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In copertina: «Fiori» – olio su tela 50×70 di Piero Menichetti
Prefazione
Con questo nuovo romanzo, dal titolo “La felicità”, Jean Claude Dubail arricchisce la sua produzione letteraria mettendo in evidenza la precisa volontà di riportare vicende esistenziali che rappresentano il ventaglio emozionale dell’essere umano e, ancor più, la sua passione per la scrittura che stimola a continue invenzioni.
In questo caso, Jean Claude Dubail, racconta la vicenda di Ernesto e della sua famiglia in un continuo susseguirsi di avvenimenti, sempre accompagnati da costante riflessione spirituale su varie tematiche collegate all’umano vivere.
La vita di Ernesto è contrassegnata dalla sua capacità di comportarsi in modo retto, seguendo la coscienza e l’innata propensione a continue riflessioni sul proprio essere, sulle dinamiche esistenziali, oltre ad un continuo riferimento spirituale che rappresenta la colonna portante della sua vita: i suoi profondi sentimenti, le forti emozioni, le azioni quotidiane ed i numerosi gesti d’amore vengono passati al vaglio della sua inattaccabile fede.
La vita di Ernesto è contrassegnata dalla dedizione al lavoro, precisamente gestendo il suo negozio di abbigliamento per uomo, con impegno e grande senso del dovere. In secondo luogo, Ernesto segue un costante percorso alla ricerca di un equilibrio interiore, di una desiderata armonia con gli altri esseri umani e, nel suo intimo, sente fortemente la necessità di impegnarsi per diventare un uomo saggio e capace di coronare il suo progetto di vita: creare una famiglia, amare sua moglie Andreina di un amore unico, autentico e profondo, non a caso, sarà proprio lei, ragazza intelligente e capace di dolcezza estrema, a stimolarlo nel suo percorso, grazie ad un continuo e proficuo dialogo, oltre ad aiutarlo nella sua attività commerciale.
Volontariamente desidero limitarmi a questi brevi cenni riguardo la trama del romanzo anche per invogliare alla lettura: non mancheranno le sorprese e inaspettate disquisizioni filosofiche e teologiche.
Jean Claude Dubail, grazie alla sua spontaneità nel proporre le varie vicende esistenziali del protagonista e dei suoi familiari, e grazie anche alla genuinità di esposizione, porta in scena le numerose vicissitudini che si susseguono senza sosta e le profonde riflessioni spirituali che fanno da fertile terreno per l’esplicarsi della storia familiare.
Con le sue parole, Jean Claude Dubail pone l’accento sull’importanza dell’amore, nel suo significato più puro e, poi, sottolinea la necessità della fondamentale presenza dell’amicizia, che può aiutare a sopportare i periodi difficili ed il travaglio che nascono dalle inquietudini e dalle contraddizioni del vivere.
Jean Claude Dubail alimenta la narrazione con trasparente ed istintiva scrittura che rifugge da false apparenze e da inutili orpelli, facendo appello alla semplicità d’espressione e all’onestà narrativa.
La consapevolezza finale che emerge dal romanzo, forte ed intensamente sentita, riconduce all’idea che la felicità deve essere conquistata con grande fatica e impegnandosi, giorno dopo giorno, a coronare il proprio sogno mantenendo sempre fede al proprio modo di essere e credendo in se stessi, riuscendo a porre il sigillo d’amore sulla propria vita.
Massimiliano Del Duca
La felicità
Ernesto era il sesto figlio di una famiglia composta da cinque maschi e tre femmine. Per natura, era il più timido, ma la sua semplicità era molto apprezzata dai suoi genitori, Adalisa e Piero, perché entrambi credevano che la spontaneità nel modo di essere offrisse la possibilità di affabili rapporti umani e avesse la forza di alimentare la solidarietà tra loro.
Piero abitava in via Umberto, al numero civico 2, a Livorno, ed ogni mattina si svegliava alle sette e mezza per recarsi, a piedi, in Via Adda, al numero 7, dove gestiva in affitto un negozio di cartoleria. Il suo negozio si chiamava “La civetta” e distava circa cinquecento metri dal suo domicilio. Per questo motivo, Piero, durante la sua camminata, aveva un po’ di tempo per rilassarsi, guardando distrattamente il paesaggio intorno a sé prima di cominciare a lavorare.
Adalisa, al tempo del matrimonio, andava a lavorare in uno studio medico, ma quando nacque il primo figlio Nicola, smise di lavorare per dedicarsi interamente alla famiglia, facendo, a tempo pieno, la casalinga.
Piero e Adalisa si erano conosciuti durante le nozze di Leonardo, il fratello di lei, quando, per pura coincidenza, si erano seduti uno davanti all’altra.
Adalisa aveva un carattere comunicativo e fu lei che prese l’iniziativa cercando d’attirare l’attenzione di Piero. All’inizio, lui fu molto sorpreso in quanto non si aspettava di attirare così forte simpatia. Piero accettò volentieri di dialogare con lei e, quando finì il pranzo, il loro chiacchierare si tramutò in amicizia, poi, due anni dopo, arrivò il matrimonio.
Il figlio Ernesto, oltre ad essere simpatico, era anche un bel giovane: aveva capelli neri, occhi azzurri e un corpo atletico che attirava gli sguardi di molte ragazze.
Quando giunse per lui l’obbligo del servizio militare, si arruolò nel reparto sommozzatori e, in quel periodo, conobbe il suo istruttore Eraldo, che, in seguito, diventò il suo fidato amico. Nonostante il fatto che la divisa militare gli conferisse un certo fascino anche grazie ai suoi ventidue anni, Ernesto non si dava arie e questo suo comportamento piaceva alle ragazze che ogni tanto incontrava, soprattutto quando tornava dalle libere uscite sulla terraferma.
Finito il servizio militare, Ernesto, che lavorava come sarto, grazie ai suoi risparmi e ad un mutuo di trecento euro al mese, aprì un negozio d’abbigliamento per uomo, chiamato “Il quadrifoglio”, situato in Via Matera, al numero 19, non lontano dell’esercizio di suo padre.
Per la prima volta, ed esattamente domenica dodici agosto, Ernesto ed Eraldo salirono sulla barca di quest’ultimo, chiamata “Il piranha” e, dopo essersi allontanati circa cinquecento metri dal litorale, si misero a chiacchierare perché entrambi sentivano il bisogno di un confronto e di un arricchimento spirituale.
La prima domanda che Ernesto rivolse ad Eraldo fu diretta:
“Tu, credi alla felicità?”
Eraldo, un po’ sorpreso, rispose:
“Non riesco bene a capire il motivo di questa domanda, ma so che senza felicità la vita sembra opaca e non si ottiene nulla di concreto senza aver prima accettato se stesso, per diventare, infine, ciò che vogliamo essere veramente. Vedi, molte persone cercano la felicità, ma poche riescono a trasformarsi nel profondo del loro essere per accedere ad essa perché costa molta fatica. Alla fine, però, veniamo ricompensati dei nostri sforzi, intrapresi per accogliere il nostro Io, come esso è realmente.”
“Sì, è vero, ma cosa manca per iniziare a godere questa positività?” chiese Ernesto.
“Questo lo sai solo tu, perché non conosco ancora le tue necessità per arrivare a questa cognizione. Inoltre, ognuno di noi ha un carattere diverso, quindi, bisogna, prima di tutto, percepire. Ascoltare, talvolta, è più fruttuoso che insegnare perché è un dono particolare per chi vuole capire che la sua gioia è frutto dell’ascolto. Ora, lontano dalla riva, possiamo percepire questa quiete, ma dobbiamo assumere un atteggiamento proficuo se vogliamo percepire quest’atmosfera benefica per tuffarci nell’infinito” rispose Eraldo.
“Io so che l’infinito è l’orizzonte senza limiti, ma perché la nostra pochezza è così vulnerabile quando mi rendo conto che non possiedo più niente della mia personalità?” domandò Ernesto.
“Per intendere ciò, devi capire che, perennemente, il bene ed il male si combattano, ma, alla fine, è soltanto la forza maggiore che domina. Per questo motivo la nostra pochezza, come mi hai detto, è vulnerabile, anche se non possiedi nulla di te. Ma se questa pochezza è retta da nostro Signore, allora avviene in te qualcosa d’inestimabile, in quanto la tua miseria umana diventa grandezza, nonostante la povertà che ti resta come base fertile sulla quale ampliare costantemente la gioia ricevuta, grazie alla volontà di acquisire questa capacità di vivere più intensamente, oltre alla tua significativa vita da persona saggia” affermò Eraldo.
“A tutto ciò non avevo mai pensato veramente” rispose Ernesto.
“Poco importa, l’essenziale è capire che è il momento giusto per cambiare ed il tuo momento è forse questo, in quanto il <“tutto”> è sempre a portata di mano. Comunque, sta a te decidere, siccome Dio ha reso l’uomo libero di scegliere o negare la sua amorevolezza in qualsiasi momento e situazione. Tuttavia, devi essere cosciente di poter dire <“eccomi”>, altrimenti, questo tentativo di realizzazione risulterà sicuramente vano” confessò, amichevolmente, Eraldo.
“Mi puoi indicare qualcosa di più consistente?” chiese, subito dopo, Ernesto.
“Lo potrei fare anche ora, ma per percepire meglio questa conoscenza si deve aver pazienza perché la fretta non conduce ad un porto sicuro, al contrario, essere paziente significa essere disponibile ad accogliere questa armonia che si rivela delicatamente nel nostro cuore. La disponibilità, infatti, è la prima condizione che chiede nostro Signore, affinché Egli abbia un posto privilegiato nella nostra anima per porgere a noi il suo infinito amore. Tuttavia, prima bisogna accettarsi, come ti ho già detto, perché senza questa volontaria accoglienza, ogni passo compiuto è superfluo e, inoltre, ciò che possediamo non è nostro, bensì, è Suo, essendo, ognuno di noi, nati e creati solo grazie al suo immenso atto d’amore” rispose, in tono convincente, Eraldo.
“Sovente, io sento questa credibilità lontana da me, ciò è naturale?” domandò Ernesto.
“In parte sì, perché senza la naturalezza del nostro essere non si raggiunge il quid che ne rappresenta la vetta. Tuttavia, è proprio dalla nostra persuasione d’essere che tutto diventa più limpido nella nostra coscienza. Devi capire che la limpidezza è un meraviglioso dono per dedicarsi al nostro profondo essere. Nondimeno, senza prima scoprire la luminosità del tuo animo non sarai mai in grado di pervenire a questa grande forza, in quanto la purezza è l’habitat ideale di Dio per svelarti amorevolmente la sua presenza in te” confessò Eraldo.
“Vedo che, finora, non ho preso questa esperienza sul serio, nondimeno, spero che un giorno quello che mi stai svelando sarà anche mio, malgrado la lacuna del mio essere e la mia scarsa volontà di credere che tutto sia possibile” disse, disinvolto, Ernesto.
“A mio avviso, ciò che ti manca non è la convinzione di arrivare ad un buon esito, bensì l’ignoranza di non essere in grado, con le tue forze attuali, di realizzarti. Questo, a mio parere, è il succo della questione, ma la realtà è ben diversa, in quanto chi consolida ciò che ha, matura questa perplessità, che, man mano che procede, si dissolve, fino a conquistare la pace che spontaneamente cresce in lui” affermò Eraldo.
“Volevo chiederti se mi puoi svelare da dove proviene questa tua saggezza?” chiese Ernesto.
“Semplicemente dalla credibilità del mio essere, in quanto essa è fondata sulla mia umiltà e semplicità che mi aiutano a migliorare tutto ciò che mi svelano, grazie al mio entusiasmo per questa magnifica fonte di vita. Credo sinceramente che sia così, che abbia come fine quello d’attuare la volontà divina che pulsa nel mio cuore di servitore, per afferrarne l’energia e la forza che ora posso trasmetterti con questa mia spontaneità” disse, gioiosamente, Eraldo.
“Quanto tempo occorre per rinascere in questo luminoso orizzonte e per vivere pienamente questa proficua dimensione?” domandò Ernesto.
“Beh, a questa domanda nessuno ti può rispondere, in quanto alcune persone impiegano meno di un anno ed altre più di vent’anni: tutto dipende dalla personale perspicacia e dalla tenacia, perché senza profonde radici, questo supporto svanisce. Io pensavo che la fatuità dell’essere fosse qualcosa d’irrilevante, ma quando ho preso la decisione d’approfondire questa soave visione, ho capito che senza di essa la vita è opaca, quindi, mi sono lasciato sedurre da questa affascinante sorgente per captarne il candore, il quale non delude mai” affermò Eraldo.
“Adesso che abbiamo chiarito molte cose, che ne diresti di fare un’immersione!” esclamò Ernesto.
“Per me, va bene, purché anche tu abbia la facoltà d’alleggerire la tua mente” rispose Eraldo.
Dopo mezz’ora d’immersione, salirono sulla barca per togliere il loro equipaggiamento e, subito dopo, ripresero a conversare. Per prima cosa, Ernesto, compiaciuto, disse:
“È stato magnifico immergerci, che ne dici?”
“Anche per me è stato così, tuttavia, quando il fondale è più chiaro si possono osservare alcune belle conchiglie, pazienza, sarà per un’altra volta” disse Eraldo.
“Sai, questa immersione mi ha regalato qualcosa di suggestivo” affermò, disinvolto, Ernesto.
“È quello che volevo sentire da te e, se ciò persiste nel tuo cuore, sarai illuminato per riuscire a vincere dove tutto diventa consistente per appagare i nostri sforzi grazie alla serenità ottenuta. Ciò ti porta ad apprezzare il massimo che puoi ottenere, cioè appartenere a questa ritrovata spiritualità e, nel contempo, questo congiungimento si sviluppa per rendere affascinante il tuo benessere, fino a farti comprendere di non aver bisogno d’altro per gioire, di aver fatto della tua pochezza umana uno spiraglio di luce per lodare ed onorare Dio” disse Eraldo.
“Mi hai accennato al passo iniziale da compiere per vivere la vita pienamente e veramente, ma oltre che c’è?” chiese, incuriosito, Ernesto.
“Assolutamente niente, altrimenti Cristo l’avrebbe detto. Per di più, dalla mia esperienza, posso dirti che è futile andare oltre quando abbiamo raggiunto la nostra meta, anche se rimarrai amareggiato e scontento. Personalmente, quando ho deciso d’attraversarla tempo fa, mi sono sentito vuoto, nonostante provassi ad essere in sintonia con il mio Io. Cosicché sono tornato, da uomo pentito, sui miei passi e, da allora, ho capito che nient’altro può riempire e colmare la mia esistenza, se non il fatto di essere solamente un umile servitore per attuare la volontà divina, che è quella di alimentare quotidianamente la saggezza, senza dubitare” affermò Eraldo.
“Ma tu, ogni tanto, non ti senti abbattuto, a causa della difficoltà di essere in armonia con il tuo Io o, magari, di sentirti malinconico per il fatto di non essere in pace con te stesso?” domandò Ernesto.
“Ebbene sì, ma questo fa parte della vita, in quanto è come un tesoro nascosto e, una volta trovato, subito appare allettante, ma quando, infine, l’hai ammirato, il medesimo sembra meno ricco, anche se poco prima ne hai contemplato l’inestimabile fortuna. Quindi ti consiglio di non affannarti mai, per aver la forza di allontanare le tue preoccupazioni, affinché possa regnare, dentro di te, la consapevolezza avvertita” disse Eraldo.
“Volevo chiederti un’altra cosa. È difficile rimanere in armonia con il proprio Io, quando compaiono una bufera o un ostacolo per impedirci di crescere, evolvere e rinnovarci?” chiese Ernesto.
“Talvolta sì, altre volte no, tutto dipende dalla credibilità che abbiamo dentro di noi, in quanto fa da scudo per contrastare le difficoltà. Devi sapere che la nostra saggezza tiene in equilibrio sia le risorse positive che le eventualità negative. Nondimeno, senza questa forza in nostro possesso, non possiamo rinvigorire il nostro intelletto e questa fiacchezza, talvolta, fa sì che diventiamo malinconici e, al contempo, non abbastanza forti per annientare i disagi che, inevitabilmente, si presentano. Per questo motivo, dobbiamo continuamente crescere per constatare che la nostra fragilità rimane e, partendo da essa, cercare di rafforzare la nostra coscienza” affermò Eraldo.
“A te questo sembra facile da svelare, ma io, un giorno, sarò capace di comprendere tutto ciò che hai appena detto?” chiese, istintivamente, Ernesto.
“Sono sicuro di sì, perché vedo in te una persona che vuole volontariamente crescere. Questo è fondamentale per riconoscersi bisognosi della provvidenza, la quale fa godere di questa mirabile sostanza, una volta compreso che possiamo, sempre e ovunque, captarne il luminoso orizzonte. Questa direzione opportuna ci conduce al porto desiderato per imparare a competere tramite la nostra fragilità umana che sollecita a desiderare questo bagliore vitale, affinché possiamo sentirci sorretti da esso” affermò Eraldo.
“Oggi può bastare, tu non credi? Ora torniamo a riva, sei d’accordo?” chiese Ernesto.
“Sì, anche perché non vedo l’ora di abbracciare mia moglie per raccontarle quello che mi è successo oggi con te, perché mi ha sollevato il morale” rispose Eraldo.
Quando raggiunsero la riva, si accorsero che c’erano molte persone intente a passeggiare e, dopo aver attraccato la barca con una catena, salirono sulla macchina di Ernesto per recarsi in via Panama, al numero 17, dove abitava Eraldo. Dopo essersi salutati cordialmente, Ernesto fece un breve giro nella città di Livorno, prima di tornare nell’ampio appartamento dei suoi genitori.
Quando entrò in casa, sua madre Adalisa gli chiese:
“Oggi ti vedo contento più del solito, cosa ti è successo?”
“Niente di particolare, sono andato insieme ad Eraldo con la sua barca a fare una gita al mare e ci siamo messi a chiacchierare, tutto qua” rispose Ernesto.
“Va bene, ma dalla tua faccia si vede che ti è successo qualcosa o sbaglio?” rispose Adalisa.
“Non ti sbagli, perché mi ha rivelato qualcosa che stentavo a credere. Ora sono più felice perché mi ha indicato una via da valutare per diventare realmente saggio ed ambire a ciò diventa una virtù” disse, spontaneamente, Ernesto.
“Beh, se è così, continua a frequentarlo, poiché è veramente utile avere una veritiera confidenza con chi vuole aiutarci ed offrirci la serenità senza pretendere nulla per sé, e aiuta a saper volontariamente donare il meglio di sé” rispose Adalisa.
“Ora che ne ho avuto la conferma, voglio crescere ulteriormente per diventare come te, cioè più fiducioso” affermò Ernesto.
“Sai, aspettavo da te questa risposta, poiché finora non mi hai dato un serio motivo per essere preoccupata, ma, da tempo, attendevo da te qualcosa di simile perché la vita va vissuta per restare affascinati da essa e riuscire a cancellare il proprio orgoglio” rispose Adalisa.
“Beh, a dirti la verità, non sono mai stato orgoglioso di ciò che possiedo, ma il timore d’essere me stesso, finora, non mi ha giovato per sentirmi semplice ed accorto” disse ancora Ernesto.
“Vedo che fai grandi progressi, che cerchi di migliorarti e questo mi rallegra molto” affermò, con disinvoltura, Adalisa.
“Sono contento di sentirmelo dire, tuttavia, penso che la conoscenza deve superare la nostra cognizione della vita per appagare il nostro essere. Ho detto bene, mamma?” chiese Ernesto.
“Ti sei espresso meravigliosamente, ma, a mio avviso, ciò che ti manca è una ferrea convinzione per coltivare ciò che hai recepito” affermò Adalisa.
“Sono d’accordo con te, mamma, infatti, quando ero sulla barca di Eraldo, ho avvertito un’intensa pace che mi ha fatto dimenticare la mia inquietudine perché lui ha cercato d’aiutarmi a captare la linfa essenziale della vita, per riuscire, poi, a vivere serenamente” rispose Ernesto.
“È positivo ascoltare tutto ciò, quindi, spero che continuerai ad aprirti alla vita per ricevere, infine, la gioia autentica anche perché questo gaudio è contagioso” affermò Adalisa.
“Hai detto una cosa giusta. Spero di fare mio ciò che mi offre questa stupenda vita per saper affermare me stesso, nonostante l’odierna mancanza di valori che trasforma molte persone” confermò Ernesto.
“Se vuoi fare di questa tua vita un supporto fondamentale per alimentare la tua essenza, di sicuro, dovrai faticare, tuttavia, non esiste alcun limite per fare tuo questo unico e proficuo sentiero, perciò ti auguro di trovarlo per non sciupare questa tua profonda intenzione e, infine, per riuscire a soddisfare le tue esigenze di vita” confessò Adalisa.
“Grazie, mamma, come sempre sei la donna più tenera che conosco, in quanto cerchi sempre di rispondere ascoltando il tuo nobile animo” esclamò Ernesto.
“Beh, sai, faccio solamente quello che mi suggerisce la mia personalità perché senza questo effettivo accorgimento, la nostra vita non ha alcun valore né sapore” affermò Adalisa.
In quel momento, entrò Piero e, subito, Ernesto gli chiese:
“Come è andata la tua partita a briscola, papà?”
“Non c’è male, perché mi sono rifatto dall’altra volta in cui ho perso venticinque euro, ma, a te, piuttosto, come vanno gli affari?” domandò Piero.
“Sai meglio di me che ci sono dei momenti negativi, ma, talvolta, veniamo ricompensati da periodi migliori. Il commercio è fatto così, quindi, tutto sommato non mi posso lamentare perché riesco a mettere qualcosa da parte” gli confessò Ernesto.
“Da parte mia, ho la fortuna d’aver accanto tua sorella Luisa che comincia veramente ad essere efficiente nel saper sbrigare il lavoro di commessa” rispose Piero.
“Questo mi fa davvero piacere, in quanto, tempo fa, avevo già intuito che lei poteva essere all’altezza della mansione, essendo cordiale e decisa in quello che deve essere svolto” rispose Ernesto.
Alle ventidue, tutti andarono a dormire. Quella sera Ernesto sognò d’essere in un sontuoso castello. La servitù faceva di tutto per accontentarlo, essendo l’unico principe ereditario per ricevere il trono di suo padre.
Il mattino seguente, Ernesto, canticchiando sotto voce, si recò al negozio. Lungo la strada, a quell’ora, c’erano poche persone, ma il suo buonumore faceva sorridere i passanti come se il suo comportamento riuscisse a contagiare gli altri.
Il giorno di ferragosto, la famiglia Argenti era seduta al grande tavolo nel soggiorno. In ordine di età c’erano Nicola, Sandra, Emilio, Pierluigi, Silvana, Ernesto, Luisa ed Adolfo. Per rendere più bella l’atmosfera, Luisa pensò di mettere un cd con musiche di fisarmonica perché ciò era gradito a tutti. Al primo valzer, ognuno si congratulò con lei di questo suo simpatico gesto. Durante l’animata conversazione, Sandra informò tutti del suo imminenente matrimonio con Antonio, precisamente il diciassette febbraio dell’anno seguente. Dopo aver ascoltato le sue parole, Piero le chiese:
“Come mai hai deciso di sposarti, sei fidanzata da poco tempo e, a mio avviso, ciò è prematuro, non ti pare?”
“Papà, devo dirti che Antonio ha trovato un lavoro come steward nella nostra compagnia aerea “Alitalia”, così ha deciso di sposarmi” affermò Sandra.
“Quando è così, che Dio vi benedica, ma dove andrete ad abitare?” chiese Piero.
“A Fiumicino, non lontano dall’aeroporto. Abbiamo già visionato un appartamento che corrisponde alle nostre esigenze” dichiarò Sandra.
“Ma tu, lascerai il tuo lavoro di pedicure?” chiese Adalisa.
“Sì, anche perché con il suo stipendio ce la caveremo abbastanza bene” rispose Sandra.
“Adesso brindiamo alla futura felicità di Sandra, siete tutti d’accordo?” chiese Nicola.
“Sì, evviva tutta la famiglia Argenti” esclamarono, alzando i loro bicchieri.
Dopo queste parole consumarono il loro pranzo in allegria anche perché la bella notizia aveva rallegrato tutti, compresa Adalisa, nonostante il fatto che, nel suo cuore, sentiva diminuire la contentezza, a causa del futuro allontanamento di Sandra, perché finora aveva fatto di tutto per tenere unita la sua famiglia, senza lamentarsi delle difficoltà da superare, dopo aver lottato e faticato. A dire la verità, i figli non erano molto riconoscenti e non avevano compreso appieno le sue premure amorevoli, tuttavia, Adalisa accoglieva questo comportamento senza rancore perché sapeva che, prima o poi, poteva ricevere un complimento e continuava a trasmettere, con umiltà ed amore, i suoi valori, rimanendo sempre fedele alla sua volontà di educare affettuosamente prima di voler essere consolata dalla sua famiglia. Inoltre, lei era cosciente che portare a termine questa quotidiana sollecitudine poteva favorire il buon umore senza nulla pretendere in cambio. Tutto ciò era molto apprezzato da Ernesto che, ogni tanto, in segno d’amore e riconoscenza, dava un bacio a sua madre per incoraggiarla a proseguire nel suo comportamento. In cambio, Ernesto riceveva un tenero sorriso e da questa amorevolezza era nato un legame indistruttibile.
Piero, invece, era un uomo piuttosto taciturno, ma la sua saggezza era un forte sostegno per chiunque, in quanto egli trovava spesso parole adatte per confortare o per aiutare coloro che lo interrogavano. In un ambiente familiare così sereno i figli si rendevano conto che concretizzare questi insegnamenti poteva aiutarli ad inserirsi meglio nella società.
Un mese e mezzo dopo, sapendo che Ernesto sentiva il bisogno di accrescere la suo fede, don Massimo, che era il vicario, lo invitò a fare una passeggiata con lui. Dopo aver camminato venti minuti si fermarono su una panchina vicino ad una piazzetta.
La prima domanda che Ernesto gli pose fu questa:
“Tu credi che sia possibile realizzare ogni cosa nella nostra vita?”
“Certamente, l’importante è capire perché lo facciamo. Come realizzarlo è relativo, cioè viene in secondo piano, perché, al contrario, è la nostra volontà che aiuta ad adoperarsi al meglio per raggiungere la nostra meta: se la nostra ricerca risulta vana, allora dobbiamo cambiare orientamento. Infine, solamente il “perché” facciamo tutto ciò può far capire con quale forza in nostro possesso possiamo alimentare il nostro focolare” affermò don Massimo.
“Io so già che la fiducia è importante per portare a termine i nostri propositi. Ma quello che non capisco è perché dobbiamo rinunciare alla nostra posizione per penetrare in questa benevola dimensione?” chiese Ernesto.
“Semplicemente perché la superbia cancella l’amore e sminuisce le nostre possibilità di riuscita rendendo più ardua la vittoria finale. Sai, come te, anch’io pensavo che la rettitudine bastasse per appagarci. Solo più avanti, quando ho cercato di fare veramente mia questa esperienza di vita, ho compreso che soltanto l’abbandono totale può trasformare radicalmente il nostro modo di pensare e ci rende disponibili ad accettare questa sovranità d’animo che ci rende liberi e, al contempo, figli, per proteggere e conservare con ogni mezzo l’armonia che è scesa dentro di noi” disse don Massimo.
“Beh, se questa è una condizione di vita cercherò di rammentarmi questo tuo insegnamento. Tuttavia, non capisco perché ciò è capitato a me piuttosto che ad un altro, puoi chiarirmi questo fatto?” domandò Ernesto.
“Per capire ciò devi afferrare che Dio agisce secondo la sua infinita spiritualità e noi, talvolta, presi dalla nostra limitata umanità, non comprendiamo questo suo grande disegno. Devi comprendere che Lui chiama costantemente i suoi figli, Egli desidera la nostra salvezza e questo ci tocca personalmente, in quanto il suo amore è dentro di noi per manifestare pienamente la sua gloria” affermò don Massimo.
“Ma se l’inimicizia non esisterebbe, non pensi che ciò permetterebbe di essere più concordi tra noi?” chiese Ernesto.
“In parte sì, in quanto ciò annienterebbe sia la furbizia che la malizia. Ma ricordati che, costruendo la torre di Babele, gli uomini sono stati divisi da Dio immettendo in ciascuno di loro una lingua diversa e ciò è stato fatto affinché ogni uomo non si ritenesse invincibile, ma servitore di Dio, creato per lodare la sua presenza in ogni luogo su questa terra, per accettarla e per dissetarsi alla sua incantevole fonte” rispose don Massimo.
“Adesso capisco perché la mia incredulità è impotente davanti all’attendibilità del proprio essere” affermò Ernesto.
“Fai bene a riconoscere questa tua condizione di vita, tuttavia, ti consiglio di non far ristagnare questo sentimento, altrimenti esso diminuisce e, da questo abisso, talvolta, è difficile arrampicarsi su questa scala e riuscire a salire, gradino dopo gradino” disse don Massimo.
“A proposito, con quali mezzi posso salire questa virtuosa scala dell’animo?” chiese Ernesto.
“Basta che tu sia sempre te stesso perché, man mano che sali, prima sembra una montagna, poi, un monte, in seguito un colle ed, infine, un valico che tu penetrerai. L’importante è saper perseverare con tenacia perché possiedi già le capacità per lottare fino in fondo, per sentirti sollevato grazie a questa benevola avventura. Un’altra cosa che non devi dimenticare è sentirti bisognoso di questa grazia, seguendo la tua spontanea necessità di assimilare ciò che disinteressatamente ottieni, ormai distaccato da ogni altra urgenza” affermò don Massimo.
“Questo mi rende felice, ma dove si trova la suddetta scala?” domandò Ernesto.
“Non la vedi perché è invisibile, essa si manifesta nel tuo intimo, ma ignorarla è fatale poiché non riuscirai mai a raggiungerla. Come ti ho già detto, essa diminuisce man mano che procedi nel tuo percorso, ma portando nel cuore la tua fedeltà e la fiducia potrai raggiungere la meta” disse don Massimo.
“Ma per riuscire in questa impresa credo sarà necessario acquisire una profonda conoscenza, che ne dici?” chiese Ernesto
“Non necessariamente, perché la fede sconfigge l’incredulità, al contrario, possedere solo la conoscenza non agevola questa ricerca, in quanto senza la qualità della tua ricerca, non capirai veramente quale sia la direzione per approfondire tutto ciò. Questa ricerca cresce lentamente per darti l’opportunità di assistere come uomo al suo splendere. Quindi non devi affliggerti quando nulla accade dentro di te perché questa manifestazione sorge sempre al momento più opportuno, che tu lo voglia o no” affermò don Massimo.
“Beh, adesso ritorniamo sui nostri passi perché, una volta a casa, voglio approfondire questa profonda verità” disse Ernesto.
“Sono felice d’aver udito ciò da te perché la lettura aiuta molto, soprattutto nei momenti difficili della nostra vita, oltre alla propensione a saper meditare e contemplare in silenzio in modo da sentirsi sorretti da questo soffio spirituale che ci consola” rispose don Massimo.
“Mi ricorderò dei tuoi insegnamenti, ma spero che ci sarà ancora un’altra probabilità per continuare a conversare su questi argomenti. Ti saluto e ti ringrazio di essere sempre disponibile a dialogare con me” affermò Ernesto.
“Ti saluto anch’io. Quando ti sentirai di aver bisogno, chiamami pure, perché, anche per me, tutto ciò è di giovamento ed aiuta ad entrare ancora più intensamente in questo stato d’animo che infonde in noi tutto ciò che stimola il nostro essere per dissetarci alla sua fonte” affermò don Massimo.
Appena arrivato a casa, Ernesto si mise comodamente disteso sul suo letto. Prese da uno scaffale della libreria il libro “Dalle mura di Gerico”, di Giambattista Torello, e lo aprì leggendo la seguente frase: ”Gli uomini decisi sono sempre ammirati perché la capacità di prendere decisioni, in un mondo problematico come il nostro, appare come un segno inconfondibile ed invidiabile di adesione alla vita, di sincronismo col ritmo dell’esistenza umana.” Dopo aver chiuso il libro, annotò sul suo diario: ”La nostra nullità è una ricchezza, in quanto essa ci porta a preservare ciò che alcuni uomini distruggono per mancanza di rispetto.”
Dopo il pranzo, si sentì suonare il campanello e, subito, Ernesto disse:
“Vado io ad aprire la porta.”
Quando aprì, il commesso della pasticceria “La primula” disse:
“È qui la signorina Luisa?”
“Sì, mi dica quanto le devo?” chiese Ernesto.
“Quarantasette euro. Sappia che abbiamo fatto molta fatica per realizzare la sua richiesta” disse il commesso Claudio.
“Ecco a lei cinquanta euro, tenga pure il resto” disse Ernesto.
Andando verso il tavolo, dopo aver preso la torta all’ananas, Ernesto esclamò:
“Buon compleanno, sorella mia!”
“Come ti è venuta quest’idea di festeggiare tutti insieme?” chiese Luisa.
“Questo lo devi chiedere a nostro padre. Mi ha detto che tutta la fatica che devi fare nel suo negozio deve essere pure ricompensata con qualcosa. Tu, forse, vorresti un aumento di stipendio, ma, al momento, non può dartelo e così gli è venuto in mente questo regalo” rispose Ernesto.
“Grazie, a te papà e anche alla mamma perché siete dei genitori adorabili” esclamò Luisa.
“Beh, dire adorabili è forse un po’ esagerato, in quanto potremmo anche darti di più, ma quello che conta per noi è saperti consapevole di questa vita che svolgi degnamente grazie alla tua responsabilità e ci rende orgogliosi di avere una figlia come te” rispose Piero.
“Adesso taglio la torta, siete d’accordo?” disse Luisa.
“Sì, sorellina, procedi pure” rispose, simpaticamente, Nicola.
“Chi vuole la prima fetta?” domandò Luisa.
“Prima offrila a papà, visto che è stato lui ad avere questo bel pensiero” affermò Sandra.
“Ora, che ne dite se facciamo un brindisi?” chiese Adalisa.
“Ok”, rispose Piero e, poi, aggiunse: “Che questa ricorrenza non ci separi mai dalla gioia che ci ha uniti finora, grazie alla nostra volontà di essere attenti alle vostre necessità di vita come abbiamo cercato d’insegnarvi nel miglior modo possibile, impegnandoci ad ascoltare le vostre esigenze. Quindi, dico evviva.”
In quel momento, tutti alzarono i loro bicchieri riempiti con spumante secco e, dopo aver assaggiato la torta, ognuno si mise a disposizione per lavare i piatti. Questo spontaneo gesto riempì di gioia Adalisa perché vedeva nei suoi figli la realizzazione di tutto ciò che aveva sognato, cioè la concorde partecipazione per creare una buona atmosfera in seno alla sua famiglia.
Nel pomeriggio, mentre Piero guardava la partita Juventus-Lazio, Ernesto, insieme a Pierluigi, fecero una passeggiata, poi, entrarono in un bar e Pierluigi chiese:
“Ti andrebbe un gelato al caffè?”
“Sì, purché paghi tu questa volta!” esclamò Ernesto.
“Va bene, so di essere qualche volta tirchio, ma tu hai un lavoro fisso, al contrario di me che sono ancora disoccupato nonostante la mia laurea in ingegneria” rispose Pierluigi.
“Questo lo so, tuttavia, penso che, in attesa di un’occupazione, potresti andare a fare il cameriere presso il bar “La fonte”, che ne dici?” chiese Ernesto.
“Non mi va d’affaticarmi così tanto” replicò Pierluigi.
“Beh, nostro padre ha dovuto adattarsi a fare l’imbianchino prima di comprare il suo negozio, quindi, a mio avviso, non c’è nulla da vergognarsi” rispose Ernesto.
“Questo è vero, ma io sono fiero di me stesso e non voglio abbassarmi a tali lavori” rispose Pierluigi.
“A mio avviso, fai male perché con la crisi che viviamo in questo momento dovresti abituarti ad un lavoro anche meno dignitoso pur di guadagnare qualcosa” affermò Ernesto.
“Io non sono te, quindi, lascia questa decisione a me, nonostante ciò non voglio vivere per sempre sulle spalle dei nostri genitori” affermò, con un tono deciso, Pierluigi.
“Ciò che mi hai detto mi fa piacere, tuttavia, vivere in modo spensierato come fai ora, non mi piace” rispose Ernesto.
“Anche a me ciò dispiace, ma non vedo un’altra soluzione” constatò Pierluigi.
“Quando è così, cambiamo discorso. Ti andrebbe di vedere un film al cinema?” chiese Ernesto.
“Non so, perché ho voglia di rimorchiare una ragazza” disse Pierluigi.
“Beh, se continui ad essere un errabondo, non sarai mai contento di te stesso” affermò Ernesto.
“Questo lascialo decidere a me” rispose, in tono risentito, Pierluigi.
“Ok, adesso vai se vuoi, io prenderò un’altra strada per soddisfare le mie esigenze di vita” disse, con decisione, Ernesto.
Nonostante il fatto che il cinema proponesse un bel film, dal titolo “La vita è un miracolo”, Ernesto prese la decisione di camminare per restare con se stesso. Quindi si recò in una pineta per immergersi nel silenzio. Dopo una ventina di metri si mise a sedere su una panchina e, quasi subito, un uomo di circa ottant’anni si mise a sedere accanto a lui e gli rivolse la parola, chiedendogli subito:
“Non l’ho mai vista, per caso è anche lei di Livorno?”
“Sì”, ripose cordialmente Ernesto e, poi, aggiunse: “Ma lei, piuttosto, conversa volentieri con gli sconosciuti?”
“Mi presento, sono Silvano e sono pensionato da quindici anni dopo aver fatto il direttore della banca “UniCredit”, a Livorno. Nella mia vita ho puntato tutto sulla carriera, poi, mi sono accorto che il successo non è tutto, anche se offre la possibilità di vivere serenamente. Per questo motivo ho cominciato ad affezionarmi di più alla vita autentica cercando di comunicare agli altri ciò che ho capito della vita perciò, come vede, ho iniziato io ad avvicinarmi a lei senza pretendere nulla in cambio. Invece quando siamo fieri ed orgogliosi del nostro essere tutto ciò viene ostacolato per mancanza di generosità, spero che mi abbia capito?” domandò Silvano.
[continua]
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