C’era una volta
Ogni mio respiro lieve
sembrava distogliere
quell’attimo incantato
agli sguardi inconsapevoli
su di un perché mai disvelato.
Ovunque vado ramingo
e mi domando solo se ho capito
del nulla o del perché della vita.
E mi rimane l’andirivieni di ricordi
forse di vite già vissute
e di persone già incontrate
in luoghi già visti
in mondi già conosciuti
e di converso mali e bisogni
litanie di gioie, pianti
e rassegnazioni.
Dopo l’oscurità della notte
la violenza d’un temporale
ecco rappacificarsi l’animo
già disposto alla speranza
con l’alba che racconta
d’una favola dolce, giuliva
che ricomincia col dirci
di un c’era una volta…
per poi dispiegarsi
lungo l’eternità.
Metamorfosi
Fiumi di luce
di stelle comete
ardono il ghiaccio
che attraversa il mio cuore
aride gemme ormai pietrificate
appassiscono anzitempo
al loro declino.
Pallidi richiami a stagioni perdute
segni ineguali di orizzonti lontani
vaghi risvegli di un tempo che illude
che insegue la vita
che ancora finisce.
Il mondo
Il mondo intorno a me si muove
in tristi e dolci danze
come l’alternarsi ritmico di un gigante
che cambia volto in ogni istante
ma che si accorge a lungo andare
di ripercorrere i suoi passi.
La gente padrona dei suoi frutti
vive da opportunista sulle sue spalle
e crede invan di comandare
di costruire e di distrugger
ciò che mai nessuno può cambiar.
Io osservo l’avvicendar degli atti quotidiani
in spirito distaccato
quasi in romitaggio
cercando di capir l’altrui retaggio
che il tempo lascia per saggezza
a testamento dell’umana bellezza
e della natura sua genitrice.
Possano i giorni, gli anni, il tempo
dare ognuno insegnamento
di quei sentimenti nobili
traboccanti d’amore
di pace universale.
Nebbia
Nebbia fitta che m’avvolgi d’essenza
in questo mare mio della parvenza
dove mi porti?
Quali vani approdi
d’arcipelaghi deserti e manifesti
in altri spiriti significanti
lontani, vicini, prossimi
vaganti sulla scena
immobili sul filo del rasoio
o sulla trama d’un ragno.
Sperdute anime pellegrinanti
nel chiaroscuro d’inveterati microcosmi
d’umanità rapita alla gratuità
del nascere eventi.
Quali rivendicazioni della creta
in vortici irrefrenabili di luce
che rimandano al turbinio di sogni
in segni di realtà mutante
e digradante
dove nascono magie di perché
e desideri inconfessati
di ricreare la scusa di un sé.
O mio aereo, trascorso strumento
il vento si porta un lungo lamento
c’è un oggi e un domani
nel cielo che chiede
di togliere nuvole e nebbie soffuse
di far trasparire per sempre alla fine
quel tratto perduto d’un raggio di sole.
Illusioni
Ogni vuota parola
rincorre il suo senso
ripaga la vita
in fuggevoli attese.
D’incerti orizzonti
di vaghe illusioni
ignoto al suo sguardo
rimane il destino.
E intanto
affondano inquieti
i miei giorni eterni
e ogni luce colora
questo corpo in declino
che si cancella
nella sua ombra errante.
Solitudine amica
Mi basta saperti vicina
nei lunghi momenti d’affanno
che il passato in parte declina
all’oggi e al domani
che poi sarem nelle mani
del nostro destino
cos’incerti viandanti
del viver la vita soltanto
e pure in veste d’amanti
o mia solitudine amica.
Déjà vu (Già visto)
Forse perché anelando eterni lidi
già i sogni caddero infranti
piegando il tempo alle infide clessidre
che poi lasciarono disperdere
oscuri strascichi d’ombre crepuscolari
in tramonti colorati rosso sangue
quali stormi di gabbiani
solo intenti a posarsi in altra luce
non più riflessi in quello specchio
limpido di mare.
Fragili trasparenze apparvero
in nuvole adagiate come greggi
a perdersi nell’orizzonte piatto della mente
e divagando al volo alto d’un aquilone
guizzante contro il cielo
come fanciullo
tiravo il filo ai miei pensieri
sparsi nel vento delle emozioni
d’una vita che lascia ed è lasciata
perduta è ritrovata
nelle stagioni vive, rincorrenti quelle morte
fra mille voci di raccolta in unico verso.
Di mille colori che formano la luce
evanescente in calde atmosfere
puntini nello spazio sconfinato
dove miriadi di stelle restano ad offrirsi
quali oracoli al futuro incerto dell’inconscio collettivo
fuorvianti quesiti in macroscopiche lacune
perdute affinità elettive su geniali teoremi delle distanze
e rimembranze d’archetipi e rivisitazioni
eppur si muove anche se appar immobile
anche se ancora lì poi tutto passa
e poi ritorna
e l’uomo mai non cambia
facendo dire al mondo… è un déjà vu.
L’isola di Wight
Quei tre mesi poi passati al bar Cortina
dei miei primi quindici anni
che correvano coi sogni
sui caffè sempre ben caldi
e immancabili brioches
per clienti frettolosi
che s’andavano a faticar.
Poi prendevo quei vassoi
già ben colmi di vivande
come fossero miei pensieri
li portavo in ascensore
su e giù per gli uffici chiaccheroni.
C’era un’aria sbarazzina
in quell’anno ’71
o fors’era la mia età
e il juke-box del bar Cortina
ci cantava ogni mattina…
sai dov’è l’isola di Wight?
L’alba
Sordi rintocchi di campane
sirene spiegate d’emergenza
una radio che richiama una réclame
un uomo se ne va correndo
soprapensiero
per la sua strada a curve.
La città si sta svegliando
cerca il suo volto più ammiccante
ma incombe quella fretta
che fa ricominciare una partita
contro un altro giorno
che non ha ancora perso.
Sulla via
Come cristalli di sale
perduti nell’aerea spiaggia
dei tuoi desideri
che ancora bruciano al sole
cocenti, inguaribili ferite
in esaltanti sogni infranti
della caduca realtà.
Guarisci or ora viandante senza nome
ormai stanco del tuo essere incompiuto.
Universo in spazi larghi e sconosciuti
d’altri confini remoti in cui si perdon le mete
dove la noia riprende il sopravvento
nell’eterno andirivieni d’una stessa via.
Che l’uomo guarda ad una stella
se gli è vicina e amica
anche nei momenti più difficili
del dove chi sa solo andare.
[continua]