E continuo
a ragionare di te
e
con te
nell’assoluto silenzio,
il volto
le mani di tanti,
telegenici turisti eccentrici
che portano lava
e
tengono lapilli
e
con le cose con te
le cose riannodo.
E come se
il corpo sfinito
lieve
si segnala
chiede attenzione
e
violenta le forme
e
atterra a sera.
Tuoni,
frastuoni,
sillabe,
urla,
affiancano doveri ordinari
e
contaminano
i pensieri buoni.
Sfiancata
all’impersonale
naviga in un letto di verbi
e
allora
dopo
c’è la vigna da legare.
Fissano
corrono
i fari
nello sfondo grigio
e
frenano ai semafori attaccati
all’asfalto
ululano solitudini corali
mitigate dal solo buonasera.
Ci sono gli occhi
di chi ha scampato la morte
ed ha visto morire,
occhi che guardano
lievi e divoratori
con le mani incrociate
e la bocca a virgola.
Ciao,
matrice
o
madre unica
parla
o
taci
rassegnata
i segni sono solo quelli ostentati.
Mai raccontare
finire dopo l’alba
e
tematiche arzicocolate
e
inventate per monografie
in vendita ai supermercati
ed anche ora con le mani storte,
è uguale il rossore senza memoria
e tenero, uguale, affiancato, interpretato
la giostra sfuma le luci, i colori e le espressioni,
mi fermo ad ogni giro
e
leggo l’alterità.
L’impossibile piange
pagato dall’affronto
legittimo, funesto e leale
e
poi vedi squarci di sole affrescati
ripetitivi per nulla incidenti sulla savana,
è fantasioso staccare le nuvole
e l’aria,
ma è l’odore di mirto
a mitigare la follia.
Arrivederci al gioco rischioso
Delle parole insipienti
e affrontato, noioso, ridente
il tempo è un programma TV.
Inutile concedersi ad
armi
ed
arti,
affaticate, lente,
io nel caos trovo le regole,
lesto,
lercio,
livido,
levantino
e
fermi la tenerezza è mia.