In copertina e all’interno fotografie dell’autrice
PREMESSA
Complicatissimo definire la poesia e ritrovare i numerosi nessi che intercorrono tra questa e le immagini, non è questa la sede e rimando ad altri l’affascinante compito già peraltro felicemente percorso da numerosi studiosi e artisti come Baudelaire, Bartehs, Bachelard, Calvino, Pasolini e moltissimi altri.
Mi preme però precisare che la scelta di unire pensieri ed immagini scaturisce dal considerare la poesia e la fotografia complementari e opposte allo stesso tempo, quindi in questo è riposta la volontà di creare una sorta di gioco, un’altalena tra cose dette e cose pensate, cose viste e immaginate, una sorta di percorso di suggestioni.
Considero questo libro come un viaggio un po’ speciale, introspettivo, emozionale che prende vita dalla mia visione personale e forse allo stesso tempo di impersonale memoria.
Come la fotografia può essere raccontata, narrata, così la poesia può evocare immagini, sensazioni.
La fotografia sintetizza in un fermo immagine miliardi di azioni e nello stesso tempo mentre la si guarda fa agire il pensiero, ci fa riflettere, ci stimola a creare storie intorno ad un’immagine.
La poesia, anch’essa, in poche righe è sintesi di miliardi di pensieri e mentre la si legge ci permette di immaginare, stimola la creazione visiva nel tentativo di rendere tangibile, materializzare, il sentimento.
La mente tenta di tradurre emozioni, pensieri, e cerca contemporaneamente di trovare nei gesti, nelle azioni, i significati originali e primitivi che le compongono.
Da qui l’importanza di ritrovare il senso estetico nei gesti quotidiani, nelle azioni che ripetiamo quasi meccanicamente in una sequenza ben precisa. In questi semplici gesti è riposta la filosofia dell’agire, del vivere, dell’essere, ed essi vanno letti come riti, rappresentano rituali intrisi di sacralità.
Le tracce lasciate dalla nostra esistenza, dal nostro passaggio nel teatro del mondo, sono segni che silenziosi vengono posti come sassolini sulla nostra strada e indelebili permettono la comprensione del nostro essere, del nostro divenire.
La poesia, così come la fotografia, si nutrono di questo o meglio ne sono una chiave di lettura proprio perché in grado di illuminare la relazione con la figurazione della vita e della morte, tentandone un’interpretazione, cercandone una decodificazione.
Entrambe annientano lo spazio temporale tentando di far interagire passato e presente e per ogni nuovo osservatore, per ogni nuovo lettore, si avrà una diversa configurazione ottenuta da una visione reale unita a quella del desiderio e della memoria.
Questo perché ogni gesto espressivo, verbale o dell’immagine, ha come matrice la forma.
In entrambe le espressioni è riposto forse l’occulto tentativo di sottrarre ogni forma al declino, di renderla eterna, immortale, di fissarla per sempre.
Esse analizzano, scansionano, si insinuano, soffermandosi apparentemente su di una scena, ma di questa, come in un caleidoscopio, ne amplificano i punti di vista aprendo prospettive fino a quel momento sconosciute.
Entrambe hanno l’enorme capacità di sintesi e di amplificazione, riescono a concentrare in breve spazio la lunghezza di una vita e moltiplicare l’immensità di un attimo.
PREFAZIONE
p>. di Davide F. Jabes
Non voglio annoiare il lettore con analisi del linguaggio poetico rintracciando in esso le risonanze, i lievi cenni ai poeti amati preferisco comportarmi da semplice lettore condividendo le mie riflessioni con coloro che si accosteranno alla raccolta di questi testi e ai temi cari all’autrice.
Difficile commentare le poesie di Maria Laura La Scala senza considerare cosa sia divenuto il mondo d’oggi, lo scrivo perché il suo orizzonte, gli interessi e le preoccupazioni sembrano coincidere con quelli dell’umanità.
L’autrice riveste una duplice natura quella d’interprete che fa dialogare due sensibilità differenti, ponte tra due mondi, e quella dell’individualità che testimonia la forza delle sue passioni. In un periodo storico dove un comprensibile cinismo si burla dei sentimenti e rigetta o banalizza le riflessioni sulla natura della bellezza, queste poesie rappresentano una forte rottura col presente.
Riecheggiano, nelle parole dell’autrice atteggiamenti e spiritualità di un tempo in cui la parola “amore” non si completava soltanto con “per se stessi” ma, banalmente, poteva essere declinata come amore per il prossimo, per il compagno trovato, per il pianeta in cui si è ospiti e inconsapevolmente si fa parte. Sentimenti di un tempo che fu e che certo non sembrano appartenere alla quotidianità contemporanea.
Ecco allora che la parola cerca di dire lo stupore e la gioia di aver trovato il compagno della vita, dono quasi divino, e si carica delle pene e le sofferenze di quei migranti che sottoposti a un destino terribile solcano il mare in cerca di un futuro migliore.
Forse soltanto la parola poetica può rendere con veridicità le antiche eppur contemporanee passioni umane perché, come afferma Gadamer, è la parola poetica che attesta la nostra esistenza, essendo esistenza essa stessa.
Roma, 25 gennaio 2014