In copertina: «Abissi» acrilico su tela di Maria Antonella D’Agostino
Arte
Tu sei il mio cibo,
irrinunciabile nutrimento
per il corpo e per l’anima,
dolceaspro frutto succoso
che mi sazia
lasciandomi vogliosa
quel tanto che basta
a tentarmi ancora.
INTRODUZIONE
Mille e poi mille definizioni per dire cosa è poesia, quale è la poesia, come ha da essere la parola perché sia poesia… credete io lo sappia? Forse è preghiera… ecco, la preghiera di tutti, più ancora dei non credenti. La poesia è una preghiera e i versi che trovo in questa raccolta sono le giovani preghiere di una donna che vive in una città che mi scorre nelle vene, che reco con me ovunque, vive con me, nel giorno, nella notte e nei sogni di desta e in quelli fra le morbide avvolgenti braccia di Morfeo.
Quando mi son ritrovata tra le mani la voluminosa raccolta di Maria Antonella D’Agostino, ho principiato a voltare lentamente le pagine… poi, piano piano a leggere la cascata di parole e racconti, le stagioni, i mesi, uno per uno, il mare, il vento, i fiori, l’alba, il tramonto, il Sud, la maternità, i paesaggi lucani e persino i novant’anni di zia Esterina… le candide pietre antiche e il non so che di mistero. Allora, mi son detta… è una donna! È una donna in festa che fa festa e le parole sono i piattini, le forchettine, le candeline, i festoni, le musiche, i fuochi d’artificio, le pacche sulle spalle, gli abbracci, la Festa. Poi ho dovuto chiedermi per forza chi fosse il festeggiato… e allora, leggi che ti rileggi, la risposta è venuta da sé, semplicemente, naturalmente: la VITA.
La raccolta comincia con Solo vento, e già lì è amore e poi è amore e amore ancora, lungo oltre cento pagine di parole che hanno bisogno di abbeverarsi all’essenza poetica. Chiedo perdono al mio cuore se non so vivere appieno, dice la D’Agostino denunciando con una disarmante bella semplicità il suo bisogno di fare l’università dell’Amore, di crescere nel segno dell’Amore e della Poesia. Lei è fermamente convinta che il mondo abbia bisogno di poesia, soffre per questo bisogno, sente nel cuore e nell’anima sua la presenza dei deserti, là dove neppure il più piccolo segno di vita è poesia, l’assenza persino del più infinitamente piccolo germoglio poetico. Soffre e semina parole. Sale sabbia e sole, le scrive in sequenza quasi feroce, tre parole aride, utili ma aride, ustionanti. Sono la denuncia dell’assenza d’amore, della carenza d’Amore sicché fa festa alla vita, gira il mondo, viaggia, si perde, si ritrova e si riperde nell’universo della parola alla ricerca di quella salvifica; la parola che le darà e darà al mondo l’immunità dal dolore.
È un delirio guardarmi allo specchio e pensare che non sono tutta lì. In quest’ultimo componimento, che vale molte pagine e tanta ricerca, tutti coloro ai quali dedicherà questo lavoro di ricerca della parola poetica, vi troveranno le infinite parti di sé che non ci si impegna a cercare e a conoscere. Provoca, stimola, invita, invoglia la D’Agostino. Mentre cerca, spinge a cercare. Curiosa, infaticabile, si chiede cosa sia la poesia, quando la raggiungerà pienamente nella parola, cosa sia la vita che sta festeggiando e quale senso nasconda per sé e per l’umanità, per la sua maternità, per il figlio prima incastonato nel suo seno e poi altro da sé. È curiosa al punto da rivolgere una istanza fortissima a Dio perché le riveli il senso ultimo della vita che le ha donato.
Quanto alla solitudine, che pure teme, in fondo non riuscirà a scalfire la sua indomita voglia di VITA. La solitudine? La fa compagna dei suoi giorni, amica. L’universale? È il fascino. Le candide pietre antiche? Il non so che di misterico. La vanità? Il tormento. Forse intuisce in essa la divinità mancata di ciascun uomo. La dimenticanza del fluorescens che è la ricerca più ardita della mia vita, delle mie parole, del mio tracciare segni sulla terra più glabra e sulle sete più preziose, culla la prima, peplo la seconda. La tenerezza? La sua palestra quotidiana. L’allegria? Il lascito testamentario. Sebbene, in tutta verità, debbo dire che il vero lascito della D’Agostino è l’ostinazione. Anima di mare, ecco cos’è. Di fatto, l’acqua è il suo elemento in assoluto. Lo è a tal punto che rivolgendosi a Dio dirà: …inondami di te, o Dio! persino le sue dichiarazioni d’amore, le più belle, sono indirizzate al Mare e allora compone …il canto del mare… il tempo diviene… goccia a goccia… e la follia, già…: la mia follia è una goccia di mare… e …se non posso esser mare, sarò goccia d’azzurro.
In questo suo farsi acqua, credo non vi sia nulla a che vedere con i recenti pensieri che teorizzano la realtà liquida, nulla di sociologico d’ultima generazione, quanto piuttosto tutto di ancestrale, di uterino nelle più edificanti delle accezioni, nella più belle delle femminili realtà di genere generante genere… consapevole di una realtà senza cuore, senza intelligenza del cuore, in perenne corto circuito con le realtà che hanno luogo nei sentimenti, in quelle cellule che si moltiplicano per forza d’amore, in territori in cui io sono contadina, a cogliere cesti di quegli aliti di vita.
Dunque, il suo vagabondare tra i pensieri non è un delirio, è un indugio d’estate, è quel correre veloce di piedini sulla sabbia, bambini che sanno già: Segnare la Storia, uomini che sapranno: Essere, sapranno fare festa alla Vita e mentre lei trova piena identificazione col mare, dunque con la fertilissima acqua-vita, Maria Antonella D’Agostino chiude la raccolta con… aspetto ancora vita… aspetto ancora amore… chiusura? Nient’affatto, è una porta ancora, perennemente aperta… inesausta donna in festa per la VITA.
Antonella Pagano
NOTA DELL’AUTRICE
Dopo la pubblicazione di «Rose appassite e schegge di cristallo» nel 2007, con grande meraviglia, la mia penna ha ripreso ad incidere d’inchiostro fiumi di carta; le liriche che compongono questa raccolta ne sono solo una parte.
Mi sono più volte chiesta che cosa mi abbia veramente spinto sulla strada della poesia, probabilmente il fatto che permette un’espressione più immediata e diretta del proprio sentire: ogni pensiero, sentimento, modo di vedere le cose e il mondo, fluisce direttamente dalla mente al foglio e lì prende forma imprimendo l’istante preciso del vissuto. Nel contempo, è in continuo divenire: evolve insieme al pensiero, cosicché i sentimenti possono essere riespressi nel tempo in modi spesso nuovi e diversi, in linea con la maturazione personale.
La raccolta «Sfondando l’azzurro, sfiorando l’abisso» contiene la maggior parte dei versi che ho scritto dal 2006 al 2009, disposti pressoché in ordine cronologico.
Ringrazio tutti coloro che, direttamente o indirettamente, mi hanno seguito, sostenuto, spronato e talvolta costruttivamente criticato, facendo crescere e maturare in me la decisione di tornare a pubblicare, pur conscia che la sfida con me stessa e con il mio percorso espressivo non è ancora terminata.
Un grazie particolare ad Antonella Pagano che, oltre ad essersi pazientemente “calata” nel mio mondo interiore attraverso la lettura dei miei versi e ad aver curato l’introduzione alla raccolta, mi ha dato un decisivo e prezioso sostegno nella la scelta del titolo, carpito tra le righe di una poesia qui pubblicata.