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Invitalia, rilancio delle aree di crisi industriali: riqualificazione e riconversione del Piceno
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Luigino Pignoloni - Invitalia, rilancio delle aree di crisi industriali: riqualificazione e riconversione del Piceno
Collana "Koiné" - I libri di Religione, Filosofia, Sociologia, Psicologia, Esoterismo
15x21 - pp. 268 - Euro 22,00
ISBN 9781259513403
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Invitalia, rilancio delle aree di crisi industriali: riqualificazione e riconversione del Piceno, riforme urgenti per ridurre disuguaglianze e divari economici-sociali
In copertina: illustrazione dell’autore
Prefazione
Questa settimana si è appena votato per la Regione Abruzzo. Trascurando il risultato, colpisce la crescita dell’astensionismo. Quasi il 50% della popolazione non ha votato.
La nostra democrazia è in forte difficoltà, necessità dell’impegno di tutti, come recita l’articolo 54 della Costituzione, “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi,” articolo purtroppo dimenticato e sconosciuto a molti. Contemporaneamente cresce la sfiducia per una politica sempre più distaccata che evita di affrontare, i temi considerati caldi per la maggioranza dei cittadini quali; la grave crisi economica-occupazionale-ambientale, la dilagante precarietà, la giustizia sempre più lenta, la preoccupante denatalità, lo sfaldamento della sanità pubblica, i salari e le pensioni sempre più bassi con il graduale innalzamento dell’età lavorativa, e l’inarrestabile scia di infortuni e morte sul lavoro (a 75 anni, in Italia invece di godersi i nipoti si continua a lavorare e purtroppo morire nei cantieri).
Ci sono evidenti problemi di rappresentanza, in questo particolare momento storico, alcune categorie di persone, povere e senza occupazione, non sono rappresentate. Vari sono i motivi, il primo sicuramente è l’abolizione nel 2013, del finanziamento pubblico ai partiti. Da allora la politica è finanziata quasi interamente da gruppi industriali, banche, e milionari: conseguentemente i partiti rappresentano gli interessi di queste Lobby e tendono a candidare avvocati, commercialisti e imprenditori, i quali nonostante il profuso impegno, non possono capire cosa significa vivere senza occupazione e reddito, per cui questi rappresentanti sono incapaci di trovare soluzioni. Analogamente mancano quasi totalmente candidati che pur provenendo dai livelli economici più bassi della comunità, sono riusciti a raggiungere la giusta formazione per fare il politico e rappresentare gli invisibili.
La democrazia diventa un contenitore vuoto, se non garantisce la sopravvivenza economica alle famiglie, il lavoro è assente o precario.
“Il governo del popolo” che aveva sconfitto i totalitarismi del Novecento ora è travolto dalla crisi economica-sociale, perché non riesce più a soddisfare le aspettative dei cittadini, cresce l’inquietudine e lo scontento.
Nelle periferie si respira un forte disagio sociale e aggressività diffusa. “Si sta perdendo il valore di cosa significa vivere in democrazia, il significato della coesione sociale e del benessere collettivo”. Le Istituzioni, ma soprattutto gli ultimi Governi, sollecitati dal potere economico-industriale non disponibili a concedere diritti e welfare, hanno preferito distrarre i cittadini, frammentare e limitare l’insegnamento dei principi costituzionali. Siamo al punto, che in molti posti di lavoro, si ha paura di parlare dei propri diritti, di aprire un confronto con i colleghi per migliorare le proprie condizioni economiche e di vita.
La stessa previsione, di un’età media per andare in pensione pari a 71 anni, per chi accede oggi al mercato del lavoro in Italia, non è molto incoraggiante: tanti giovani e laureati lasciano il Paese, complicando ulteriormente le condizioni del quadro generale.
Le disuguaglianze sono in forte crescita, per ridurre questi divari economici, occorre ridistribuire la ricchezza, attraverso un lavoro regolare, salari e pensioni dignitose. In Futuro, l’Inps non potrà più erogare pensioni superiori ai 4500 euro mensili.
L’approvazione del recente decreto Coesione, non ha dato nessuna speranza. Infatti il testo approvato non tratta minimamente di salario minimo e neanche dell’obbligo di trasformare entro 3 mesi, tutti i contratti precari in contratti a tempo indeterminato, al riguardo riporto parte dell’intervento del Deputato M. Grimaldi.
Dipende anche da noi, dobbiamo pretendere rappresentanti preparati onesti e attenti ai problemi. La politica deve rispondere a queste nuove esigenze con più rapidi istituti, con ad esempio i referendum online. Occorre recuperare alcune pratiche rappresentative, è necessario un maggiore impegno da parte di tutti, “ma si sa, la partecipazione alle assemblee pubbliche richiede e costa tempo, e abitualmente non siamo disponibili a rinunce personali per il bene della collettività”.
Domandiamoci a quante assemblee e Consigli Comunali abbiamo partecipato o seguito via Web? Ancora più sconcertante, la circostanza che in alcuni ambienti, come la scuola, considerata la fornace per amalgamare i mattoni della Costituzione, (ovvero la principale istituzione per preparare i cittadini ai principi democratici), si concentra di più sul coding, tralasciando la spiegazione e il valore dei diritti. Addirittura, in questi luoghi, non si svolgono neanche più assemblee per parlare di proposte e rinnovo dei contratti. “I sindacati sono la penna dei lavoratori, dovrebbero raccogliere le istanze prioritarie e contrattare con i datori e legislatori,” ma siamo al punto, che le Rsu sottoscrivono i contratti senza ascoltare le maestranze: lo stesso personale non ha mai letto e capito gli articoli della prima Legge della Repubblica. – Situazione desolante –, e pericolosa per il futuro, perché alcune forze politiche approfittando di questo vuoto culturale democratico, insistono per realizzare la modifica del nostro assetto repubblicano: l’autonomia differenziata per le regioni a statuto ordinario: e il disegno di legge costituzionale (Ddl Casellati) sul premierato.
Qualche spiraglio potrebbe arrivare attraverso le nuove tecnologie, oggi i cittadini, potrebbero definire ad esempio le prime cinque priorità per una città, e rivolgere queste istanze ai vari candidati sindaci. Prima del voto, gli stessi candidati sarebbero obbligati a presentare e spiegare le proprie proposte, con i relativi tempi e costi di esecuzione. In questa maniera oltre ad avere una maggiore chiarezza dei programmi elettorali, il cittadino potrebbe di fatto scegliere consapevolmente, e dopo le elezioni iniziare a monitorare l’avanzamento del progetto politico scelto dalla maggioranza della comunità. Tra le primarie esigenze del cittadino, c’è sempre la richiesta di un’occupazione stabile con un reddito sufficiente per una vita dignitosa, e io aggiungo un piano industriale globale valido per almeno i prossimi 10 anni. Non a caso la nostra Repubblica è fondata sul lavoro, ma se il lavoro è diventato flessibile, e il collocamento è passato nelle mani dei privati, decade il fondamento della nostra Costituzione e della coesione sociale.
Da non trascurare, la crescente denatalità, che ancora non trova la primaria posizione tra i problemi più urgenti da affrontare per la politica. La stessa preoccupante riduzione del potere di acquisto che si aggira intorno al 38%, in questi anni post-pandemici, per circa l’80% dell’intera popolazione, determinando quindi una diminuzione dei consumi, e conseguentemente una perdita di occupazione. “I tempi biblici per la conclusione dei processi”, vanificano la giustizia, e allontanano i cittadini delusi dalla vita comunitaria. Temi caldi che peggiorano i dati già critici.
Alla base di questo studio vi è l’analisi di tutte le attività svolte dalla nuova Agenzia nazionale per lo Sviluppo. Ho cercato di capire se gli interventi di Invitalia hanno favorito il ri-collocamento dei lavoratori over 50 licenziati da aziende private: imprese localizzate in un territorio dichiarato, per la grave situazione occupazionale-economica “area di crisi industriale complessa picena”. In particolare ho esaminato la situazione della Valle del Tronto-Piceno, una delle provincie più ricche del Centro-Italia, negli anni ’70. Sono partito dallo sviluppo industriale dei primi anni ’60, per arrivare ad esaminare le cause e i fattori che hanno determinato la de-industrializzazione, fino all’intervento di Invitalia per la riqualificazione e rilancio del territorio. Specificatamente, ho cercato di comprendere quali risultati hanno avuto gli interventi di Invitalia per i disoccupati.
Ho limitato la mia analisi solo alla fascia di lavoratori che al momento del licenziamento avevano un’età anagrafica compresa tra i 42 e 49 anni, perché considerata maggiormente debole: questi disoccupati over 50, considerati giovani per la pensione e vecchi per lavorare, restando senza occupazione e reddito, sono vittime predestinate alla povertà. Sono state evidenziate le sostanziali differenze tra le tutele per il lavoro pubblico stabile rispetto al lavoro privato, sempre più flessibile, rimarcando la necessità di provvedimenti legislativi urgenti, ancor prima degli interventi di Invitalia.
A riguardo, non va assolutamente dimenticato l’indebolimento iniziale dell’art. 18, causato dalla legge 92 del 2012, che aveva di fatto reso quasi impossibile la reintegra, per i lavoratori ingiustamente licenziati per motivi economici (reintegra sostituita nella maggioranza dei casi da 12 a 24 mensilità). Poi definitivamente abolito, per i nuovi assunti, dal Jobs Act del 2015 (rendendo valido il licenziamento anche solo per una mera riorganizzazione dell’impresa, anche solo per fare profitto).
Di fatto, i disoccupati over 50, si sono trovati contemporaneamente; senza tutela contro il licenziamento: con l’innalzamento dell’età pensionabile (passata dai 55 anni del 2014 ai 67 anni attuali): senza un ammortizzatore economico che possa compensare l’assenza di un salario e la non meno importante contribuzione pensionistica.
«Per capire, “significa avere superato da qualche anno, i 50 anni: con una famiglia, un mutuo, figli all’università, senza potere contare su di un reddito, e con le bollette che arrivano puntuali ogni mese”. Questa è la situazione, trovarsi a 55 anni in un centro per l’impiego, dove le offerte di lavoro considerano già un 35enne obsoleto: “per cui ci si sente abbandonato dalla società, l’unico aiuto e sostegno, è quello familiare”».
Purtroppo è stata rilevata pure l’inadeguatezza della classe politica locale, del tutto indifferente al disaggio economico-occupazionale-sociale dei cittadini senza occupazione. (Ogni sindaco, in base alla Costituzione, dovrebbe promuovere il benessere economico e sociale del cittadino).
Si è persino accertato che fino ad ora (nonostante sono state concesse, cospicue risorse del PNRR, per ridurre la disoccupazione e migliorare la coesione sociale) nessuna PA ha convocato un Consiglio comunale, per affrontare almeno questi argomenti: – quanti disoccupati sono presenti sul territorio, divisi per fascia anagrafica; – quali interventi intende l’Amministrazione adottare per aiutare questi cittadini senza occupazione e reddito; – quale è il progetto di sviluppo economico-industriale per il futuro.
La ricerca ha evidenziato che quantunque gli ingenti investimenti, iniziati nel 2017 fino ad oggi, sostenuti da Invitalia, solamente il 25% di questa fascia di lavoratori è riuscita a ricollocarsi. Domandiamoci: ma gli altri, il 75%, come sopravvivono? Sono Cittadini diventati invisibili quando chiedono “un sostegno o un lavoro, ma allo stesso tempo sono visibili per pagare le tasse”. (Nella manovra 2024 è stata introdotta una soglia di 8500 euro per la No Tax area Irpef unificata per dipendenti e pensionati). “La povertà non si vede è solo occultata dalla pubblicità”.
Rimuovere le differenze di trattamento tra gli esonerati di piccole aziende, che “sono abbandonati a casa senza reddito e a volte persino senza Tfr, rispetto ai dipendenti di banche e grandi aziende che invece restano a casa con circa l’80% dell’ultimo salario, pagato dall’impresa fino al raggiungimento della pensione”, è una condizione improrogabile; occorre creare un fondo nazionale per finanziare il prepensionamento di tutti i licenziati e disoccupati che superano i 58 anni.
Per ottenere risultati importanti, per l’occupazione – sostengo – non sono sufficienti solo le ingenti risorse e agevolazioni rese disponibili dall’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo, ma sono di vitale importanza la partecipazione e la sinergia degli enti locali; i quali sicuramente conoscono o dovrebbero conoscere meglio le aspettative di sviluppo del proprio territorio, come chiarito più avanti.
Ho scritto questo libro soprattutto per sollecitare una discussione aperta e critica su questi argomenti: il lavoro e la sua evoluzione, diritti mancati e le tutele soppresse, ci sono riforme che devono essere completate e richiedono interventi urgenti. Mi auguro di suscitare interesse e nuovi dibattiti su questi temi così importanti.
Ormai si sa con certezza, i salari bassi creano esclusione sociale; la precarietà è diventata un sostituto dell’innovazione senza controllo, e disincentiva lo sforzo dei lavoratori; la flessibilità attira settori a basso investimento: la corsa al ribasso delle retribuzioni per le fasce più deboli corrisponde inevitabilmente alla disgregazione sociale, perdita di diritti ed erosione del welfare state. Manca persino il rispetto nel comunicare il licenziamento; utile sarebbe un obbligo di pre-avviso almeno di 45 giorni, per aver il tempo di riorganizzarsi e per cercare un nuovo impiego.
«La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica, giusto? Occorre superare le divisioni fra capitale e lavoro, industria e agricoltura, produzione e cultura
Adriano Olivetti»
Invitalia, rilancio delle aree di crisi industriali: riqualificazione e riconversione del Piceno
Invitalia, rilancio delle aree di crisi industriali: riqualificazione e riconversione del Piceno, riforme urgenti per ridurre disuguaglianze e divari economici-sociali
Introduzione
Alla base di questo studio vi è l’analisi di tutte le attività svolte da Invitalia, l’Agenzia di proprietà del Ministero dell’Economia, creata per lo sviluppo industriale e la crescita economica, fondamentali per la Nazione. Principalmente, ho esaminato, il supporto offerto alle imprese e l’aiuto per l’occupazione nelle zone in recessione industriale-economica: in particolare l’impegno per il rilancio dei territori dichiarati aree di crisi industriale , soffermandomi sulla verifica e la quantificazione dei risultati concreti per i disoccupati.
Motivazioni
Le ragioni che mi hanno spinto ad approfondire questo argomento, hanno una duplice natura. Il mio interesse per Invitalia e per il rilancio dell’area di crisi industriale complessa “Valle del Tronto-Piceno” è stato influenzato e sicuramente incentivato dalla mia diretta e personale esperienza. Nel 2014 sono stato licenziato da una multinazionale che chiudeva e abbandonava il Piceno. Rimasto senza occupazione ho iniziato a cercare un nuovo impiego. Presto mi sono reso conto della profonda desertificazione industriale della provincia ascolana, e dell’estrema difficoltà, per rientrare nel mercato del lavoro, avendo superati i 45 anni: “solo in questa circostanza si comprende realmente l’importanza di vivere in un’area economicamente sviluppata dove sarebbe stato sicuramente più facile ricollocarsi.” In questa disagevole situazione, per cercare di “smuovere” le istituzioni, sono stato obbligato, insieme ad altri lavoratori a costituire una libera aggregazione chiamata Disoccupati Piceni, per sollecitare la Regione ad approvare un Progetto di riconversione e re-industrializzazione del Piceno, progetto poi approvato nel 2017.
Obiettivo e finalità
Il mio intento è stato di fornire uno studio accurato degli interventi e delle agevolazioni gestite da Invitalia: per lo sviluppo dei territori, per l’attuazione di politiche di coesione, e la promozione di programmi industriali strategici utili per riqualificare le aree caratterizzate da una forte crisi economica con alti tassi di disoccupazione. Ho deciso di esaminare il caso concreto “dell’area di crisi industriale complessa picena” , e il relativo Accordo di programma, necessario per il rilancio industriale e in particolare per il reimpiego dei lavoratori licenziati.
La ricerca in questo modo, mira a presentare nuove interpretazioni per l’attività dell’Agenzia nazionale per lo sviluppo. Per valutare l’efficacia del ricollocamento, è stata condotta un’indagine attraverso un questionario-intervista limitata ai disoccupati over 50, di ambosessi residenti nell’area di crisi: provenienti da diversi settori aziendali, con differenti titoli di studio, e da almeno sei anni senza occupazione.
Composizione
Il libro si compone di tre capitoli. Nel primo, ho considerato i caratteri generali, le origini e l’evoluzione di Invitalia: l’Agenzia costituita per dare impulso alla crescita, per promuovere e tutelare iniziative occupazionali e accelerare lo sviluppo del Paese.
Ho rappresentato in maniera dettagliata le varie competenze e attività supportate dall’agenzia per favorire la politica di coesione e lo sviluppo sostenibile sia da un punto di vista sociale che ambientale come: – la gestione di tutti gli incentivi nazionali per favorire nuove imprese soprattutto quelle gestite da giovani, donne, Neet e start-up innovative; – la promozione di programmi industriali strategici per la filiera degli autobus elettrici, rinnovabili, batterie, la logistica agroalimentare, e i Contratti di sviluppo essenziali per rafforzare il tessuto produttivo, turismo e commercio; – lo sviluppo dell’economia circolare, industria 4.0, e le politiche di coesione territoriale attraverso i Contratti Istituzionali di Sviluppo per potenziare le infrastrutture ferroviarie e stradali; – la valorizzazione del patrimonio culturale, un importante volano economico e sociale per i territori; – il rilancio del Mezzogiorno e dei territori soggetti a grave recessione economica e perdita occupazionale, attraverso la legge 181/89; – ausilio alla de-carbonizzazione dell’industria pesante (hard to abate); – il monitoraggio e l’affiancamento alla PA per la gestione dei Fondi Nazionali, Europei, e l’accelerazione degli investimenti del PNRR.
Nel secondo capitolo, esamino l’attività e la competenza principale di Invitalia: il sostegno alle imprese e all’occupazione nei territori in difficoltà economica, in primo luogo nelle zone dichiarate aree di crisi complessa industriali. Ho approfondito l’impegno dell’Agenzia per la riqualificazione dei territori dichiarati Aree di crisi industriale complessa , duramente colpiti dagli effetti della crisi di una grande impresa oppure addirittura di un intero settore industriale. Ho evidenziato anche il supporto offerto a tutti i soggetti interessati al lavoro autonomo, all’auto-imprenditorialità attraverso diverse agevolazioni come: Smart e Start 2023, Oltre Nuove imprese a tasso zero, SELFIEmployment 2023, Resto al Sud 2023, e la Nuova Marcora utilizzata per la creazione di nuove cooperative e particolarmente per il Worker buyout.
Nell’ultimo capitolo ho esaminato il caso reale dell’area di crisi industriale complessa della Valle del Tronto Piceno-Valle Vibrata: ho descritto le caratteristiche, le criticità e i fattori di complessità della crisi. Specificamente oltre ad esaminare i dati del mercato del lavoro come, il tasso di occupazione, disoccupazione e inattività, ho analizzato il progetto elaborato da Invitalia, per la riconversione della Valle del Tronto-Piceno, soffermandomi sul re-impiego dei lavoratori licenziati.
Risultati, questionario-intervista
Nella parte finale del terzo capitolo, ho approfondito i risultati ottenuti dall’analisi del questionario-intervista: esponendo gli elementi più rilevanti dell’indagine svolta, come la valutazione dell’efficacia degli interventi dell’Accordo di programma per il ricollocamento delle maestranze licenziate: inoltre attraverso questo lavoro di ricerca è stato possibile esaminare alcuni significativi fattori legati alla perdita d’impiego, i risultati sono stati illustrati nelle osservazioni conclusive.
Mercato senza regole, causa di povertà
In questi ultimi anni, sono sempre più marcate le differenze tra le tutele riservate al lavoro pubblico stabile rispetto a quello privato fortemente flessibile e precarizzato, nel quale oggi è difficile persino difendere i propri diritti, dall’orario, alla retribuzione fino ad arrivare alla vessazione della maternità. Nel settore privato è prevalso un modello economico dove centrale è stata la logica di un mercato senza vincoli e regole, dominato da aziende oligopolistiche interessate solo a massimizzare i propri profitti, determinando enormi divari sociali e territoriali. Interi distretti industriali, finanziati con risorse pubbliche, sono stati smobilitati e trasferiti all’estero, lasciando aree desertificate e migliaia di lavoratori over 50 senza occupazione e reddito.
Democrazia sempre più fragile
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro, così recita la nostra Costituzione. In questi anni, il potere economico con l’appoggio politico e il silenzio di alcuni sindacati, ha intaccato e demolito numerosi diritti e leggi, rendendo il lavoro dipendente sempre più precario e male remunerato: cosicché la nostra democrazia è sempre più fragile. Il diritto a un lavoro sicuro e ben retribuito è diventato un privilegio per pochi.
Per bilanciare la precarietà lavorativa serve un’assicurazione
Per bilanciare la richiesta sempre più forte di flessibilità lavorativa da parte delle imprese, occorre restituire sicurezza economica ai lavoratori, attraverso una assicurazione oppure un assegno civico, per compensare la perdita di reddito annuale. Ogni anno a dicembre, l’Istat dovrebbe stabilire il reddito minimo annuale per vivere, in modo che il Comune di residenza possa erogare mensilmente attraverso l’assegno, la compensazione direttamente al lavoratore precario. Questa assicurazione deve essere sostenuta dalle aziende che chiedono la flessibilità, dallo Stato centrale, la regione, il comune di residenza e il lavoratore. Soltanto con una entrata economica certa, il precario può continuare a vivere dignitosamente e mantenere i propri consumi.
Democrazia incompiuta
In molti settori le decisioni sono prese senza rispettare le regole democratiche. Riporto, le parole pronunciate dal politologo Norberto Bobbio in un’intervista del 1985 a Torino: “Una delle promesse disattese della nostra Repubblica democratica, è che la democrazia politica non si è estesa a tutta la società. Ci sono molti luoghi in cui le regole della democrazia sono state istituite, ma non sono osservate, come nei partiti o alcuni sindacati. Il centro di potere in cui sarebbe fondamentale estendere le regole democratiche, è la fabbrica. Nella fabbrica non esiste un regime democratico, le decisioni sono prese solo da una parte, escludendo i lavoratori”. Ad oggi nulla è cambiato, “numerosi sono i luoghi di lavoro privato e pubblico, in cui le decisioni sono calate dall’alto”, anzi la situazione sembra peggiorata.
Articolo 46, rimasto sulla carta
“La Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”, belle parole ma concretamente fino ad oggi questo principio è stato del tutto disatteso. I lavoratori sono sempre i primi a pagare la cattiva gestione aziendale, con il licenziamento; e gli ultimi ad essere informati sui risultati. “Le aziende devono essere ancorate al territorio, come sono ancorate le chiese, Se cambia o muore un prete, l’edificio non viene chiuso e abbandonato, ma semplicemente si sostituisce con un altro. Invece nel nostro capitalismo familiare, se cambia o muore un imprenditore, ripetutamente si chiudono i capannoni e si lasciano per strada i dipendenti”, ha detto un amico P. Giovanni. Non capisco perché i dirigenti o i manager che hanno fatto fallire le aziende hanno ottenuto laude liquidazioni milionarie, mentre i lavoratori che hanno sempre fatto il loro dovere sono stati abbandonati al loro destino, senza TFR”.
La mancata cogestione delle risorse pubbliche accresce il debito pubblico
Lo Stato continua ad elargire, ogni anno, decine di miliardi di risorse pubbliche, alle imprese, senza pretendere un rendiconto, o più semplicemente i risultati di questi investimenti. Molte imprese dopo avere incassato i fondi, hanno chiuso e delocalizzato, lasciando a casa senza reddito i dipendenti e trasferendo impianti e tecnologia all’estero.
I tempi sono maturi, anzi superati, per attuare la cogestione territoriale delle risorse statali, come avviene da anni nei Paesi del Nord Europa. Si deve affidare il controllo delle risorse pubbliche elargite, anche al territorio, attraverso la partecipazione dei lavoratori, Comuni e Regioni alla gestione aziendale: altrimenti i tagli che sono stati decisi per le pensioni, la sanità e il welfare state, con la giustificazione di ridurre il debito pubblico, sono inutili, occorre una gestione più oculata, da buon padre di famiglia, per le nostre risorse pubbliche.
Una Giustizia lenta, tutela i disonesti e allontana i cittadini
La magistratura dovrebbe verificare se le norme sono rispettate, in caso di violazione applicare le sanzioni. Lo stato democratico necessita di una magistratura rapida. Un processo per una morte sul lavoro, o per una accusa di caporalato dovrebbe concludersi in massimo 6 mesi, altrimenti i cittadini perdono la fiducia nelle Istituzioni, e le stesse aziende che agiscono investendo risorse per il rispetto delle norme sono penalizzate.
Astensionismo crescente
Altra situazione che desta preoccupazione per la coesistenza democratica, è il crescente astensionismo elettorale (intorno al 48%): “nelle ultime elezioni nazionali perfino il partito del capo di governo ha ottenuto meno del 30 % dei voti, ed ora con un fantomatico ma strategico premio di maggioranza, guida il Paese”. Senza poi tralasciare, che oggi addirittura in alcuni municipi, per l’elezione del nuovo sindaco, si presenta la sola lista del candidato uscente. In questo modo si annulla il giusto dibattito democratico necessario per la crescita di un territorio.
L’importanza di una società pluralistica
Il confronto delle idee deve sempre avvenire in una società pluralistica. “Per Pluralismo, N. Bobbio ha detto – s’intende un modello di società in cui esistono più gruppi di potere anche in contrasto tra di loro. Il potere è distribuito tra i gruppi, in modo da evitare l’eccessiva concentrazione di potere”. La nostra Costituzione deve proteggere sia l’individuo come tale e nel contempo anche l’ambito delle formazioni sociali di cui fa parte.
Una società pluralistica corre due rischi: un eccesso di pluralismo, vale a dire la frantumazione oppure la mancanza di pluralismo, ovvero la concentrazione, l’egemonia. “Essa deve essere una società in equilibrio tra il pericolo dell’anarchia dall’alto verso il basso e il potere monocratico verso l’alto”. Ad ogni modo, il confronto e il dibattito devono avvenire in una società in cui la persona e gruppi differenti, per cultura, etnia, religione, stato sociale, idee politiche, o altro, riescono a convivere e coesistere nella tolleranza reciproca.
Over 50 penalizzati da Riforme sbagliate
Questa fascia anagrafica della popolazione, è stata fortemente penalizzata, da alcune riforme (sbagliate da correggere) che hanno rimosso contemporaneamente la tutela al licenziamento e alzato l’età pensionabile (da 58 a 67 anni), senza prevedere un ammortizzatore specifico per questi lavoratori: in caso di licenziamento, essi sono vittime predestinate alla povertà perché, giovani per la pensione e vecchi per lavorare. I disoccupati over 50 sono penalizzati dall’età anagrafica e da nuovi incentivi, che li escludono o rendono quasi impossibile trovare un lavoro regolare, dopo i 50 anni. Situazione maggiormente difficile, in un territorio dichiarato area di crisi industriale, e peggiore per il genere femminile. “Le due cose più importanti non compaiono nel bilancio di un’impresa: la sua reputazione ed i suoi uomini”, Henry Ford.
Il disoccupato una risorsa per le agenzie che organizzano corsi fantasmi
Riporto uno dei tanti messaggi ricevuto da un disoccupato di 59 anni, che volentieri farebbe un corso di formazione per ottenere al termine una occupazione stabile. “Abbiamo avuto il suo nominativo dal centro per l’impiego. Questo vuol dire che Lei è stata inserita nel Programma Gol, che consiste nello svolgere qualche ora in attività di orientamento e/o partecipare ad attività formative presso la nostra Sede. Come da normativa, non potrà rifiutare e potrebbe incorrere in sanzioni (perdita della disoccupazione, Naspi, Reddito di Cittadinanza”. In realtà è il quarto corso inutile a cui partecipa, senza nessuna garanzia di un impiego.
Le agenzie è evidente offrono corsi ai disoccupati, solo per accedere ai fondi europei e regionali. La Regione dovrebbe finanziare solo corsi che garantiscono al termine della formazione un lavoro concreto.
Mezzadria economica
Passano i tempi, ma lo sfruttamento (alimentato dalla scarsa conoscenza dei propri diritti – ignoranza democratica –) permane. “Oggigiorno, di frequente pur avendo un’occupazione, si conduce una vita al limite della povertà”. Sono questi gli anni, in cui si evidenziano sempre più gli effetti negativi, della cosiddetta mezzadria economica, così denominata perché simile per alcuni aspetti alla mezzadria agricola, in quanto oggi come nel passato il mezzadro o il lavoratore (scarsamente informato) pur avendo a disposizione un terreno, o un impiego rimane estremamente povero. Nel nostro tempo, il mercato del lavoro privato è sempre più flessibile, pur lavorando, gli stipendi percepiti in molti settori sono bassi e insufficienti per assicurare una vita dignitosa, incredibile si parla ancora di povertà assoluta.
L’informazione condizionata, e l’ignoranza favoriscono la povertà
La forza di persuasione della Stampa e dei mass-media assoggettati più volte al potere economico riescono ad imprimere idee e pensieri che non sono utili alla convivenza sociale. Molti Cittadini, poco informati democraticamente, “conoscono tutti i regolamenti dei tornei di calcio, le relative formazioni e pure gli ingaggi,” ma non conoscono i propri assessori e ministri, e neanche il bilancio del proprio Comune. Il fatto più drammatico è che hanno smesso di usare la propria intelligenza.
«Che cosa favorisce il potere dei pochi sui tanti? “L’ignoranza, che contagia i tanti e fa loro credere che la realtà sia diversa da quella da loro vissuta. Ed i pochi, coscienti di come l’ignoranza altrui sia l’arma fondamentale di chi vuole sfruttamento e discriminazione degli altri, perpetuano l’ignoranza, impedendo condivisione della conoscenza”, perché solo la conoscenza favorisce la libertà, cosi rispose A. Camilleri, in un’intervista”». Per una comunità umana che si è evoluta attraverso la collaborazione e partecipazione di tutti, potrebbe diventare un problema.
Chiarezza sull’assistenzialismo e gli aiuti di Stato alle imprese
«Va subito detto che il vero disoccupato chiede una occupazione stabile, che lo rende partecipe della Comunità.
“Nelle situazioni più difficili, in cui il soggetto è da anni senza un impiego, con un ISEE familiare inferiore a 6 mila euro, ovvero in povertà assoluta, era stata decisa l’erogazione di un reddito di cittadinanza, senza copertura contributiva”. La stampa si è molto infervorita sulla concessione dell’Rdc (circa 400 euro al mese). “Sono state create campagne per demonizzare questo finto sostegno, che in ogni caso aiutava a sopravvivere e alimentava un certo consumo di prossimità”. Complessivamente il Rdc aveva un costo di circa 5 miliardi all’anno. Tuttavia quasi nessuno ha parlato degli sgravi fiscali, bonus e agevolazioni economiche concesse ogni anno, senza quasi nessun controllo alle imprese (fino a 24 mila euro in tre anni per assumere un disoccupato). “Non si è parlato per niente, anzi sono stati dimenticati i circa 220 miliardi concessi, negli ultimi anni, solo alla ex prima industria italiana (impresa con più di 100 mila dipendenti), poi tranquillamente ceduta, senza che il Governo abbia opposto la famosa *Golden Share*, usata invece per proteggere un’azienda molto più piccola il cui business è la produzione e la distribuzione di contenuti audiovisivi”».
Nel 2023, in Italia spesi per l’azzardo quasi 150 miliardi.
Ecco dove trovare le risorse per finanziare un ipotetico assegno di disoccupazione, e incrementare quello famigliare ancora troppo basso, per sostenere le neo mamme.
A.I. è una realtà, occorre un reddito universale
L’intelligenza artificiale, o meglio le macchine intelligenti stanno sostituendo a ritmi sempre più elevati, gli uomini nei lavori faticosi e ripetitivi. La maggioranza di questi lavoratori, circa l’85%, che sono sostituiti o meglio saranno rimpiazzati in futuro dalle macchine, ha un’età compresa tra i 45 e 60 anni. Inevitabilmente per aiutare questi cittadini per vivere e mantenere lo stesso tenore di vita, serve un reddito universale. Altrimenti la brusca riduzione dei consumi, dovuta alla mancanza di reddito, avrà come immediata conseguenza la riduzione dell’occupazione.
A livello europeo avanza la proposta sulla possibilità di un **prelievo fiscale su un eventuale reddito da lavoro imputabile ai robot*.
Fattori principali che determinano un salario basso
Un salario può definirsi basso (nel Centro Italia, in una città di media dimensione) se inferiore a circa 1800 euro mensili, soglia minima per una vita dignitosa: questi elementi determinano un salario basso: – l’assenza di una paga oraria minima (in Europa, la direttiva sul salario minimo è stata adottata dal 4 ottobre 2022), oggi sono necessari almeno 12 euro netti per ora (36-40 ore settimanali), per porre un limite alla povertà salariale; quando è necessario, i diritti si devono rivendicare. – altra causa è l’esplosione dei contratti somministrati stipulati dalle agenzie di lavoro interinale (ricordiamo alcune delle riforme che hanno inciso sulla flessibilità del lavoro, legge Treu 196/1997 – D. Lgs 276/2003 Biaggi – Jobs Act Renzi). Il lavoratore viene assunto e retribuito dall’agenzia, per soddisfare le esigenze di un’altra impresa. Si tratta di lavoro occasionale, per brevi periodi. La condizioni di lavoro, la durata e la stessa retribuzione sono negoziate tra l’agenzia interinale e il lavoratore: il lavoratore che ha la necessità di un salario è sempre il contraente più debole, costretto ad accettare condizioni peggiorative e la stessa commissione imposta dall’agenzia per il servizio offerto. Purtroppo si sono verificati, casi di trasformazioni di contratti a tempo indeterminato in contratti interinali. (Per tutelare i lavoratori, la stipula oppure la registrazione di ogni nuovo contratto dovrebbe avvenire presso il centro dell’impiego, o il Comune di residenza del lavoratore). Questi enti dovrebbero controllare i caratteri generali del contratto e proteggere il lavoratore da abusi;
In passato il collocamento al lavoro era un servizio pubblico gratuito, oggi questo servizio è stato privatizzato: i lavoratori pagano direttamente, parte del salario è trattenuto dalle stesse agenzie; non passano inosservati i fatturati del 2022 delle agenzie di lavoro temporaneo, (vedi Tab. AA). – la mancanza di una Paga oraria doppia per i Contratti giornalieri, oggi il salario minimo giornaliero non può essere inferiore a 80 euro; – l’omessa tecnologia per una maggiore informazione e trasparenza democratica, in modo particolare per i nuovi contratti, decreti e leggi; – la cancellazione dell’adeguamento dei salari agli aumenti dei prezzi, la nota scala mobile è stata definitivamente soppressa il 31 luglio 1992; – una contrattazione aziendale poco sviluppata, la mancanza di democrazia negli ambiti lavorativi impedisce un corretto confronto per chiedere la ridistribuzione della ricchezza attraverso i salari;
la tassa occulta della pubblicità che tutti i lavoratori (consumatori) pagano senza accorgersene. La realizzazione di uno spot pubblicitario ha un costo che incide poi sul valore complessivo della merce, perché l’azienda per recuperare le spese, alza il prezzo finale del prodotto. (Va ricordato: le spese di pubblicità e di propaganda sono disciplinate, sotto il profilo fiscale, dall’art. 108, 2 comma, TUIR, insieme alle spese di propaganda. Le spese di pubblicità e propaganda sono interamente deducibili). Altro punto controverso legato alla pubblicità, è il fatto che molte delle grandi aziende invece di versare l’intera somma delle tasse all’erario (necessarie per sostenere i servizi essenziali alla collettività, pensioni, sanità), hanno la facoltà di detrarre le imposte in pubblicità (il d.lgs. del 21 novembre 2014 n.175, ha stabilito che le spese di pubblicità e propaganda usufruiscono di una detrazione pari al 50%), questo mancato introito da parte dello Stato, si ripercuote direttamente sui servizi e sugli altri contribuenti costretti ad un maggiore esborso, riducendo di conseguenza il proprio potere d’acquisto;
il diritto negato ai lavoratori di partecipare alla gestione delle aziende che hanno ricevuto risorse pubbliche, per evitare le delocalizzazioni e l’uso scorretto di questi fondi statali. In numerosi Paesi si attua la cogestione territoriale delle risorse pubbliche, pratica che agevola il controllo e persino una maggiore distribuzione degli utili ai dipendenti. Ogni impresa che riceve un contributo statale superiore al milione, dovrebbe introdurre nel board aziendale un comitato locale (formato da un rappresentante dei lavoratori, del Comune e Regione): il quale partecipa ogni sei mesi ad una riunione per essere informato sull’uso del finanziamento ricevuto e l’andamento complessivo aziendale. “Si deve passare da un capitalismo familiare ad uno territoriale”. Tutto il sistema formato da, imprese, banche, Comuni (da cui dipendono le infrastrutture viarie, energetiche, telematiche) compete unito, curando gli interessi dei cittadini, dell’intero territorio, dando vita all’Economia di comunità;
il 90% delle imprese sono aziende familiari (con meno di 15 dipendenti) e sovente sono aziende a basso contenuto tecnologico, (non investono e non fanno ricerca) oggi la concorrenza è globale. Stiamo sostituendo le multinazionali con i bar e i B&B, i quali non possono garantire gli stessi salari alti. In molti casi, la bassa istruzione e formazione sia degli imprenditori che dei dipendenti rallenta la crescita della produttività;
L’incapacità di collaborare e di creare una forte sinergia tra territorio, impresa, lavoratori, sistema creditizio e istituzioni locali, ostacola la sopravvivenza di una azienda, indebolisce l’intero distretto e aumenta i costi. Ogni soggetto in base ai propri interessi dovrebbe contribuire per rafforzare la crescita del proprio territorio industriale: al fine di evitare la chiusura e la vendita di aziende. La vendita di una azienda strategica con i relativi brevetti, in un particolare territorio, significa danneggiare e in molti casi distruggere l’intero sistema industriale-economico.
il sistema trasporto complessivo è basato principalmente su gomme, del tutto inadeguato e poco competitivo, rispetto alle vie ferrate ad alta velocità e le vie del mare. I trasporti incidono quasi per il 30% sul costo finale delle merci, condizionando negativamente le retribuzioni.
Il vetusto persistere, in alcuni settori economici, di negare o meglio tentare di sconsigliare la maternità oppure continuare ad erogare solo incentivi per assumere lavoratori con età inferiore ai 35 anni, sottili discriminazioni che costringono i lavoratori ad accettare mansioni con basse retribuzioni. A riguardo segnaliamo l’interessante Rapporto sulla discriminazione per età, presentata sul sito di Atdal (Associazione Nazionale per la tutela dei diritti dei lavoratori over40 sito: atdal.eu), uno studio finanziato dalla Direzione Generale Giustizia della Commissione UE, si tratta di un questionario-intervista anonimo. – l’abolizione del noto art. 18 legge 300/70 (la tutela alla reintegra in caso di licenziamento illegittimo), ha limitato la forza contrattuale dei lavoratori e favorito la stasi economica dei salari. Il potere d’acquisto delle retribuzioni, con l’inflazione galoppante, si è ulteriormente abbassato, si è persino verificata una forte contrazione dei consumi, e una preoccupante riduzione del gettito fiscale per lo Stato. Elementi che uniti alla bassa-natalità hanno costretto l’Inps a ridurre il valore delle pensioni ed alzare l’età pensionabile.
Nel nostro Paese, che fa parte del G7, le diseguaglianze sono in crescita, basta pensare che nella facoltosa Milano, capitale della moda e dello shopping, c’è chi bagna la propria fuoriserie con costosi spumanti, mentre a due isolati, ci sono decine di persone in fila perché non si possono permettere un pasto giornaliero. Senza tralasciare, dipendenti licenziati, fuori dai cancelli per rivendicare il posto di lavoro, mentre i primi robot umanoidi compaiono sulle linee di produzione, oppure i tanti giovani senza occupazione isolati a casa, mentre i settantenni muoiono nei cantieri. Alla luce delle osservazioni fatte e delle ipotesi che arriveranno, credo che due sono i concetti principali da tenere in considerazione. La nostra società si fonda su norme, diritti e doveri inseriti nella nostra Costituzione, per cui è necessario che ognuno di noi, debba conoscere e capire questi principi, e come suggerito da una intervista, “se in terza media non si conosce a memoria la Costituzione e lo Statuto dei lavoratori, non si può accedere alle superiori, perché la bassa cultura favorisce la dittatura e la miseria”. La seconda è l’importanza di insegnare il rispetto dell’essere umano e dell’ambiente che ci ospita, per cui l’economia deve essere uno dei mezzi per vivere meglio e migliorare la nostra convivenza.
“Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia. L’utilità della ricchezza sta nelle cose che ci permette di fare, nelle libertà che ci aiuta a conseguire; ma questa correlazione non è né esclusiva, né uniforme”, (Amartya Sen).
1.
Invitalia: L’Agenzia nazionale per la crescita d’impresa e per l’attrazione degli investimenti
1.1 Origini ed evoluzione dell’Agenzia per lo sviluppo, di proprietà del Ministero
Lo sviluppo e la crescita sono fondamentali per una Nazione. La prima Agenzia nazionale per lo sviluppo è stata istituita a Roma, con il nome Sviluppo Italia S.p.A., ai sensi del decreto legislativo n. 1 del 9 gennaio 1999, integrato in seguito dal d.lgs. 14 gennaio 2000, n. 3 (Disposizioni correttive ed integrative concernenti la società “Sviluppo Italia”), in cui si affermava «“la società ha per scopo, attraverso l’erogazione di servizi e l’acquisizione di partecipazioni,” di sostenere attività produttive, attrarre investimenti, promuovere iniziative occupazionali e nuova imprenditorialità, “sviluppare la domanda di innovazione, sviluppare sistemi locali d’impresa, anche nei settori agricolo, turistico e del commercio, purché le predette attività siano sempre correlate a iniziative d’impresa concorrenziali; dare supporto alle amministrazioni pubbliche centrali e locali per la programmazione finanziaria, la progettualità dello sviluppo, la consulenza in materia di gestione degli incentivi nazionali e comunitari”». Lo stesso decreto ha disposto il riordino e la fusione delle seguenti imprese pubbliche, SPI S.p.A., Italia Investimenti S.p.A. (attività finanziarie – ex GEPI), IG (S.p.A. per l’imprenditorialità giovanile), Insud (promozione e sviluppo di imprese turistiche e termali), Ribs (strumento operativo del Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali sul risanamento agro-industriale zuccheri), ENI-Sud, Finagra S.p.A. (promozione nel settore agro alimentare) in un’unica azienda Sviluppo Italia S.p.A. per rilanciare lo sviluppo industriale del Mezzogiorno d’Italia dopo la scomparsa della Casmez.
Ulteriori competenze sono assegnate all’Agenzia nazionale per lo Sviluppo dalle seguenti norme: – la Legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria per il 2003) ha disposto, all’articolo 73 (Estensione di interventi di promozione industriale) che su proposta del Ministro delle attività produttive “gli interventi di promozione industriale della Legge 15 maggio 1989, n. 181, applicabili solo al settore siderurgico siano attuati anche in aree interessate da crisi di settore nel comparto industriale”, provvedimenti finalizzati in primo luogo alla salvaguardia dei livelli occupazionali esistenti, nonché allo sviluppo del tessuto economico locale; – la legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria 2004) ha istituito, all’articolo 4 (Finanziamento agli investimenti), commi 106-111, un Fondo rotativo nazionale per interventi temporanei e di minoranza nel capitale di rischio delle imprese produttive, nei settori dei beni e dei servizi; – il decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale) ha previsto, all’articolo 11 (Sostegno e garanzia dell’attività produttiva), commi 3-6, il Fondo per il finanziamento degli interventi per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà;
-la legge 31 marzo 2005, n. 56 (Misure per l’internazionalizzazione delle imprese) ha stabilito, all’art. 3 (Strutture per la formazione del personale operante nel settore dell’internazionalizzazione delle imprese) la costituzione di uffici unici per l’internazionalizzazione del sistema produttivo e l’attrazione degli investimenti esteri.
Sviluppo Italia S.p.A. possedeva complessivamente un portafoglio di circa 165 Società partecipate. Oltre la sede romana, il Gruppo Sviluppo Italia, era presente in 17 Regioni, nove nel Centro-Nord (Umbria, Toscana, Liguria, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Piemonte, Emilia Romagna) e otto del Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna).
Nel dicembre 2006, la legge n. 296 (legge finanziaria 2007) ha disposto, all’articolo 1 comma 460, che «“la Società Sviluppo Italia Spa doveva assumere la denominazione di “Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa Spa” ed era una società a capitale interamente pubblico». Dal 23 luglio 2008, la Società Sviluppo Italia S.p.A. ha assunto la denominazione di Invitalia S.p.A. di proprietà del Ministero dell’Economia. La nuova Agenzia nazionale per lo sviluppo, amministra e distribuisce gli incentivi per la creazione di nuove società. Rafforza le aziende, sostiene i grandi investimenti per lo sviluppo, è il punto di riferimento per le imprese estere che vogliono avviare un’attività in Italia. Rilancia le aree disagiate e in crisi. Offre servizi alla Pubblica Amministrazione per accelerare la spesa dei fondi comunitari e nazionali, inoltre è anche Centrale di Committenza e Stazione Appaltante per la realizzazione di interventi strategici sul territorio.
Sviluppo, crescita e lavoro, sono determinanti per la coesione di una nazione civile. Il lavoro fondamento della nostra democrazia, indispensabile per una vita dignitosa. Per ridurre i divari e le disuguaglianze sempre più evidenti, è prioritario restituire dignità e diritti ai lavoratori per ridistribuire la ricchezza.
NOTE
1 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 maggio 2024, n. 60, recante ulteriori disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, seduta n.316 di martedì 2 luglio 2024 alla Camera, riporto parte dell’intervento dell’onorevole Marco Grimaldi. «“L’aspetto più assurdo del decreto Coesione è che non c‘è traccia di politiche di coesione”. – Nessun coinvolgimento di un partenariato economico
e sociale, per l’ennesima volta il Governo centralizza a Palazzo Chigi la programmazione e l’utilizzo delle risorse europee nazionali e rende bilaterale la negoziazione dei processi di attuazione. Del tutto marginale è il ruolo dei Ministeri e delle regioni rispetto ai programmi che sarebbero di loro competenza. – Come la mettiamo con i regolamenti europei del ciclo programmatorio, basati sul principio di partecipazione e multilateralità? Ma è chiaro che il punto è non spendere, nemmeno un euro, per esempio, per stabilizzare a tempo indeterminato il personale amministrativo. “È chiaro che non si vuole neanche immaginare un piano straordinario di assunzione a tempo indeterminato di quel personale specializzato” – vi ricordiamo, i nostri contratti sono fermi da decenni e nessuna risorsa è prevista nella legge di bilancio per rinnovarli. E allora avanti con quei contratti a termine di collaborazione di due anni, ché tanto il precariato in Italia non è una piaga. – “Circa 4 lavoratori su 10 (il 22,9 per cento) nel Mezzogiorno, hanno un’occupazione a termine, contro il 14 per cento del Centro-Nord” . Il 23 per cento dei lavoratori a termine al Sud lo è da almeno cinque anni, e l’8,4 nel Centro-Nord; il 75,1 dei rapporti di lavoro **part time al Sud** è involontario, contro il 49,4 del resto del Paese. Non è certo, “con la liberalizzazione dell’uso del contratto a termine o l’estensione all’uso dei voucher che si affronta la precarietà lavorativa”. Non è così che si affrontano le disuguaglianze, è sbagliato insistere nel lavoro povero, che impatta fortemente sui divari tra il Nord e il Sud del nostro Paese. “Contrastare il lavoro nero, avviare percorsi di abbandono del precariato per lavori stabili e retribuiti, in ottemperanza all’articolo 36 della Costituzione, sono tra gli elementi essenziali per una vera coesione sociale”. Macché, l’unica strategia nazionale, come sempre, “è il trasferimento di risorse pubbliche a pioggia ad aziende e privati, quelle risorse sottratte alla creazione di buona e piena occupazione”, ma soprattutto dicevo: cosa dovrebbe essere la coesione? Lo chiedo perché nel decreto non c’è traccia di misure sul welfare. Sono 2,5 milioni le persone che vivono in famiglie in povertà assoluta, al Sud 250.000 in più rispetto al 2020. “La crescita della povertà tra gli occupati conferma che il lavoro, se precario e mal retribuito, non garantisce la fuoriuscita dal disagio sociale”. E quindi non c’è traccia di interventi per sanare le disuguaglianze crescenti tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno. “Non c’è traccia di strategia sulla riduzione di queste disuguaglianze territoriali” e, d’altra parte, che cosa potevamo aspettarci da chi sta mettendo in atto, di fatto, una secessione neanche troppo mascherata, da parte di chi lavora per concentrare risorse e poteri nelle regioni più forti, da chi caldeggia la definitiva regionalizzazione e privatizzazione dei sistemi sanitari e l’erosione del Servizio sanitario nazionale, o da chi pensa – lo dico proprio a lei, Ministro Fitto – di risolvere il gap infrastrutturale del nostro Paese, buttando 15 miliardi di euro sul ponte sullo Stretto di Messina? Già, perché è in particolare al Sud che i servizi di prevenzione e cura sono più carenti, minore è la spesa pubblica sanitaria, e sono più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza, soprattutto per le patologie più gravi. Non c’è traccia in questo decreto di niente di quello di cui stiamo parland . Sono 1,6 milioni le famiglie italiane in povertà sanitaria, di cui 700.000 proprio al Sud. Nel Mezzogiorno la quota di povertà sanitaria riguarda l’8 per cento dei nuclei familiari, una percentuale doppia rispetto a quella del Nord, cioè il 4 per cento. Il Mezzogiorno, secondo gli indicatori sulla salute, “è l’area del Paese caratterizzata dalle peggiori condizioni di salute”. Ma cosa ci dobbiamo aspettare da chi vuole frammentare gli ordinamenti scolastici, il sistema educativo, il diritto allo studio? Da chi vagheggia “venti staterelli in lotta fra di loro, con le gabbie salariali, i sistemi amministrativi diversi e le immigrazioni dal Sud al Nord per avere riconosciuto il suo diritto alla salute o per trovare un percorso formativo migliore e più inclusivo”? Da chi vuole legittimare normativamente il divario fra Nord e Sud e affermare un modello competitivo, contrario ai principi costituzionali? Il Fondo perequativo infrastrutturale per il Mezzogiorno assume un nuovo nome, ma ciò non nasconde il brutale taglio disposto con la legge di bilancio 2024: 3,5 miliardi, 100 milioni per ciascuna annualità, dal 2027 al 2033. Quando già oggi, al Sud, “l’aspettativa di vita è inferiore di 4 anni rispetto a quella del Nord Italia.” A causa dei piani di rientro dei deficit sanitari e del trasporto pubblico locale, le aliquote dell’IRAP, dell’addizionale IRPEF e del bollo auto sono le più alte d’Italia. “Nel 2022, l’inflazione ha fatto calare del 2,9 per cento il reddito delle famiglie meridionali”, oltre il doppio del dato del Centro-Nord. “Resto al Sud” è una misura ridicola, estemporanea e misera. Dal 2002 al 2021, hanno lasciato il Mezzogiorno oltre 2 milioni e mezzo di persone, di queste 808.000 erano under 35. Insomma, al 2080, si stima una perdita di oltre 8 milioni, vi sembra che la vostra sia una risposta? Che senso ha coinvolgere l’Ente nazionale per il microcredito, e non le reti, e non le esperienze di microcredito? Insomma, vi siete posti il problema della disparità salariale tra uomini e donne in questi contesti? Naturalmente, no. Ma voi, a monte, non vi ponete il problema dell’ingiustizia sociale. Che decreto di coesione è quello in cui non ci sono misure di lotta alle disuguaglianze? Ho finito, Presidente, e ovviamente non c’è nessuna soluzione per il personale supplente assunto per la realizzazione del PNRR. “In questo Paese il 5 per cento più ricco è titolare del 41 per cento della ricchezza,” e voi che fate? Appunto, la secessione dei ricchi, la sottrazione di ogni sostegno di reddito ai poveri, il rifiuto del salario minimo e il naufragio programmato del Mezzogiorno».
Fonte: https://www.camera.it/leg19/410?idSeduta=0316&tipo=stenografico#sed
Resoconti dell’Assemblea, seduta n.316 – Luglio Martedì 02 -.
Fonte: “https://www.camera.it/leg19/207”:https://www.camera.it/leg19/207
Diretta Radio Radicale, diretta dalla Camera dei Deputati, ore 14:17.
Fonte:
https://www.radioradicale.it/riascolta?data=2024-07-02#o=14.17.10
2 Camilleri Andrea. Che cosa favorisce il potere dei pochi sui tanti? L’ignoranza. Fonte:
https://benedettomineo.altervista.org/andrea-camilleri-che-cosa-favorisce-il-potere-dei-pochi-sui-tanti-lignoranza
3 La Fiat e l’Italia: evoluzione o tradimento? Fonte:
https://www.rai-playsound.it/audio/2024/04/Giu-la-maschera-del-26042024-ed67d6f7-e8c2-4979-9721-e314cbe55334.html
4 Direttiva (UE) 2022/2041 – Salari minimi adeguati nell’EU: Fonte:
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A32022-L2041
5 Decreto legislativo 9 gennaio 1999. Riordino degli enti e delle società di promozione e istituzione della società “Sviluppo Italia”, a norma degli articoli 11 e 14 della legge 15 marzo 1997, n. 59. Entrata in vigore del decreto: 26-1-1999 (Ultimo aggiornamento il 27/12/2006). Fonte:
https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:1999-01-09;1
6 SPI S.p.A.: Azienda pubblica fondata nel 1954 di proprietà di Cofiri (Gruppo IRI) per la Promozione e Sviluppo Imprenditoriale. Estratto delibera di fusione nello Sviluppo Italia S.p.a. Fonte: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2000/04/13/S-12017/p2
7 In origine era la GEPI (Società per la Gestioni e Partecipazione Industriali), finanziaria pubblica costituita per la ristrutturazione e la successiva vendita delle aziende private in difficoltà. Nel 1997, ha cambiato denominazione, in Italia Investimenti S.p.A. (Itainvest) e venne poi fusa nella neo-costituita agenzia Sviluppo Italia.
Fonte:
https://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/siusa/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=53600
8 Bertarini B. (2017), La riqualificazione delle aree di crisi industriale complessa. L’intervento pubblico tra mercato e persona, G. Giappichelli Editore Torino, pp. 171-172
9 La Cassa del Mezzogiorno venne istituita con legge 10 agosto 1950 n. 646. Era un ente pubblico italiano creato, per finanziare iniziative industriali tese allo sviluppo economico del meridione d’Italia. Con il D.P.R. 6 agosto 1984, Casmez venne liquidata, e sostituita, negli obiettivi e nelle funzioni, dall’Agenzia per la promozione e lo sviluppo del Mezzogiorno (AgenSud) istituita con la legge 1º marzo 1986 n. 64. Soppressa a sua volta con la legge 19 dicembre 1992 n. 488, a decorrere dal 1º maggio 1993, lasciando al Ministero dell’Economia e delle Finanze il compito di coordinare e programmare l’azione di intervento pubblico nelle aree economicamente depresse del territorio nazionale. Fonte: https://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/siusa/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=59569
10 Legge 15 maggio 1989, n. 181. Misure di sostegno e di reindustrializzazione in attuazione del piano di risanamento della siderurgia. Fonte:
https://www.normattiva.it/urires/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1989-05-15;181
11 Invitalia. Diamo valore all’Italia e impulso alla crescita. Fonte: https://www.invitalia.it/chi-siamo/agenzia
[continua]
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