In copertina: «Venere carrellata» fotografia dell’autore
Opera finalista nel concorso letterario Jacques Prévert 2019
Prefazione
La silloge di poesie “Vele stracciate”, di Lauro Zuffolini, rappresenta una sorta di dialogo intimo che il poeta offre con estrema sincerità, costantemente proteso a rendere limpida la sua visione, prima esistenziale e, poi, lirica.
La sua parola, onesta e penetrante, scandaglia l’universo emozionale che porta con sé, cercando di custodire la sostanza profonda della visione lirica, ponendo al centro della sua poetica la consapevolezza della finitudine dell’Uomo e la personale percezione delle dinamiche esistenziali che hanno contrassegnato il personale percorso: ecco allora dispiegarsi il mare magnum delle evidenze liriche sulla concezione della vita, che “regala” e “toglie”, capace di donare gioia immensa, ma anche di “imprigionare in un dolore”, quella stessa vita che entra nella pelle del poeta, che in “ogni istante”, forgia, manipola, capovolge, fa soffrire, a volte, “senza via di scampo”, ben consapevole che tutto, prima o poi, finisce, tutto è destinato a dissolversi.
Ed ecco allora che emerge la percezione della morte, seppur rimane presente lo spiraglio che può condurre a nuovi stimoli per “disfarsi di ogni zavorra”, ma il poeta avverte fortemente che la vita “scorre inesorabile”, sente sulle spalle il peso degli anni, è consapevole che la vita “ammicca, allude, sussurra”, rende partecipi della sua sofferenza vissuta nel profondo: simbolo di tale stato d’animo sono alcuni versi della poesia “Vele stracciate”, che apre e regala il titolo alla silloge, nei quali il poeta immagina se stesso “come una barca in mezzo al mare/con le vele stracciate/su cui nessun vento/ fa più presa”.
Nel processo lirico emergono chiaramente le profonde riflessioni e considerazioni sull’umano vivere e le parole di Lauro Zuffolini sono decisamente penetranti: lui si considera una “vittima ordinaria della vita”, di una esistenza che sente al tramonto, che ormai non lascia più tempo a progetti e cambiamenti, dopo aver rincorso i sogni e i miraggi di un “amore duraturo”, di una “famiglia unita”, di “amicizie vere”: si delinea l’immagine di un uomo fiaccato dall’esistenza, tra la speranza di poter ancora “afferrare questa vita” per sentirsi vivo o lasciare che lo stato di abbandono prenda il sopravvento, quando non rimane che mettersi in un angolo, in silenzio, con la sensazione di aver “carpito l’inesorabile e arcano segreto”.
Lauro Zuffolini scrive “sono avaro di parole,” perché “le parole confondono/non chiariscono/nascondono/non svelano”: centellinare le parole per esser chiaro, senza allusioni, per farsi capire facilmente, come a ripiegare “su se stesso”, per osservare il mistero della vita ancora tutto da svelare, quando nel cuore si apre una voragine e “i desideri non hanno più forza / per imporsi”, quando i ricordi, le emozioni e gli stati d’animo scivolano via veloci con la polvere del tempo: e il poeta rimane immobile, come a lasciarsi annegare nel mare della vita, a spegnere ogni impulso.
Lauro Zuffolini, attraverso le sue liriche, offre tutto se stesso e confessa “sono uno di carattere ipersensibile” e, per lui, “ogni certezza è instabile e ogni esperienza un complicato impatto”: i giorni della vita sovente sono invivibili, quasi mancassero le “difese naturali” nei confronti delle complicate manifestazioni del vivere e, ancor più, sapendo che “le ferite non sono rimarginabili”.
La sua poesia è disarmata e disarmante, offerta a cuore aperto, con candida volontà di rendere, nel miglior modo possibile, il suo universo emozionale, utilizzando parole “svestite di ogni schema”, lontane da maschere e infingimenti, solo apparentemente “abbandonate a se stesse”, che diventano strumento per illuminare la visione lirica con la loro “nuda verità”.
Massimo Barile