Ringraziamenti
Un ringraziamento particolare a Laura Zucconi per la revisione del manoscritto.
A mio padre Giulio
che mi ha insegnato
a leggere il libro
della natura
Il porcello curioso
Un porcello rosa e tondo, guadagnata la libertà perché il chiavaccio dello stalluccio dove passava le sue giornate prigioniero, mangiando, dormendo e annoiandosi, aveva ceduto sotto l’urto di ripetute spallate, si trovò improvvisamente libero. Sostò un poco nel riquadro dell’uscetto del suo rifugio umido, buio ma sicuro, guardò a destra e a manca, un ambiente sconosciuto si parò alla sua vista, mosse qualche passo e deciso prese la rincorsa che presto fu frenata perché l’ugnelli slittavano sull’acciottolato mólle, quindi fu più cauto e volse a sinistra lungo un sentiero sterrato sia pure anch’esso scivoloso per la pioggia recente.
Il sentiero piuttosto ripido si perse ben presto in un bosco di radi e maestosi castagni che assorbita la pioggia torrenziale continuavano a rilasciare grossi goccioloni con ritmo cadenzato.
Il porcello vagò qua e là cercando qualcosa da mangiare con un fare molto annoiato, non aveva fame ma la ricerca del cibo era il suo istinto primordiale per la sopravvivenza insieme all’istinto sessuale finalizzato invece alla sopravvivenza della specie.
Qualche castagna residua dell’autunno precedente, una radice, un tubero lo resero soddisfatto del suo gironzolare, fu preso però dalla curiosità del mondo circostante, si diresse quindi verso l’alto attratto dal profilo aspro della montagna sottolineato dal bianco di chiazze di neve, e giunse fino al bordo di un precipizio.
Il porcello si sporse timoroso e vide risalire dal fondo a balzi veloci un cerbiatto, continuò a guardarlo immobile e ammirato con il suo grugno sempre più proteso verso il basso finché l’animale gli si piantò quasi davanti, muso a muso per un istante con uno sguardo beffardo, poi con uno scatto repentino fu lontano.
Il porcello tornò indietro, un po’ amareggiato e con un misto d’invidia, forse dentro di sé aveva sperato in un incontro simpatico, continuò a vagare ancora senza meta finché giunse ad un ruscello, bevve con piacere l’acqua fresca quando si ritrovò in bocca una trota guizzante che evitò di ingoiare sputandola inorridito perché si rese conto che era una bestia come lui abituato invece a un cibo informe e insapore come il pastone che mangiava abitualmente.
Osservò altre trote nuotare nel ruscello e decise di seguire la corrente, camminò un poco lungo la riva sguazzando felice nell’acqua, fermandosi ad osservare i girini che facevano il girotondo laddove l’acqua ristagnava in pozze tranquille. Riprese gagliardo quasi a correre cercando di giocare con le trote a chiappino poi un rumore sordo lo fermò di botto: l’acqua del ruscello si tuffava in un burrone formando una cascata di latte. Le trote continuarono la loro corsa mentre il porcello si fermò deluso rimanendo immobile a lungo. Risalì la corrente a ritroso, attraversò il corso d’acqua laddove il guado era più facile e giunse in una fustaia di faggi, trovò qualche faggiola, riprese a grufolare in mezzo a un prato erboso di un colore verde brillante punteggiato qua e là da funghi enormi coloratissimi rossi e arancioni che sembravano crescere a vista d’occhio.
Vide due scoiattolini rincorrersi, incrociarsi, passargli davanti facendogli il solletico sul naso con le loro code lunghe e folte poi salire veloci su alberi diversi. Una marmottina uscì dalla tana, diede un’occhiata fugace e rientrò veloce sottoterra. Un gatto selvatico in posizione di fermo stava puntando un cucciolo di ghiro che poco più in là vagolava innervosito, sembrava non trovare più la sua mamma. Il porcello giunse quasi alle spalle del gatto che si rigirò infuriato e puntando le zampe anteriori sul terreno con gli artigli sguainati, coda e pelo ritto, fauci spalancate con i canini ben in mostra, gli soffiò un paio di volte sul muso, poi inarcando la schiena fuggì lontano lasciandolo stupito e divertito per l’inutile esibizione.
Alzò la testa e fu sorpreso da un silenzio irreale. Quassù di norma il silenzio è fatto di stormire di fronde, di uccellini zirlanti, di campanacci di mucche, del fruscio del ruscello, di campanili che come araldi chiamano a condividere gioie e dolori e come gli strumenti di un’orchestra si accordano a formare una sinfonia unica, invece fu soltanto silenzio, tetro, pauroso, lugubre, un silenzio interminabile, ignoto, inspiegabile, sinistro.
Si sentì ululare lontano il lupo. Il porcello rimase immobile, a testa bassa per un periodo lunghissimo, si accorse che imbruniva, alzò il muso e vide arrivare verso di sé un ragazzetto magro e salcigno correndo e saltando come un cerbiatto birichino. Era Ernesto che lo salutò contento con un:
“Eccoti birbante, ne hai ben fatta di strada, su torniamo a casa!”
Non fu necessario legarlo con la corda che il ragazzo si era portato dietro perché l’animale lo seguì docile, molto contento della sua presenza e durante la via del ritorno, ad ogni ululato sempre più lontano, pensava terrorizzato al cerbiatto, agli scoiattolini, alla marmottina, avrebbero fatto in tempo a mettersi al riparo? Il gatto, no, non gli dette pensiero, era cattivo, che se lo mangiasse pure il lupo, ben gli stava ecco! Anche il lupo affamato doveva pur mangiare.
Erano pensieri troppo filosofici questi per un povero maiale nato e cresciuto in cattività e destinato a diventare prosciutti e salami e salsicce ma forse nella sua breve esistenza avrebbe potuto vivere più serenamente degli altri: fare la vita del beato porco! Basta accontentarsi.
[continua]