Emozioni

di

Klaudia Shkurti


Klaudia Shkurti - Emozioni
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 66 - Euro 8,00
ISBN 978-88-6037-9474

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In copertina: «Il vento» fotografia di Klaudia Shkurti


Prefazione

Intendiamoci; molte persone quando prendono un libro in mano, si riducono a leggere solo le prime righe di una prefazione per poi fiondarsi direttamente nel contenuto dell’opera. Per questo motivo voglio essere breve e, senza fare il giro del mondo in ottanta secondi, esporre i particolari punti che ritengo importanti per la comprensione di questo testo.
A partire dal titolo del libro “Emozioni” ci si può fare un’idea sul contenuto, ma bisogna tuttavia ricordare che molte volte i titoli dei libri non sono poi tanto diretti, contando anche di che libro si possa trattare. La mia è una raccolta di poesie scritte a partire dai quindici anni che si fanno portavoce dei miei sogni, delle mie speranze e paure, Emozioni appunto che ho vissuto e continuo a vivere e rivivere rileggendo le mie poesie.
Sono le emozioni provocate dall’esistenza, emozioni nelle quali sono fermamente convinta non si rispecchi solo la mia persona, ma quella di chiunque legga e si catapulti mentalmente nel mio paese delle meraviglie. Sono le piccole emozioni che cambiano il monotono corso della nostra giornata, che alzano il livello di quella straordinaria sostanza dal nome di adrenalina. Emozioni provocate da un’improvvisa pioggia o dall’abbraccio inaspettato di una persona a noi cara, è la mano di un amico che ci solleva da terra quando cadiamo e siamo senza forze.
Prima di concludere vorrei dire giusto qualche cosa sulla poesia che più tra tutte mi ha emozionata: Shqiperia.
Shqiperia vuol dire Albania nella lingua albanese, letteralmente tradotta significa “terra delle aquile” ed è il paese in cui sono nata. L’aquila è simbolo di libertà, quella libertà che, purtroppo, la dittatura ha negato trasformando di conseguenza quel naturale e libero paesaggio in una prigione dalla quale è molto difficile uscire.
Ho voluto parlare di questa realtà, la quale mi assorbe totalmente, per mettere in maggiore evidenza l’amore e la nostalgia che provo per la bellezza di questa penisola.
“Sono albanese e non me ne vergogno,/Sono albanese, mi ha mantenuta viva un sogno./Sono albanese, parlo lingue straniere,/Sono albanese, riconosco il mio dovere./Scrivo in un’altra lingua, questo mi ferisce./Ma perché la mia qui non si capisce.”[…]
Shqiperia diventa così un particolare appello a non abbattersi e a rivendicare ogni naturale diritto.
Gli elementi salienti delle poesie trattate sono dunque un conglomerato di elementi naturali, di esperienze e colloqui quotidiani che hanno permesso la grande confusione creatasi nella mia testa ed il conseguente bisogno di liberare tutti quei perché attraverso la scrittura.
Senza più prolungarmi oltre, cari lettori, vi auguro una saporita lettura, piena di forti “Emozioni”.

Klaudia Shkurti
31 marzo 2010


Emozioni


Shqiperia

Sono albanese e non me ne vergogno,
sono albanese, mi ha mantenuta viva un sogno.
Sono albanese, parlo lingue straniere,
sono albanese, riconosco il mio dovere.
Scrivo in un’altra lingua, questo mi ferisce,
ma perché la mia qui non si capisce.
Sono albanese per ricordare,
sono albanese per adorare,
quella lontana mia amata terra
che, come tante, è stata divisa dalla guerra.
Sono albanese e non ho paura,
sono albanese, sono matura.
Sono l’albanese delle mie montagne,
sono l’albanese che non tira lagne.
Sono l’albanese dei miei amici,
sono l’albanese dei miei nemici.
Sono l’albanese dell’antica Illiria,
da quella mia terra son scappata via.
Sono l’albanese dei balli popolari,
sono l’albanese dei due vicini mari.
Son l’albanese di Vojosa e Valbona,
sono l’albanese di Tirana e Valona.
Ma più tra tutte originaria io sono
dell’illirica Epidamnos, un antico dono.
Della romana Dyrrachium dal mar assalita,
e della mia Durazzo che ora è in vita.
Sono l’aquila che alla mia terra il nome ha dato,
sono l’essere che qualcuno ha amato.
Sono albanese e coraggio ho nel cuore,
sono albanese e ho provato anche dolore.
Sono l’albanese dei miei genitori,
sono l’albanese che ha avuto rancori.
Del mondo era donna ed era regina,
la chiamavano Teuta ed era divina.
Quel che si dice è falso o vero,
ma chi non è sicuro,
legga nel cuor sincero.
Sono albanese e provo nostalgia,
del mondo che è paese, del mondo che è casa mia.
Sono l’albanese che la paura ha conosciuto,
sono l’albanese che l’identità ha ritrovato.
Sono albanese, mi sono salvata,
il mio nome è Shqiperia e ne sono onorata.


Il mio dolce pensiero

Rischierò per poterti amare,
questo è il nostro gioco,
lo so che vuoi giocare.
L’unico momento nostro
lo scriverò col nero inchiostro.
Tra le mie candide mura
lo spirito del tuo cuore s’aggira.
Dove vai? Chiedo impaurita.
Qual è il tuo scopo? Chiedo incuriosita.
Il tuo caldo abbraccio è il mio protettivo mantello.
Il tuo immenso sguardo corrisponde al mio fatale gelo.
Le tue dolci labbra infiammano il mio cuore.
I tuoi occhi codardi sono il mio eterno amore.

Non chiedere quello che già sai.
Non confrontarti per me con il severo Mai.
Affronta il dolore come farebbe un guerriero.
Questo ti porterà onore e
ti accompagnerà il mio dolce pensiero.

Rischierò per poterti avere,
questo è il nostro gioco, non devi temere.
Il nostro primo sguardo.
L’infinito è su di noi.
Non avere paura, sono qui con te.
Il mio freddo abbraccio è il tuo bagnato lenzuolo.
Il mio perduto sguardo corrisponde al tuo fatale calore.
Le mie gelate labbra raffreddano il tuo cuore
e i miei occhi ghiacciati sono il tuo eterno amore.

Non chiedere quello che già sai.
Non confrontarti per me con il severo Mai.
Affronta il dolore come farebbe un guerriero.
Questo ti porterà onore e
ti accompagnerà il mio dolce pensiero.


Il profeta

Fuori nello spazio quanti tuoni ci saran.
Pioverà, pioverà,
l’intero mondo si ribalterà.

Questo, il disegno a me lo canta.
Danza la penna sulla carta bianca,

un poco di qua ed un poco di là.
Il pallido, scuro diventerà.

Oh quali domande!

Oh quali risposte,
lontane, lontane
ma sempre nascoste.

Oh quanto disordine nel lontano avvenire,
disegno il mondo, è sul finire.

Alberi senza radici,
rami fradici.

Foglie sparse,
foglie perse.

Stelle lontane,
vane.

Stelle,
delle più belle.

Terre selvagge
diventeranno sagge.

Oh quale assurdità.
Quale perdita,
oh piccolo pianeta.


Poesia al Nonno

Quante lacrime ho versato, Nonno,
ma so che non sono andate a vuoto.
Un angelo, tuo amico, mi ha detto
che sono sussurri fragili al tuo orecchio,
sono coccole e abbracci,
parole piene di affetto.
Qualche volta ti sogno,
ma tu non mi parli.
Chi lo sa come sono le regole di voi lassù,
probabilmente diverse e difficili da capire
da noi di quaggiù.
Ti pensiamo tanto
io e mia sorella,
il tuo nipotino,
il papà,
la tua nuora bella.
Quel mostro via ti ha portato,
ha acceso un incubo,
le fiamme di un rosso fuoco,
noi però non ti abbiam dimenticato.
Nel tempo rimarrà il tuo odore,
condividiamo tutti un grande dolore, ma
tu per sempre rimarrai nella storia
e per sempre, Nonno, nella nostra memoria.
Questo ti è dovuto, in pace riposa,
nel tuo letto d’oro, una piccola rosa.


La fuga

Il freddo si faceva sempre più pesante
in quell’atmosfera agghiacciante
che si era creata.
Il gelo incombeva su noi creature
e l’unico pensiero,
frustrante,
era se saremmo sopravvissuti.
L’aria che ci ballava attorno pizzicava,
come un riccio di mare e i brividi,
i nostri,
più non finivano.
L’orizzonte era colorato
di un rosso sanguinante.
Era innamorato,
era folgorante.
Gli occhi,
i nostri,
erano spaventati,
come quelli dei cuccioli,
i cuccioli abbandonati.
Quell’atmosfera faceva da sfondo
al nostro incubo più profondo.
Ci hanno salvati, alla fine è successo.
Come si teme in quegli istanti
te lo ricordi perfino adesso.


Tutto quanto si era perso

Avevo un amico, ma l’ho perso.
Camminava sulla spiaggia, ma si è perso.
Era solo, senza nessuno e si è perso.
In mezzo alla folla, da solo e si è perso.
Il mio amico aveva un cane, ma si è perso.
Il cane aveva una compagna.
Alla compagna piaceva il mare,
ma un giorno, mentre nuotava si è persa.
Il mio amico aveva un criceto,
che mentre girava sulla ruota è sparito. Si è perso.
Il criceto aveva una madre, l’aveva persa.
Io avevo un gatto.
È scappato, non l’ho perso.
Da piccola avevo un aquilone.
Era bello. Rosso, ma l’ho perso.
A cinque anni ho gonfiato un palloncino.
Era giallo come il sole, ma l’ho perso.
A nove anni ho trovato una sciarpa,
era verde come un prato, ma l’ho persa.
Ero disperata. Perdevo tutto.
A undici anni ho trovato un’amica,
era slava, era bionda, ma l’ho persa.
Un mattino mi sono svegliata, non avevo più paura.
Tutto quello che si era perso,
l’ho ritrovato nella bellezza dell’universo.


La mente ed il braccio destro

E se io, sai,
dovessi ormai
ricominciare
dai tuoi bui passi,
non dimenticare
di rivedere
l’incantevole mare
che ci ha divisi.
Orme sulla spiaggia tu hai lasciato.
Come un cane,
abbandonato,
ho rincorso,
a vuoto,
un percorso.
Hai dimenticato, forse, la tua promessa.
Io sono e sarò in eterno la tua principessa.
Vieni a palazzo o mio Re
non dimenticare.
I ricordi sono quelli che sono.
E noi siamo quelli che siamo.
Due funi dell’albero maestro,
che legati come fratelli,
uno la mente e l’altro il braccio destro.


La signora Povertà

Una vecchia e grande casa
in visione m’appariva,
così sporca mi sembrava,
ma al contrario così viva.
Nel soffitto crepe aveva
che le scale frantumava.
Il cielo grigio come aureola aveva,
esser buona non mi pareva.
Nessuno lì aveva dimora,
al di fuori d’una vecchia signora.
Era brutta, spaventava.
Era sporca, non si lavava.
Nel giardin, un alberello,
era spoglio, oh poverello.
I miei occhi videro bene,
l’orto incolto,
oh quali pene.
La Signora Povertà,
non era sola nella vita,
i bambini lei rapiva,
e con loro era schiva,
ed il mondo per sé voleva,
l’uomo libero non lasciava.


Il dubbio

Cosa mi blocca?
Non lo so.
Se l’avessi saputo avrei urlato,
chiesto pace,
libertà.
Ma non lo sapevo.
Se l’avessi saputo,
avrei spiegato le ali al cielo e
ti avrei seguito in volo.
Ma io non ho potuto.
Se avessi potuto invece,
avrei udito il canto delle sirene,
le avrei inseguite e
nuotato con loro.
Ma non l’ho fatto.
Se l’avessi fatto ti avrei cercato e
poi ti avrei trovato e
poi ti avrei raggiunto.
Ma non l’ho fatto.

Non ho potuto sentire il canto di quelle creature,
non ho potuto battere la forza di gravità,
non ho potuto liberare il mio dolore.

Mi domando ancora… cos’è che mi blocca?
Non credo abbia mai avuto importanza saperlo.


C’era una volta

C’era una volta un cavaliere
che adempiva al suo dovere,
quattro lettere il suo nome aveva
ed Onor lui si chiamava.

C’era una volta una regina,
era in attesa d’una bambina,
cinque lettere il suo nome aveva,
dolce Gioia lei si chiamava.

C’era una volta un balbuziente,
dei suoi discorsi era paziente,
sei lettere il suo nome aveva,
ed Attesa lui si chiamava.

C’era una volta una signora,
delle sue amiche la più bella era mora,
sette lettere il suo nome aveva,
Gelosia lei si chiamava.

C’era una volta una zingarella,
era povera, ma tanto bella,
otto lettere il suo nome aveva,
e Speranza lei si chiamava.

E per finire c’era una fanciulla,
il suo piccin baciava nella culla,
nove lettere il suo nome aveva,
Tenerezza lei si chiamava.


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