Nell'era del farmaco 22 gocce di poesie

di

Luciano Lucchesi


Luciano Lucchesi - Nell'era del farmaco 22 gocce di poesie
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 36 - Euro 5,30
ISBN 88-6037-228-3

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Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’autore è finalista nel concorso letterario Jacques Prévert 2006


In copertina illustrazione dell’autore


Prefazione

Il punto di partenza per leggere coerentemente la presente silloge di Luciano Lucchesi è praticamente un consiglio, che diventa un monito, offerto dall’Autore stesso all’inizio della raccolta: “l’assunzione della poesia deve avvenire senza preconcetti” e, ancor più decisamente, la consapevolezza che “essere compresi è difficile”.
Ecco allora che la sua parola si inerpica su una salita ripida e si appresta alla dura fatica con la volontà di “strappare la verità”, di “scalare le cime più ardite come se fossero evoluzioni da salotto”.
Nel susseguirsi delle esperienze, a volte, capita di essere pervasi da un’inspiegabile malinconia o di soffrire senza capirne la ragione ma è sempre presente la constatazione che, prima o poi, le lacrime sono destinate ad esaurirsi, che la nostra bocca sovente si avvicinerà a “fontane che non dissetano”, e quante volte ci guarderemo allo specchio “fragili, bruciati e caduti” e capiterà di bere il piacere per “affogare il dolore” e constatare che le ali non hanno più la forza di permettere di spiccare il volo.
Davanti a noi un mondo di “falsi oracoli”, di “maschere” d’ogni sorta, di individui che passano il tempo a “parlare d’amore e non amare” e sale in superficie la fatica di trovare significati, emerge prepotente il desiderio di evadere dal recinto d’una vita limitante.
Tutto si dissolve nell’incapacità d’amare, nei sensi di colpa, nel giudicare e nel riflettere, nella prigione d’un mondo subdolo che è assai lontano da un luogo che offra la “pace interiore”.
E Luciano Lucchesi si ritrova a “masticare la vita”, a cercare l’orientamento senza schierarsi, a rivitalizzare ciò che resta impresso nella mente: e quel “vivere sentendosi incompresi” non è cosa facile da sopportare, rendersi conto che non si è capaci di mettersi addosso quella “maschera pulita”, che manca quella “falsità” che permette di districarsi nel labirinto esistenziale.
Vi sono stati di solitudine che non possono essere colmati nè con l’amore, nè con gli amici, nè con le persone care: lungo e tortuoso è il cammino verso la mèta alla ricerca dell’armonia, tra miserie quotidiane e prolungate angosce, tra idiozia e intelligenza, e sempre il mondo circostante rimane irraggiungibile.
Il poeta è sempre pronto a sfidare il destino, qualcuno si crede affascinante, qualcun’altro si perde in un sogno; il poeta può sentirsi solo e non sapere dove andare o quale strada percorrere; il poeta è disperso nel suo dramma e le parole marchiano a fuoco la pelle mentre cerca di perseguire la difficile arte.
Luciano Lucchesi rappresenta la mutevole natura umana, la costante visione d’una mano che indica la via, la necessità di “vivere su binari diversi”, l’urlo della vita e il silenzio ancestrale, i ricordi e le lacrime segrete: si muove tra i versi delle sue poesie come a cercare riti di divinazione che permettano di abbandonare i rimorsi e le debolezze che questa vita porta con sé.
Nella sua sfera poetica osserva ciò che pare insondabile, nelle sue gambe sente i passi faticosi della vita, nelle sue mani la polvere che scivola via, e non è mai schiavo ma sempre un uomo libero, alla ricerca del sacro fuoco, per innalzare il suo sguardo al cielo, accompagnato dal vento della libertà: libero uomo in libero pensiero.
La sua forza abbatte infine la simbolica maschera, per dimostrare che “l’uomo può essere e rimanere diverso”; per gustare il piacere oltre la logica e la ragione, per sognare una nuova realtà, per “rendere semplice l’impossibile”: ecco il “sorprendersi” nel disincanto, “senza rimpiangere nulla/senza aver mai smesso di vivere”, sapendo bene che le esperienze della vita “sono come le carte, l’ultima nasconde tutte le altre”.
Ecco il graffio poetico sul muro scrostato della vita: perché la parola è la “porta” che conduce alla salvazione, l’angoscia è il muro.

Massimo Barile


Nell'era del farmaco 22 gocce di poesie

Il farmaco gocce di poesia

Composizione
Principi attivi:

Freddo kamikaze in una notte di estate innevata
Fiorito triste
Puoi dirmelo tu semplice gesto
Corta è la verità
Prima e dopo
Pensar di capire
Spirituale
Illogica logica la nostra condizione pulp
Speranza
Anche da un mese inconsueto possiamo imparare
Voyeur della vita
Abbattuto (nei salotti bene)
La voce
Prezioso
Il genio triste
Raptus (figlio della società malata)
Belli e dannati
L’hotel
Sono in uno stato democratico (fradicio)
Il dramma del poeta
La malattia
La morte dell’eccezione

Come si presenta
Formato tascabile.

Titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio
Montedit

Perché si usa
Anemia psichica dovuta ad una carenza di consapevolezza.

Quando non deve essere usato
Intransigenza verso la tolleranza o altri principi strettamente correlati dal punto di vista liberale.

Precauzioni per l’uso
L’assunzione del farmaco deve avvenire senza preconcetti.

È importante sapere
Un uso prolungato del farmaco può indurre alla tentazione di capire l’esistenza.

Effetti indesiderati
Nel corso del trattamento Gocce di Poesia, può manifestarsi una grande voglia… di far filosofia.


Freddo kamikaze in una notte
di estate innevata

Due mani
Scivolano sull’arco come la pioggia che cade,
La terra trema e qualcuno cattura.
Il fiato si fa corto, il battito accelerato:
Kamikaze! Quanto dovrai ancor cam[minare]?
... Terrorismo!
Il tragitto è tortuoso,
Ma apparente[mente] sacro.
Sudato,
Ti sciogli in fuoco:
Paradosso dell’esplodere
E sentirsi gelare in una notte di estate.
Mio Dio! Ti chiedo:
“Perché è giunto a noi questo freddo?


Fiorito triste

Ciclamino io,
Un solitario tra i cuori,
Dal rosa al rosso, dal porpora al lilla.

Da boccioli chiusi io attendo i profumi,
Gli aromi più grati.

Da spine pronte a ferire, mi difendo io,
Io che sono una strana miscela di Giglio e Papavero.

Margherita io,
Quando mi lascio spogliare da mani insicure,
Da creature che si inebriano di me, senza capirmi.


Puoi dirmelo tu semplice gesto

Mi sono tolto bottoni,
Messo bottoni:
Un semplice gesto può mutare la condotta,
Trasformar l’uomo…
Il fuoco è acceso e tutto scalda,
Eppur nella coscienza aleggia una domanda:
‘Al servizio di chi si torna?’

Un corpo chiuso, ma violabile;
Quello che provo: una scia ripercorribile
Anche senza sfrecciare sul mare…

Bottoni chiusi sulle bocche spaventate;
Bottoni scuciti sulle silenziose, amene vette dell’anima,
Considerate inarrivabili, dai subdoli individui.

Maschere e carnevali,
Stelle filanti tirate su specchi impolverati
Per carpire innocenti,
Curiosi più del tempo che avanza regolare,
Senza scatti d’atleta o brusche frenate da guidatore.

Mi sono tolto bottoni,
Messo bottoni...
Al servizio di chi si torna?


Corta è la verità

Strappo di cielo,
Ferita lasciva,
Pena di fretta indecente.
Vuoi vedere la mia dote?
Non andare sbattendo la mente
Su lama tagliente!
Salva la lingua che non parla a sproposito;
Attraversa i ponti prima che rinasca la notte;
Scala le cime più ardite come se fossero evoluzioni
da salotto.
Per amarmi,
Devi rendere semplice concetto l’impossibile!
La verità è miglioramento,
Quindi cambiamento!
Per questo si fa corta,
Di giorno in giorno sempre uguale e diversa,
Giusta solo nell’adattarsi
Al singolo e non a tutto il sistema.


Prima e dopo

Prima dissolvimi,
Poi Ornami di Gioia.
Fammi Sentire il piacere di me,
Il piacere che non trova traduzione letteraria,
Seppur saldo Amore:
Manifestazione di Te!

Ascolta…
Prima incantami,
Poi nel disincanto sorprendimi
Mostrandomi qualcosa di ancor più grande di logica
o ragione.

Non andare…
Prima lascia che Ti cerchi,
Poi Accoglimi nell’Amore più innamorato
Di quello che concepiamo.
Fammi essere prima e dopo,
Così che possa piangere e ridere Noi:
Che l’Unione dà l’Anima Salva.


Pensar di capire

Colto da un’inspiegabile malinconia,
Mi lascio assopire tra ciliegi in fiore e bottiglie vuote.

Sono l’anima chiusa nel ventre di un uomo
Che dice di essere me,
Ma non so se credergli o meno!

Possibile che dopo i miei passi non riconosca le orme?
Possibile che soffra senza ravvisarne una ragione?
Possibile che ami qualcuno senza conoscerlo?

Rispondimi cielo, filo d’erba…
Se puoi, parlami tu, libellula, formica,
Che io non so più a cui rivolgermi.

Pensar di capire
È come navigare sulle onde di un mare
Che all’uomo non ha mai mostrato le rive.


Spirituale

Abbandona ciò che è a misura d’uomo:
Vedrai attraverso i sensi
L’universo di stelle e pianeti
Come uno spazio familiare,
E la transustanziazione Astrale
Ti aprirà le porte della fede,
Dove l’uomo era e rimane in maniera diversa.


Illogica logica la nostra
condizione pulp

Scorticato. Caduto. Rialzato. Bruciato.
Siccità.
Fontane che non dissetano.
Resta ciò che resta!
Lacrime destinate ad esaurirsi ed ustioni da sanare.
Amici sorridenti a cui sorridere
E zaini pesanti da portare in spalla senza mostrar fatica o debolezza.
Patti Smith.
Anni 70.
Voglia di poter sbagliare un po’ di più.
Gradita follia,
Quando sa tener testa all’età della responsabilità.
Echi di ricordi.
Frasi d’amore che ti lasciano senza fiato.
Malinconia da rispedire al mittente.
Jim vivo! Rimbaud vivo!
Rabbia da surfista privato della sua onda!

Scorticato. Caduto. Rialzato. Bruciato.
Quando il piacere si beve per affogare il dolore.
Labbra viola.
Ali che non sanno farti spiccare il volo.
Bicchieri di carta, incapaci di contenere a lungo
il tuo spirito.
Maglioni.
Mutande col pizzo.
Prestazioni da esaltare o contare.
Falsi oracoli.
Maschere.
Consigli.
Accendini senza gas.
Parlare d’amore e non amare.
Il fumo uccide.
Hai una sigaretta?
Suicidio od ottimismo?
Cos‘è la vita?
Con quale anima ho a che fare ogni istante?
La gente vola… e vola… ed io, mi sento giù...
Ivano Fossati.
Evoluzione ignota l’esistenza.
Impensabile filo di Arianna il futuro.
Vaso di Pandora usato per gerani.
Fedi pagane, superficialmente chiamate eresie.
Svolte proposte da chi è al potere per non farci svoltare.
Demagogia.
Un numero da carcerato,
Quello che ci resta impresso nella mente,
Ogni volta che non proviamo ad evadere.


Speranza

Spero che Dio, almeno Dio, sappia cosa fa e perché lo fa.
Fatica il mio giovane cuore a trovar significati.
Respira il mio giovane polmone, ma cosa inspira solo
il progresso lo sa.

Spero che Dio, almeno Dio, non debba uccidere altri Simili per conquistare potere.
Qui le mie giovani mani devono armarsi per combattere inutili guerre.
Qui le mie giovani gambe non bastano per sfuggire
alla morte.

Spero che Dio, almeno Dio, trasformi davvero le pietre
in pani.
I miei vicini sono gonfi dalla fame ed io non posso saziarli.
I miei occhi sono colmi di lacrime, ma le pietre rimangono pietre.

Spero che Dio, almeno Dio, sappia fare l’amore.
In Terra vecchi bavosi molestano bimbi,
E il cielo che scrutano non porta che pioggia.

Spero che Dio, almeno Dio, sappia cosa fa e perché lo fa…

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