freddo:
“Se tu non hai sufficienti denari, come mi stai facendo capire, non ti voglio più frequentare.”
“Va bene. Ma perché senti questa attrazione per un buono a nulla come Vittorio?”
“Come osi giudicarlo?”, esclamò lei furibonda, “Non sai che i suoi genitori hanno una Ferrari, una villa con piscina e un immenso terreno attorno e perfino la servitù. Credi davvero che ho voglia di sposare un vagabondo o un uomo senza una posizione?”
“No… ma un ragazzo come me senza pretese” rispose rattristato Pierrot.
“Beh… Se questa è la tua idea, non uscirò mai più con te” gli disse Francesca.
Così, dopo quella brusca discussione, Francesca tornò dai suoi un po’ triste perché aveva intravisto in Pierrot una innata lealtà che nei suoi genitori mancava. Anche Pierrot tornò da sua zia ma con un cuore leggero perché, dalla sua delusione, aveva capito che quel momento di gioia era, comunque, da raccogliere per gustare l’essenziale dalla vita.
Intanto la scuola stava per finire. Pierrot pensava ancora a Francesca ma, nel contempo, capiva che fra di loro era tutto finito, così aspettava un nuovo amore per coronare il sogno della sua vita.
Poi venne l’estate, dappertutto c’erano fiori stupendi, almeno così appariva agli occhi di Pierrot perché il suo obiettivo era «essere felice».
Sua zia pensava di andare in montagna da sua cugina Lisa, ma tardava a scriverle perché non sapeva cosa regalarle tenendo conto delle sue condizioni economiche. Forse uno scialle bastava per farla contenta, tuttavia, Elena voleva farle un regalo più bello, magari un quadro in argento per la foto delle sue nozze o un piccolo cofanetto di Limoges. In ogni modo, non voleva spendere più di 70.000 Lire. Come aiuto infermiera presso l’istituto «Meridit», un palazzo che ospitava gli anziani, lei poteva, per due mesi circa, aumentare i suoi guadagni oltre al suo stipendio e così riuscire a soddisfare qualche esigenza in più. Pertanto, in lei maturava questa possibilità e si chiedeva cosa avrebbe potuto dire a Pierrot. Passò il primo giorno, poi il giorno successivo, ma più rifletteva in merito a questo progetto, più sentiva l’intenzione di seguire il suo istinto, cosicché, il giorno dopo, disse a Pierrot:
“Ti andrebbe di andare in montagna?”
“Cosa dici zia! Dove prenderai i soldi per fare questa vacanza?”
“Sai, a te piace la montagna e penso che andare da mia cugina Lisa che ha uno chalet vicino ai pendii del Cervino, non costerebbe un granché. Per cui pensavo che andare a fare l’aiuto infermiera presso la «Meridit», qui in paese, mi farà guadagnare un po’ di soldi, non credi che è una buona idea?”
“Per me, va bene zia, ma vorrei aiutarti. Ti andrebbe se vado tagliare l’erba presso il nostro vicino di casa, Alberto?”
“No… no, Pierrot. Tu devi studiare, ho promesso a tua madre d’aver cura di te e di provvedere ai tuoi bisogni, per cui terrò fede ai miei obblighi, capito?”
(continua)