Monteverdi e l'alchimia - un saggio e due racconti

di

Liana Gioieni


Liana Gioieni - Monteverdi e l'alchimia - un saggio e due racconti
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
 - pp.  - 
ISBN 

eBook: pp. 55 - Euro 4,99 -  ISBN  978-88-6587-7531

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In copertina immagine dell’autrice


Prefazione

Il libro di Liana Gioieni, dal titolo “Monteverdi e l’alchimia”, come afferma la stessa Autrice, “non è un vero saggio di musicologia”, ma opera che presenta un’attenta analisi ed alcune proposte per sviluppare profonde riflessioni sulla musica, che incarnano una sorta di elaborazione artificiosa creata allo scopo di commentare alcuni brani delle famose “Lettere” del musicista Claudio Monteverdi.
Nel variegato processo narrativo seguono, inoltre, due racconti: il primo, “Fantasie di un pupazzo di neve”, suddiviso in due capitoli, dal tono fantastico, che propone varie riflessioni-meditazioni sul concetto di tao, il processo di mutamento e divenire di tutte le cose, che si realizza nell’alternanza delle due forze complementari e opposte, lo yin e lo yang.
Il secondo racconto, “Pieni gli alberghi a Tunisi”, decisamente giocato sul sottile filo che distingue la realtà dalla finzione narrativa, costantemente alimentato da considerazioni di carattere filosofico e, nello specifico, relative al sufismo.
Non v‘è dubbio che, nella visione di Liana Gioieni, la sua Parola diventa eikòn, anzi, confluenza d’immagini, supporto della meditazione che, come nel caso della icona sacra, che è “scrittura divina delle Parola di Dio”, può essere realizzata soltanto da credenti ispirati dalla loro fede, intesa nell’accezione più generale.
La disamina deve necessariamente iniziare dalla visione critica espressa attraverso numerose considerazioni, offerte da Liana Gioieni nella presentazione relativa alla trattazione “Monteverdi e l’alchimia”, che ben introducono al resto dell’opera.
L’intenzione narrativa desidera mettere a confronto il rapporto tra diversi modi d’espressione, affermando che la “parola” resta “inadeguata” per la Musica e non resta che “favorire la conoscenza ed aiutare a capire l’arte e “a farla”.
La presa d’atto è che, attualmente, “la musica leggera si perde nel conformismo della pubblicità e del non senso” e “la musica classica non esiste più”, come sottolinea Liana Gioieni, perché manca un serio lavoro che dimostri la “volontà di esprimere qualcosa”.
Ecco allora che l’analisi si sposta all’epoca del famoso musicista Claudio Monteverdi che si “fece carico del rapporto suono-parola”, definendo un quid di “sacro ed insondabile che governa tale rapporto” con brani tratti dalle “Lettere”, che contengono riferimenti all’alchimia ed una sintesi di alcune vicende biografiche che ammantano il compositore di originalità e forza innovativa.
Claudio Monteverdi, nato a Cremona nel 1567, e morto, a Venezia, nel 1643, era figlio di un medico e tale condizione produrrà forti influenze sulla sua musica.
Fu uno dei principali compositori che accompagnarono l’evoluzione del linguaggio musicale e risultò determinante nella sperimentazione di nuovi linguaggi strumentali.
Musicista e suonatore di viola, dopo la sua permanenza alla corte dei Gonzaga, a Mantova, in qualità di violista, si trasferirà nella raffinata Venezia, come maestro di cappella alla Basilica di San Marco a Venezia, ed “aprirà l’epoca al concertare, intrecciando, nelle sue composizioni, voci e strumenti”, creando una sorta di dialogo tra sacro e profano.
Liana Gioieni sottolinea lo stretto legame tra musica e medicina oltre ad alimentare il lato taumaturgico nella figura del musicista, che viene visto anche come una sorta di sciamano-alchimista.
Non a caso, facendo riferimento ad una lettera di Monteverdi, datata 23 agosto 1625, si evince chiaramente che il musicista conosceva l’arte di “predisporre il recipiente per compiere un’opera alchemica concernente la trasformazione del saturno in oro”: la conoscenza di tali procedimenti porta a rileggere l’opera di Monteverdi sotto nuova luce, potrebbe rivelare alcuni aspetti sconosciuti della sua musica e della sua arte, ipotizzando, inoltre, l’esistenza di simboli alchemici nella sua musica.
Ulteriore dato storico che funge da anello di congiunzione è il fatto che Monteverdi, in stretto contatto con le antiche fornaci di Murano, inviava ampolle ai suoi amici, dopo aver compiuto le opere alchemiche di cui si definiva “esperto”.
Risulta evidente che tali straordinarie notizie biografiche, nella narrazione di Liana Gioieni, si accompagnano alla forza innovativa di Monteverdi che, nell’arte dei suoni fu “portavoce di un manifesto teorico che inneggia alla pratica sperimentale, alla scoperta di nuove possibilità tecniche con la sua musica che si muove tra note naturali ed alterate, producendo un clima modulante con utilizzo del “fa diesis” e del “si bemolle”.”
Monteverdi, come ricorda Liana Gioieni, vive il clima ”pretonale”, che porterà alla teorizzazione del sistema temperato e, in ultima analisi, la sua intenzione fu quella di esprimere sentimenti fino ad allora poco considerati, utilizzando una originale “caratteristica di stile”.
Interessanti alcune osservazioni di Liana Gioieni sulla considerazione che, nel corso della storia, “sia l’arte che la musica hanno aspetti celebrativi” e i “potenti” hanno sempre amato rispecchiarsi nelle opere d’arte commissionate e, del resto, allo stesso modo, si sono comportati con le committenze ai musicisti all’epoca delle corti.
Ancor più stupefacente risulta il breve cenno storico, offerto da Liana Gioieni, alla creazione ed elaborazione, già nel ’600, da parte del gesuita Athanasius Kircher, (1601-1680).
A tal proposito, credo sia opportuno approfondire tale nota storica relativa allo stupefacente Athanasius Kircher, che fu ideatore (oltre ad altre numerose invenzioni meccaniche e di vastissima altra natura) di un congegno, a metà fra strumento musicale ed oggetto misterioso, relativo ad una piccola scatola magica, in legno di mogano, per comporre l’Arca Musarithmica, definita una sorta di prototipo tecnologico informatico.
La sua macchina per comporre, in definitiva, può essere considerata un apparecchio di calcolo musicale, che si rifà all’antica tradizione: “La musica è armonia, e l’armonia è il mistero dell’universo”.
Nel testo in esame, infine, troviamo il racconto “Pieni gli alberghi a Tunisi”, che chiude il libro, e riconduce ad una dimensione, tra realtà e fantasia narrativa, alimentando la figura di una ragazza, che si chiama Abgjizath, nata da madre araba e padre francese, che vuole fare l’interprete e si trova a Tunisi dove medita sul suo rapporto d’amore con Michele, ragazzo conosciuto all’università, insegnante ad un corso d’inglese, che si arrovella sul ritorno della donna amata.
La narrazione riconduce a profonde riflessioni esistenziali, a costanti meditazioni, ad esternazioni filosofiche e visioni, oltre ad un sogno ricorrente, da parte della ragazza, di un monaco sufi vestito di bianco.
La figura di Liliam, che è la “proiezione dell’Autrice”, entra in scena nel processo narrativo ed offre un suo racconto ed una lettera a Michele per inviarli ad Abgjizath perché Lei “porta fortuna alle coppie”: e così accadrà.
Abgjizath segue un corso con lezioni a carattere filosofico sul sufismo, vissuto come una via di perdono, come possibilità di trovare Dio: “Il sufismo è una via. Il sufismo è una via mistica. Una via mistica con una storia”.
La stessa Liliam, che non accettava di stare con gli altri, era stata salvata da una frase del filosofo Talete, relativa alla concezione che, nell’altra dimensione, dopo la morte, tutto sia ancora uguale: era stata la via salvifica ad un terribile periodo dominato dall’idea del suicidio.
Come prevede il sufismo esistono dei gradi evolutivi, delle stazioni dell’essere, plotinianamente parlando, ed ecco allora che Michele, mentre attende il ritorno della donna amata, inizia a costruire forme simboliche, simboli sacri e mandala, ricevendone soddisfazione, calma interiore e senso di pace.
Tutte le forme possono diventare simboliche, una forza cosmica superiore invia agli esseri umani costanti segni, simboli e sogni, e tutto si dispiega nell’abbandono all’ordine cosmico universale.
La scrittura di Liana Gioieni, totalmente immersa in questa eterogenea substantia narrativa, miscela analisi storico-filosofica, trattazione della storia della musica, originali slanci narrativi verso l’arte alchemica e visione onirica, che si compenetrano con racconti che posseggono il seme della realtà dell’esperienza umana, della vita vissuta seguendo il principio dell’ordine cosmico, conformandosi passivamente ai ritmi della vita universale.

Massimo Barile


Premessa

Forse mai come oggi o poche volte nella ‘storia’ la scrittura pare tanto inopportuna quando si tratti di musica.
La mancanza di orientamento in fatto di gusto richiede paradossalmente uno straordinario rigore e una certa rigidità nelle scelte di modi di espressione.
Ma, se a scuola la mancanza di stile diventa purtroppo manierata richiesta di strumenti fissi – la matita per l’arte, il suono per la musica, la scrittura per le parole – tutto il novecento ‘grida’ alla ricerca di sincretismo.
Quindi, d’accordo con Schumann, affermiamo pure che non si boccia Skrjabin perché ha inventato un ‘clavecin a lumière’ e non si ritiene impossibile il confronto e il dialogo tra diversi modi di espressione o meglio di essere.
La parola, comunque, per la musica resta inadeguata perché i concetti sfuggono come inseguiti dalla folgore, perché non si riesce ad affermare qualcosa senza che il suo contrario si affacci a richiedere statuto, giustificazione, negazione, altri punti di vista.
Che dire allora?
Soprattutto che dire quando anche la parola ha sofferto e soffre di crisi di senso?
Niente. Si prende questo vecchio e usato strumento, e se ne fa qualcosa per capirsi, spiegare, per andare incontro e favorire la conoscenza e aiutare, se possibile, a capire l’arte e a farla.


Monteverdi e l'alchimia - un saggio e due racconti


Introduzione

Oggi la musica non può essere né leggera né… pesante.
La musica leggera si perde nel conformismo della pubblicità e del non-senso, la musica classica non esiste più.
Probabilmente manca un serio lavoro che dimostri la volontà di esprimere qualcosa di chi di musica si occupa?
Non basta suonare in pubblico, non basta comprare dischi, non basta esaltarsi per delle sonorità.
Sappiamo tutti che due note eseguite bene fanno ancora la differenza. Ecco perché oggi vanno di moda i professionisti.
Molto tempo fa un musicista si fece carico a suo modo del rapporto suono-parola.
Per quel non so che di sacro e insondabile che governa questo rapporto siano le brevi considerazioni e il lavoro di fantasia che segue.


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