Ai miei figli
Figli, se anche non foste miei figli,
io vi amerei per la vostra giovinezza
ardente e inquieta
e per quella voglia di sfidare il mondo
che v’accende lo sguardo e le emozioni.
V’amerei per quel riso che incanta
e che ha ancora l’innocenza dell’infanzia:
polla d’acqua sorgiva, mi rammenta,
e schiuma di mare quando soffia maestrale;
e per le bufere di cui siete capaci
quando la vita più vi incalza e preme:
allora fuggono i passeri dal ramo
s’oscura il sole e piove grandine
di rabbia e di tormento.
V’amerei per la fatica di crescere
che vale scalare vette impervie
e navigare il furore degli oceani;
per quel modo che avete
di chiedere scusa:
un lungo abbraccio, in silenzio,
e tutto è come prima;
e per l’onestà che v’alberga nel cuore:
campo di spighe dorate di grano
fiore di pesco a primavera
cristallo di cielo spazzato dal libeccio.
Lunghe estati d’amore
T’amerei come verde di gemma
ai primi sbadigli di marzo
e piuma di passero appena
risorto dal guscio;
come brezza di mare
che sfiora di fresco
la sera d’agosto
e regala sollievo
agli scogli assetati.
T’amerei come fiamma
su legno di pino
intriso di resina
e fragore di temporale
che annuncia
lo scroscio dell’acqua.
E tu mi cancelleresti
le rughe dal viso,
modelleresti il mio corpo
come statua di marmo
imponendo al sole
di navigare a ritroso
nell’oceano del cielo
per regalarmi di nuovo
lunghe estati d’amore.
Chi bussa alla porta
Chi bussa alla mia porta
s’aspetti lo scalino incrostato
di sale e di conchiglie
e reti da pesca stese
ad asciugare sull’erba;
s’aspetti stanze mute di finestre
e varchi di luce e cielo
al loro posto
e sotto, se s’affaccia,
il mare che dilaga.
S’aspetti nuvole che giocano
a rincorrersi,
mulinelli di vento
per fughe d’aquiloni
e Malinconia che danza
tra pareti d’alba e di tramonto.
S’aspetti odore di tamerici
e visite di rondini
dai nidi sotto il tetto,
sulle mensole vetrini colorati
e pile di libri
che arrivano al soffitto.
E ovunque canestri intrecciati
da silenziosa pazienza
dove cercano pace
i giorni trascorsi:
profumati di muschio e vaniglia
vestiti di seta e di tulle
o dimessi, ornati di nero e viola,
intrisi di pianto e tristezza.
Chi bussa alla mia porta lo sappia
che ho solo questo da offrire
oltre a ghirlande di biancospino
che piovono petali di fragile bellezza.
Sulla soglia di me
In certe mattine di mezza primavera
quando ruscelli di luce navigano
il cielo trasportando ai nidi antichi
rondini incerte, ancora infreddolite
e lungo le prode esulta, nel trionfo
di ranuncoli, vilucchi e fiordalisi
il profumo d’aprile a pizzicare il cuore,
voglio sostare così, sulla soglia di me
senza entrarvi nemmeno sulle punte
per non leggere nulla del tempo ch‘è trascorso
e che pure vendemmie d’amore m’ha donato;
né di questo presente, ch‘è tempo sospeso
come aquilone in volo o vita di farfalla
aroma di lavanda, respiro a fior di labbra.